La morte di George Floyd con un “ginocchio al collo” e le tecniche di tortura israeliane

Di L.P. In questi giorni ci siamo scandalizzati dalle bufale che girano sul web e nei commenti sui social. Gente che dice la sua senza cognizione di causa, aiutando sempre più all’incomprensione degli eventi che ci circondano, alimentando lo stato di confusione che già persiste. Sull’omicidio di George Floyd parlano tutti come se fossero stati dei superstiti e conoscano alla perfezione ciò che è accaduto. I media neocon hanno usato il suo omicidio politico come strumento per preparare materiali elettorali in vista delle elezioni presidenziali per un ritorno dei democratici e del Deep State; l’informazione mainstream neoliberista si è occupata di inserire l’evento nella retorica del discorso senza approfondire i risvolti socio-politici; i quotidiani razzisti, anche in Italia, hanno invece tuonato con falsi sillogismi ad effetto come “In ginocchio per George Floyd ma scordano i nostri cassintegrati”, come se loro fossero in prima linea per la tutela dei cassaintegrati, esodati sul lavoro, sottopagati e sfruttati contro la precarizzazione del lavoro. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino mentre l’opinionismo da talk-show dilaga in modo delirante, evidenziando sempre più il degrado culturale in cui versiamo; e mentre loschi figuri sul web diffondono bufale dichiarando che George Floyd non è morto, che è stata una farsa e che non è stato ucciso dai poliziotti.

In tutto ciò la libera informazione, meglio chiamata controinformazione, viene sempre più accantonata rimanendo inascoltata perché scomoda. Infatti nel sottotesto mediatico è passata inascoltata la notizia che dai dati dell’autopsia ufficiale, “effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia, delle sue patologie pregresse (coronaropatia e ipertensione) e di qualche potenziale sostanza intossicante nel suo corpo hanno probabilmente contribuito alla sua morte”. Ciò escludeva, quindi, la morte per asfissia traumatica e lo strangolamento. La sua famiglia fin da subito ha contestato questa versione, ordinando che si facesse un’altra autopsia per verificare se ci fossero depistaggi. E così è stato. Durante una conferenza stampa l’avvocato della famiglia, Antonio Romanucci, riportando i dati dell’autopsia ordinata dai familiari, ha dichiarato che George Floyd è morto per “asfissia causata da compressione al collo e alla schiena”. Per il legale “non è stato solo il ginocchio sul collo di George a provocarne la morte, ma anche il peso degli altri due poliziotti sulla sua schiena”, per cui tutti gli agenti presenti sono “penalmente responsabili” anche “da un punto di vista civile”. George Floyd è deceduto a Minneapolis dopo essere stato immobilizzato dalla polizia.

Giustizia è fatta? Purtroppo no. Si aprono scenari analitici molto importanti che ci possono dare l’idea della sistematizzazione della repressione poliziesca negli Stati Uniti. Il quotidiano britannico Morning Star, qualche giorno fa, ha dichiarato che confrontando le immagini della morte di George Floyd con quelle dei palestinesi messi a terra dai soldati israeliani si può notare che la tecnica usata è la stessa: il ginocchio al collo con faccia schiacciata sull’asfalto. Lo stesso articolo riportava le dichiarazioni di Neta Golan, la co-fondatrice del Movimento internazionale di solidarietà (ISM), a riguardo: “Quando ho visto la foto del poliziotto assassino Derek Chauvin che uccideva George Floyd appoggiandosi al collo con il ginocchio mentre chiedeva aiuto e altri poliziotti guardavano, ho ricordato quando molti soldati israeliani usarono la tecnica di protendersi sul petto e sul collo mentre stavamo protestando in Cisgiordania nel 2006″. E ha aggiunto: “Hanno iniziato a torcere e rompere le dita in un modo particolare, nello stesso momento. Era chiaro che si erano allenati per questo. Continuano a usare queste tattiche – due dei miei amici hanno avuto il collo rotto ma fortunatamente sono sopravvissuti – ed è chiaro che loro (israeliani) condividono questi metodi quando addestrano le forze di polizia all’estero nel “controllo della folla” negli Stati Uniti e in altri paesi tra cui Sudan e Brasile”. È proprio stata la tecnica del “ginocchio al collo” che ha portato Amnesty International a dichiarare Israele, come ha ricordato anche Manlio Dinucci su Pandora TV, “violatore cronico dei diritti umani”.

Non solo, il quotidiano riporta anche che è sempre più frequente che poliziotti statunitensi partecipino ad addestramenti in Israele e che esperti militari israeliani tengano corsi di formazione negli USA insegnando efficaci tecniche repressive contro manifestanti. In Minnesota infatti, più di 100 poliziotti hanno partecipato ad un corso di formazione finanziato dal Consolato israeliano a Chicago. Spesso questi corsi sono finanziati sia da soldi pubblici sia da agenzie private ebraiche, come riporta The Morning Star: “Dal 2002 l’Anti-Defamation League, l’American Jewish Committee’s Project Interchange e l’Istituto Ebraico per gli Affari di Sicurezza Nazionale pagano i capi, i vicedirettori e i capitani di polizia per addestrarsi in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati (OPT)”.

Si può dunque affermare che nonostante il risalto mediatico, su questo caso non si è voluto fin da subito ricercare la verità, ovvero: il colonialismo israeliano si basa anche sull’esportazione del suo modello militare di controllo sociale, sorveglianza e sicurezza dando esiti inenarrabili. Ancora una volta un caso simile viene affrontato superficialmente dai media con il fine di portare avanti l’ennesimo atto di ipocrisia. Mostrare al mondo i poliziotti che si inginocchiano di fronte a questa ingiustizia vuole far risaltare l’immagine “buona” di chi domani ancora continuerà a reprimere come prima. Solo Manlio Dinucci ha avuto il coraggio di riportare questa notizia? Mentre Israele viene preso come modello di società da esportare, oggi con l’omicidio di George Floyd non lo si vuole spacciare per “avanguardia” e “progresso” nei metodi e nelle tecniche di violenza e repressione?

Forse avevano ragione i nostri vecchi: “il buon tacere non fu mai scritto”.