La persecuzione di una studentessa palestinese

E.I. Di Amjad Ayman Yaghi. Mays Abu Ghosh è stata ripetutamente torturata nel centro di detenzione noto come Russian Compound.

Mays Abu Ghosh stava ripassando per un esame universitario, nell’agosto 2019, quando i soldati israeliani fecero irruzione nella sua casa a tarda notte.

Accompagnate dai cani, le truppe dissero a suo padre di svegliare la famiglia e riunire tutti in un unico posto.

Poi entrarono nella stanza di Mays e le ordinarono di accendere il cellulare e il computer. Lei si rifiutò di farlo.

Dopo aver disobbedito all’ordine, Mays si dovette vestire in presenza di alcune soldatesse. La sua camera da letto e quella dei suoi genitori furono poi messe a soqquadro dalle truppe.

Ammanettata, Mays venne portata dalla casa di famiglia, nel campo profughi di Qalandiya, al checkpoint militare anch’esso a Qalandiya, un’area che separa Gerusalemme Est occupata dal resto della Cisgiordania.

Da lì venne trasportata al Russian Compound, un centro di detenzione israeliano a Gerusalemme. Mays fu detenuta in quel centro per più di un mese, durante il quale fu ripetutamente torturata.

Doloroso.

“La cosa più pesante fu passare tre giorni di fila senza poter dormire”, ha dichiarato Mays, 23 anni. “Dovevo stare su una sedia e se chiudevo gli occhi, un soldato veniva da me e mi urlava contro. Fui schiaffeggiata continuamente”.

Mays venne costretta a stare in piedi e piegare le ginocchia, con i soldati che le premevano forte sulle spalle. Doveva rimanere in posizioni così dolorose per lunghi periodi di tempo.

Le sue catene erano così strette che le sue mani e i suoi piedi iniziarono a sanguinare. Quando Mays aveva le mestruazioni, gli interrogatori ritardavano “deliberatamente” la consegna degli assorbenti, ha spiegato.

“Ho ancora vari dolori – alla schiena, ai piedi e alla testa – a causa delle torture”, ha aggiunto.

Oltre ad abusare di lei fisicamente, gli interrogatori di Mays la sottoposero a pressioni psicologiche minacciandola sulla possibilità che altri membri della sua famiglia sarebbero stati arrestati e che la loro casa sarebbe stata distrutta.

Mays, una studentessa di giornalismo all’Università di Birzeit in Cisgiordania, è stata perseguitata perché si è rifiutata di accettare l’occupazione israeliana della sua patria.

È stata accusata di far parte di Qutub, un gruppo studentesco di sinistra ritenuto “illegale” da Israele.

Tra le altre accuse contro di lei c’erano “contatto con un nemico”. Ciò si riferiva alla sua partecipazione ad una conferenza tenutasi in Libano sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

Circa 50 persone, principalmente studenti, sono state arrestate in Cisgiordania nello stesso momento, a maggio.

Alcuni giornalisti israeliani si sono affrettati a etichettare gli arrestati come “terroristi”. Storie di stampa hanno collegato gli arresti a un omicidio vicino a un insediamento israeliano.

Eppure, come ha scritto Gideon Levy, giornalista di spicco del quotidiano di Tel Aviv Haaretz, “quasi nessuno” degli arrestati era sospettato di avere a che fare con quell’omicidio, “nemmeno indirettamente”.

“Enorme senso di vuoto”.

Dopo aver trascorso 33 giorni nel Russian Compound, Mays venne portata a Damon, una prigione situata in una foresta vicino alla città di Haifa, all’interno di Israele.

Fu tenuta in una cella con altre sei donne.

Quando era estate, il caldo nella cella era insopportabile. Durante l’inverno, Mays cercava di sopportare il freddo pungente coprendosi con tre coperte.

Mays era determinata a non lasciare che la sua prigionia spezzasse il suo spirito. Teneva la mente attiva leggendo romanzi e libri di sociologia e cultura.

Alcuni dei libri letti dai prigionieri – in particolare quelli considerati politici – sono confiscati dalle guardie israeliane a Damon.

Mays fu tenuta in prigione per 15 mesi. Infine venne rilasciata alla fine dell’anno scorso.

Il suo rilascio avvenne un mese prima della scadenza della pena detentiva di 16 mesi, ma dovette pagare una multa di 600 dollari.

La famiglia Abu Ghosh ha sofferto molto per mano dell’occupazione militare israeliana.

All’inizio del 2016, il fratello di Mays, Hussein, venne ucciso a colpi d’arma da fuoco da una guardia di sicurezza israeliana. Era accusato, insieme ad un altro giovane ucciso, di aver accoltellato, ferendo mortalmente, una donna israeliana.

Pochi mesi dopo, l’appartamento in cui viveva la famiglia a Qalandiya venne demolito da Israele in un atto di punizione collettiva. Di conseguenza si dovettero trasferire in un appartamento su un altro piano dello stesso edificio.

Un altro dei suoi fratelli, Suleiman, venne arrestato subito dopo il raid del 2019, in cui Mays fu fatta prigioniera. Fu posto in detenzione amministrativa – reclusione senza accusa né processo.

“La mia famiglia sente un enorme senso di perdita e instabilità”, ha spiegato Mays. “Anche la mia sorellina – una bambina di 5 anni di nome Iliya – bagna il letto perché ricorda la volta in cui l’esercito israeliano è venuto a fare irruzione in casa nostra e ad arrestarmi”.

Mays è pienamente consapevole che non c’è nulla di unico nel modo in cui è stata trattata: in prigione, ha incontrato tanti altri che sono stati rinchiusi per molto più tempo di lei.

Approssimativamente 10.000 donne palestinesi sono state arrestate o detenute per ordine dell’esercito israeliano negli ultimi cinque decenni.

Trentasette donne palestinesi erano detenute nelle prigioni o nei centri di detenzione israeliani alla fine di gennaio.

Mays ora è tornata a studiare, anche se deve seguire le sue lezioni online a causa dell’epidemia COVID-19. Spera di diplomarsi alla Birzeit nel 2021.

“La prigione è stata un ostacolo alla mia istruzione e alla mia carriera”, ha detto. “Ma continuerò a lavorare come giornalista. Non permetterò che la mia prigionia sia un capitolo oscuro della mia vita”. 

Amjad Ayman Yaghi è un giornalista che vive a Gaza.

(Foto per gentile concessione di Mays Abu Ghosh).

Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari