La pandemia spinge gli emigrati a fare ritorno a Gaza

E.I. Di Ola Mousa. Fino a poco tempo fa, le persone che avevano scelto di emigrare da Gaza non avevano una vera ragione per tornare. Il livello di disoccupazione e povertà è estremamente alto, il territorio è sotto continuo assedio e la minaccia di un attacco di Israele è sempre dietro l’angolo.

E poi è arrivato il COVID-19. Per quanto impossibile possa sembrare, lo scoppio dell’epidemia ha spinto molti emigrati a fare ritorno a Gaza

Ahmad al-Masri, di 25 anni, è uno di loro. Nel marzo del 2018, fu colpito da un cecchino israeliano mentre partecipava alle proteste della Grande Marcia del Ritorno, per rivendicare il rispetto dei diritti dei rifugiati palestinesi. Durante le proteste, fu colpito alla gamba destra dall’esplosione di un proiettile.

Dopo essere stato sottoposto ad un intervento chirurgico a Gaza, verso la fine del 2018 si recò al Cairo per ricevere ulteriori cure. Dopo essersi ripreso completamente, al-Masri progettava di lasciare l’Egitto per andare a vivere in Europa occidentale, passando per la Turchia.

Purtroppo, ad agosto di quest’anno, al-Masri è ritornato a Gaza. Le restrizioni introdotte dall’Egitto, in risposta al coronavirus, hanno infatti reso quasi impossibile realizzare il progetto.

“Ero bloccato in Egitto e non avevo più soldi”, ha detto. “Ho dovuto chiederne in prestito, così da poter tornare a casa. La pandemia è stata davvero difficile da gestire per le persone provenienti da Gaza in cerca di un futuro migliore fuori dalla Striscia”.

Ritornare o patire la fame.

La frontiera di Rafah – tra Gaza e l’Egitto – l’unico punto d’entrata ed uscita per la maggior parte delle persone di Gaza, quest’anno è rimasta chiusa per la maggior parte del tempo.

Tuttavia, un ingente numero di persone si sono spostate passando per Rafah ogni qualvolta la frontiera veniva aperta. Durante la prima settimana di novembre, l’OCHA, il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite, ha pubblicato dei dati che registrano l’entrata a Gaza di 21.000 persone, solo quest’anno, e una buona parte di queste sono emigrati di ritorno. I dati registrati sono, però, in contrasto con le precedenti tendenze.

Come parte del piano per rendere Gaza invivibile, Israele incoraggia da diversi anni l’emigrazione. Solo nel 2018, circa 35.000 palestinesi lasciarono il territorio. La Turchia è la destinazione principale e le autorità turche sono disposte a fornire un permesso di residenza di 12 mesi ai palestinesi.

Arrivati in Turchia, molti palestinesi cercano di arrivare in Europa occidentale e per fare ciò, spesso, sono costretti a pagare dei trafficanti e ad intraprendere viaggi rischiosi.

I rifugiati hanno poche alternative. L’Unione Europea si comporta in maniera piuttosto repressiva nei confronti delle persone che fuggono dalle difficoltà e dalla guerra.

Nei primi mesi di quest’anno, Ismail Jamal, di 30 anni, è stato licenziato dall’hotel Istanbul in cui lavorava, rimanendo senza reddito e senza un posto in cui stare.

Ha passato i primi mesi in un alloggio temporaneo con altri giovani palestinesi che si erano trasferiti in Turchia.

Jamal, un insegnante di lingua inglese, si era trasferito in Turchia nel novembre del 2018, progettando un viaggio verso il Belgio. Le sue speranze, però, si sono scontrate con la difficoltà di far quadrare i conti, costringendolo a tornare a Gaza dalla sua famiglia. “Tanti palestinesi emigrati in Turchia hanno avuto difficoltà”, ha detto. “Sono stati licenziati dal proprio impiego, venendo già poco pagati. Le condizioni sono peggiorate dopo lo scoppio della pandemia. Parecchi emigrati hanno passato notti in strada, senza avere dove andare. Altri, me incluso, sono tornati a casa per non patire la fame”.

“Generazioni di gioventù perdute”.

Muayad Ammar, 38 anni, è tornato a Gaza lo stesso giorno in cui Ismail Jamal ha fatto ritorno. Ammar si era traferito in Turchia lo scorso aprile, avendo trovato un lavoro in un centro commerciale. Ma dopo soli otto mesi era stato licenziato. Senza lavoro durante lo scoppio dell’epidemia, non si è più potuto permettere di vivere nello stesso posto e si è dovuto trasferire in un altro appartamento. Ammar proviene da al-Shujaiyeh, un quartiere nella città di Gaza, un’area che è stata testimone di alcune tra le peggiori atrocità causate da Israele durante gli attacchi del 2014.

“Volevo andarmene”, ha detto. “Volevo andarmene dai bombardamenti di Israele, dalla distruzione e dal suono dei droni”.

“Ma la Turchia non era come la immaginavo”, ha aggiungo. “La vita è difficile e anche quando trovi un lavoro, non riesci comunque a mettere le basi per una vita dignitosa. E poi è arrivato il coronavirus che mi ha forzato a tornare a soffrire a Gaza”.

Mahmoud Ghanem, 30 anni, si è laureato in economia sette anni fa, all’università di al-Azhar a Gaza. Ha fatto del suo meglio per mettere a frutto le sue capacità ma non ha avuto successo in patria. Il negozio di alimentari che aveva aperto si è rivelato solo una perdita di denaro. All’inizio del 2020, si è traferito negli Emirati Arabi Uniti ma a maggio è stato licenziato dall’azienda alimentare in cui lavorava, a Dubai.

È stato allora che Ghanem ha fatto ritorno a Gaza a fine settembre.

“Quando sono tornato a Gaza, sono tornato con niente”, ha detto. “La vita negli EAU è dignitosa e soddisfacente; non dovevamo preoccuparci di cose come la carenza di elettricità. Tornare a Gaza significa tornare agli stessi problemi che c’erano quando me ne sono andato; l’elettricità e l’acqua, le bombe israeliane e la stessa situazione politica”.

Nonostante tutto, Ghanem sta ancora pensando di andarsene quando nuove opportunità di emigrare si presenteranno. “So che emigrare una seconda volta sarà più difficile della prima”, ha spiegato. “Ma ci proverò comunque. C’è una gioventù perduta a Gaza. Emigrare è un modo di fare qualcosa della nostra vita. Alcune persone pensano che sia un segno di debolezza. Invece, emigrare richiede una grande forza interiore, lasciare la propria famiglia e i luoghi in cui siamo cresciuti non è mai facile. Ed è difficile stabilizzarsi in altri paesi ed iniziare tutto da zero”.

Traduzione per InfoPal di Sara Origgio