“La presa di posizione contro Hamas da parte dell’Egitto è scandalosa”

PIC. Di Khalid Amayreh dai Territori Palestinesi Occupati. La recente, scandalosa sentenza di un tribunale egiziano che ha bollato le brigate Ezzedin al Qassam di Hamas come “gruppo terroristico” rende bene l’idea delle condizioni patetiche in cui versa il paese dopo il sanguinoso golpe militare del 2013, che ha destituito il Presidente Muhammed Mursi, democraticamente eletto.

Da allora, in Egitto tutto sembra cadere a pezzi. L’economia è in forte recessione: l’Egitto basa la propria sussistenza dai finanziamenti ricevuti dai ricchi paesi arabi esportatori di petrolio, che temono eventuali problemi sollevati da movimenti sunniti islamici come i Fratelli Musulmani. La moneta egiziana è ai minimi storici e il suo valore di scambio è in caduta libera; il cosiddetto sistema giudiziario versa nel caos più totale: giudici corrotti vengono strumentalizzati come marionette per emettere sentenze vendicative e draconiane contro gli oppositori politici del regime, in particolare gli Islamisti.

Ma il pericolo più imminente che l’Egitto si trova ad affrontare oggi è un sentimento diffuso di rivolta contro il regime di Sissi. Centinaia di membri dell’esercito sono stati uccisi. Nella turbolenta Penisola del Sinai, si verificano quotidianamente attacchi letali a installazioni e postazioni militari. Qualche giorno fa, 30 soldati sono rimasti uccisi in un attacco rivendicato dai ribelli legati allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

Con un tono di voce visibilmente affranto, Sissi ha ammesso le difficoltà riscontrate nel contrastare i ribelli. Ha accusato i Fratelli Musulmani senza però fornire prove credibili a sostegno delle accuse, che continua a rivolgere fino allo sfinimento sin dall’indomani del sanguinario golpe.

In realtà, a parte la propaganda retorica e spasmodica che propugna contro i Fratelli Musulmani, il regime non è riuscito a dimostrare il coinvolgimento degli Ikhwan nella spirale di violenza.

Al contrario, gli stessi Ikhwan hanno condannato con forza e a più riprese la violenza, anche nel caso dei recenti attacchi del Sinai.

Proprio l’incapacità, da parte del regime di Sissi, di contrastare i ribelli sembra essere la causa delle decisioni irrazionali che ha assunto, compresa la demolizione di migliaia di case sul versante egiziano di Rafah allo scopo di creare una zona cuscinetto. Le demolizioni, improvvise e arbitrarie, giustificate solo dal solito mantra della guerra al terrorismo, hanno generato un’ondata di indignazione tra la popolazione già fortemente impoverita, che ha ricevuto solo un misero risarcimento per la perdita delle proprie abitazioni.

Il regime ha lasciato intendere che le rivolte abbiano una matrice esterna all’Egitto, imputandole soprattutto alla confinante Striscia di Gaza.

Ma, nonostante gli interrogatori estenuanti e le lunghe indagini, nulla sembra convalidare i sospetti contro i palestinesi di Gaza.

Qualche mese fa, è avvenuto un incontro tra una delegazione di Gaza e le forze di sicurezza egiziane. Secondo Mahmoud Zahhar, dirigente politico di Hamas, gli egiziani non sono stati in grado di indicare neanche un caso concreto che veda la partecipazione di uomini di Hamas negli incidenti che hanno destabilizzato il Sinai.

“Quando abbiamo chiesto loro di fornirci informazioni che potessero accusare membri di Hamas, ogni coinvolgimento della nostra organizzazione è stato esplicitamente negato”, ha dichiarato Zahhar ad al-Jazeera, sabato 31 gennaio.

Distogliere l’attenzione dalla crisi

Hamas non ha alcun interesse a destabilizzare l’Egitto, unico sbocco verso il mondo esterno e il regime egiziano ne è perfettamente consapevole.

Anzi, Hamas ha adottato misure precise per prevenire infiltrazioni nel Sinai dalla Striscia di Gaza.

Ma questo non ha fermato le contromisure avverse gruppo islamico decise dal regime egiziano e dalla sua corte di utili idioti.

Questa condotta ostile da parte del regime egiziano dimostra di essere solo un tentativo di esorcizzare i problemi interni, dopo il fallimento su tutta la linea. Allo stesso tempo, è un tentativo di entrare nelle grazie di Israele, attraverso una politica di aperta ostilità contro il nemico giurato palestinese.

È in quest’ottica che va letta l’ennesima misura contro il più illustre dei movimenti Islamici: non è altro che l’espressione del fallimento e del senso di frustrazione del regime egiziano, che non riesce a placare la rivolta.

Oscene menzogne

Le oscene menzogne che legano il braccio armato di Hamas alle rivolte contro Sissi denunciano il fallimento morale e politico della sua giunta. Ma la cosa non sorprende minimamente.

In fondo, stiamo parlando di un regime che si è macchiato dell’uccisione di migliaia di oppositori  e ha avuto l’audacia di dichiarare che le vittime si sono suicidate.

Un regime che addestra mercenari criminali, la cosiddetta Baltagiya, a violentare le donne che protestano come punizione e deterrente. E quando le donne sporgono denuncia, la polizia le sottopone all’umiliante procedura del “test di verginità.”

Il regime di Sissi ha trasformato l’Egitto da un grande paese di 90 milioni di persone, con un suo rilevante peso politico, a una nazione insignificante e prostrata.

Il nuovo monarca saudita, Re Salman, sembra essere giunto a questa conclusione.

Speriamo che la nuova corte saudita chiarisca una volta e per tutte al regime di Sissi che i problemi dell’Egitto non si originano oltre i confini, sul territorio palestinese, bensì altrove.

L’ostilità verso Hamas, però, mette l’Egitto nella sfera dell’ignominia. Perché pone il regime di Sissi sullo stesso piano di un paese, Israele, che lo ha a lungo umiliato, uccidendo migliaia di cittadini egiziani.

In realtà, Hamas, che ha resistito da sola contro la macchina da guerra nazi-israeliana per 52 giorni, mentre il più forte esercito arabo se ne stava passivamente a guardare oltre il confine, merita rispetto e ammirazione, non certo diffamazioni e condanne.

Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui sono i traditori a prendere le redini. Come fu per Shawar, califfo Fatimida che collaborò con i crociati invasori schierandosi contro il famoso generale musulmano Salahuddin al-Ayyoubi.

A riprova del fatto che la storia si ripete. 

Khalid Amayreh è un esperto scrittore e commentatore politico che vive nella Palestina Occupata.

Traduzione di Romana Rubeo