La nuova dimora di Re David.

Di Elvio Arancio (*).

  La settimana scorsa il presidente israeliano Shimon Peres ha incontrato il suo omologo egiziano Hosni Mubarak. Da quel che riportano i giornali egiziani e israeliani, il primo  avrebbe sostenuto che “dal momento in cui i palestinesi torneranno a parlarci, smetteremo di espanderci con gli insediamenti”. Promettendo inoltre che “se torneranno a negoziare non ci sarà più confisca di terre, bloccheremo gli investimenti di nuovi insediamenti e avvieremo uno smantellamento di quelli già realizzati senza autorizzazione”.

Ecco il paradigma dell'ipocrisia: gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi sono stati tutti realizzati senza alcuna legittima  autorizzazione, dato che sono situati su terra rubata, e dovrebbero essere immediatamente smantellati secondo il diritto internazionale. Stiamo parlando degli avamposti del colonialismo israeliano che persino la Corte Suprema (sic!) israeliana considera illegali. Persino il compiacente amico d'Israele, Mubarak, ha dovuto rispondere: “Userò parole chiare e non travisabili. In questo modo, Israele sta demolendo ogni possibilità di accordi di pace, i suoi piani di riempire Gerusalemme di ebrei e isolare con scavi la moschea di al-Aqsa sono inaccettabili”.

Le stime ONU calcolano che circa 60.000 palestinesi di Gerusalemme-est siano a rischio di sgomberi forzati e demolizioni.

Nei giorni scorsi l'associazione palestinese “Jerusalem Center for Women” e quella israeliana  “Beit Shalom” hanno presentato nuove prove in cui si evidenzia come i palestinesi della Gerusalemme araba vengano cacciati dalle case in cui le loro famiglie risiedono da generazioni, per fare spazio a nuove espansioni immobiliari. Il JCW ha dato notizia di numerose abitazioni palestinesi minacciate di sgombero in funzione di un nuovo massiccio sviluppo, a sostegno statale, per il turismo religioso. Si prevedono oltre 1.500 palestinesi senza tetto. A sud della Città Vecchia, il quartiere Al Bustan, composto da 88 case, sarebbe situato, secondo lo stato ebraico, sulle rovine del Palazzo di Davide; ed è qui che vuole costruire, appunto, la “ Città di David “, un complesso immobiliare finalizzato al turismo religioso.

I residenti arabi ricevono ordini di demolizione in cui figurano come “destinatario ignoto” nonostante i nomi e gli indirizzi compaiono chiaramente in tutte le bollette comunali che ricevono e che normalmente pagano. Tutte le famiglie palestinesi coinvolte in questo tragico sopruso sarebbero in grado di menzionare le molteplici generazioni che le hanno precedute e che han vissuto nelle stesse dimore della Città Vecchia, a pochi passi dalla moschea di Al Aqsa. Ma agli israeliani non interessa quanto indietro risalgano le radici di questi cittadini, convinti, evidentemente, di averle più profonde e sante. Nella Gerusalemme Occupata lo spazio per gli abitanti palestinesi si restringe sempre più, è facile dire “come un cappio”.

Con tutta evidenza la pianificata Città di David  fa parte della consuetudine israeliana di ebreaizzazione di Gerusalemme (e della Palestina in generale), di pulizia etnica della sua popolazione palestinese in funzione della “Gerusalemme Ebrea unita”, tanto reclamizzata in giro per il mondo dal governo Netanyahu. Chi può o vuol credere alle promesse del signor Peres? Sotto gli occhi del mondo si stanno estromettendo i residenti palestinesi per far spazio a illegittimi residenti ebrei. Iniziò nell’ormai lontano 1967 questa deportazione forzata con oltre 5.000 palestinesi trasferiti in Giordania. Questa pratica venne attuata subito dopo l’annessione illegale della parte orientale della città, semplicemente oggi si vuole ultimare il crimine vergognoso.

Sofisticati meccanismi burocratici e ingiustizie legali rendono la vita impossibile ai palestinesi. In un altro quartiere, Wadi Qaddum, la circoscrizione comunale israeliana non fornisce alcun servizio, sebbene gli abitanti paghino le tasse. Mentre il comune di Gerusalemme continua a espandersi in insediamenti per soli ebrei nei quartieri arabi, per i palestinesi rimane impossibile ottenere permessi di costruzione, neppure su terreno privato.

Alcune famiglie palestinesi sono, in queste settimane, costrette a vivere in tenda dopo essere state sgombrate sotto minaccia delle armi da subentranti ebrei protetti dalle forze israeliane. Senza ricevere alcun sostegno da uno stato ebraico che non concede uguali diritti e benefici ai “suoi” cittadini palestinesi; per di più nessuna protezione arriva da  un’Autorità Palestinese sottomessa alla volontà israeliana.

Il Jerusalem Center for Women testimonia inoltre l’inaffidabilità del sistema giudiziario rappresentato da tribunali  assolutamente di parte, ovviamente quella ebraica. Ma come spesso accade con la popolazione palestinese, molti di loro resistono e si rifiutano, coraggiosi e risoluti, di abbandonare la loro città. Potranno togliere loro un tetto, non la terra.

Certamente la previsione è tragica, personalmente invito tutto il mondo del dialogo interreligioso e chi ritiene ormai intollerabili questi soprusi, a porre la questione in cima alla scaletta dei propri impegni.

 I palestinesi attraverso la voce del Jerusalem Center for Women si appellano alla sensibilità di tutti noi, perché ovunque si faccia pressione su Israele e le sue  Ambasciate,  a tutela dei loro diritti. Nessuna pace è ipotizzabile dove imperversa l’ingiustizia, sarebbe necessario e doveroso che l’opinione pubblica internazionale, inclusi i membri delle varie comunità ebraiche, rispondessero  all’appello.

(*) Elvio Arancio, rappresentante dell'European Muslim Network e collaboratore di Infopal.it. 

 

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