La sofferenza della Striscia di Gaza: nessuna luce alla fine del tunnel

E.I. La Striscia di Gaza sta lentamente uscendo dal lockdown totale, causato dalla pandemia di COVID-19. Tuttavia, le sofferenze degli abitanti della Striscia continuano, soprattutto di quelli che soffrono di malattie croniche. A peggiorare la situazione c’è un settore sanitario che, negli ultimi 13 anni, è stato sistematicamente indebolito dall’isolamento dell’occupazione israeliana, ed ora barcolla sotto il peso della pandemia.

Nelle ultime settimane, alcune zone della Striscia di Gaza sono state completamente bloccate con l’istituzione del coprifuoco, con lo stop degli spostamenti e, dal punto di vista sanitario, con la chiusura dei centri sanitari, al fine di prevenire la diffusione del virus.

Purtroppo, queste misure hanno reso impossibile ai pazienti con malattie croniche di accedere alle regolari visite mediche e di ricevere le terapie.

Nel 2017, l’ultimo anno di cui sono disponibili le statistiche, è stato calcolato che sono stati più di 147.000 i pazienti di Gaza con malattie croniche.

Tra questi c’è Samira Salem, una donna di 45 anni affetta da diabete. Vive nel campo rifugiati di Maghazi, nella zona centrale della Striscia di Gaza, e riceve periodicamente le medicine che le servono dal centro sanitario del campo.

Quando nel campo profughi sono spuntati i primi casi di coronavirus – il primo a Gaza è stato trovato fuori dai centri di quarantena – il ministero della Salute ha dichiarato l’area epicentro del virus, bloccando le entrate e le uscite dal campo e chiudendo il centro sanitario.

“Ero molto preoccupata quando ho sentito parlare del lockdown”, ha detto Samira. “So cosa il virus può fare ma non pensavo che avrebbero smesso di fornirmi le cure di cui ho bisogno a causa della pandemia”.

Nemmeno suo marito e i figli potevano lasciare l’abitazione per prenderle le medicine. “Ero molto preoccupato per la sua salute, temevo che le sue condizioni potessero peggiorare da un momento all’altro e che non sarei stato in grado di portarla in ospedale”, dice il marito, Muhammad Salem, 54 anni.

Lockdown e chiusure sono ancora predominanti in molte aree della Striscia di Gaza, ed alcune stanno diventando molto preoccupanti dopo che sono stati registrati più di 100 casi in un giorno solo. La zona nord della Striscia è tra le più colpite, registrando i più alti tassi giornalieri.

I danni del coprifuoco.

Suad al-Amoudi, 47 anni, dal campo rifugiati di Jabaliya, nella zona nord della Striscia di Gaza, è malata di cancro e necessita di regolari terapie all’ospedale al-Rantisi. Tuttavia, quando le misure di contenimento del virus sono state introdotte, Suad non poteva lasciare la sua abitazione.

“C’è stata una sospensione del coordinamento sulla sicurezza, il quale ha reso ancora più difficile raggiungere gli ospedali in Cisgiordania per ricevere le terapie”, ha affermato la donna, riferendosi alla decisione di maggio dell’Autorità Palestinese della Cisgiordania di interrompere i rapporti di coordinamento con le forze militari israeliane, in seguito ai piani di Israele di annettere vaste aree del territorio cisgiordano.

“Ed ora stanno chiudendo quasi tutto, qui a Gaza, impedendoci persino di andare all’ospedale per ricevere le cure più semplici”.

La sospensione del coordinamento sulla sicurezza ha reso persino più difficile lasciare la Striscia per i palestinesi, impresa già difficile di per sé ancor prima della pandemia.

Infatti, anche con il coordinamento sulla sicurezza i pazienti di Gaza affrontavano una onerosa procedura per ottenere il permesso militare di Israele di lasciare Gaza. Nel 2017, secondo il WHO, 54 residenti di Gaza sono morti dopo che il loro permesso di viaggiare per sottoporsi a cure, o interventi, è stato negato dai militari israeliani.

Gravi complicazioni.

La madre di Ali Jadallah ha bisogno di sottoporsi a dialisi ogni tre giorni, e prima della pandemia si faceva curare all’ospedale al-Shifa di Gaza. Um Ali, così chiamata da tutti, ha 51 anni e ha sempre avuto il timore di contrarre il virus durante le cure in ospedale ma non poteva fare altrimenti; non sottoporsi a dialisi può causare serie complicazioni.

Il peggio è infatti accaduto. Quando il mese scorso la signora si è recata in ospedale, ha contratto il virus (così come altri tre pazienti) e non solo; lo ha trasmesso anche al marito, alla figlia e al figlio.

“Ero scioccato quando ho scoperto che mia madre aveva contratto il coronavirus”, ha detto Ali. Sua madre è ora stabile ma l’aver contratto il virus l’ha lasciata profondamente scossa.

“Nonostante i dottori dicano che le sue condizioni sono stabili, sono comunque molto preoccupato per lei”.

Usama Jamal, 36 anni, di Khan Yunis nel sud di Gaza, è ancora in attesa di recarsi in Cisgiordania per essere operato al cuore. Tuttavia, con la sospensione della cooperazione sulla sicurezza tra ANP e Israele è impossibile spostarsi.

La sua operazione è stata riprogrammata a Gaza ma lo scoppio della pandemia nella zona costiera ha fatto sì che l’appuntamento venisse posticipato. L’uomo, intanto, è da agosto che non si sottopone a nessun controllo medico.

“La mia salute non è buona”, ha detto al E.I. “Non so se sopravviverò alle condizioni imposte dall’epidemia”.

Un picco drammatico.

Dopo la conferma della trasmissione del virus all’interno della comunità, alla fine di agosto, i casi hanno incominciato ad aumentare drasticamente, insieme al numero dei morti.

Il numero di infezioni verificate è passato da poco più di 200 a fine agosto, a quasi 5800 verso la fine di ottobre. I decessi sono passati da tre a oltre 30 nello stesso periodo.

Ashraf al-Qedra, portavoce del ministero della Salute a Gaza, ha affermato che 13 anni di blocco israeliano sul territorio hanno drammaticamente indebolito il servizio sanitario e minato la capacità del settore sanitario di affrontare la pandemia.

“Ci aspettavamo la diffusione del Coronavirus all’interno della comunità ma siamo ostacolati dall’assedio in corso su Gaza e dalla continua mancanza di supporto per superare queste crisi”, ha detto al-Qedra a E.I.

Il ministero della Salute di Gaza stima che gli ospedali della zona abbiano poco meno della metà dei farmaci essenziali, conseguenza diretta di un assedio che ha visto solo i rifornimenti di emergenza arrivare sul territorio.

“Abbiamo ricevuto pochissimo sostegno e stiamo lavorando con mezzi semplici per superare questa crisi”, ha detto al-Qedra, sottolineando che è diritto di ogni palestinese di Gaza aver garantita un’assistenza sanitaria decente.

I finanziamenti del Qatar sono disponibili ma spesso dipendono dagli accordi di “cessate il fuoco” tra Hamas e Israele.

Avvertimenti inascoltati.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva da tempo avvertito che una pandemia avrebbe potuto colpire Gaza in modo particolarmente duro a causa del blocco di Israele, dell’area geografica ridotta e, allo stesso tempo, dell’elevata densità di popolazione, con oltre 2 milioni di persone per 365 chilometri quadrati.

L’OMS è intervenuto per facilitare il rilascio dei permessi di viaggio ai pazienti di Gaza affinché possano ricevere cure al di fuori della Striscia.

A settembre, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha annunciato che era stato raggiunto un accordo affinché l’OMS aiutasse i cittadini di Gaza a coordinarsi con Israele per gli spostamenti a scopo medico-salutare.

Tali misure di emergenza non affrontano, tuttavia, l’ostacolo della fornitura di assistenza sanitaria a Gaza. Le organizzazioni per i diritti umani, che hanno ripetutamente denunciato la situazione precaria sul territorio, sono demoralizzate.

Samir Zaqout con Al-Mezan, un gruppo che lavora per la tutela dei diritti umani a Gaza, ha affermato che la sua e altre organizzazioni hanno chiesto ripetutamente assistenza ma hanno ottenuto “poche risposte”.

“Lanciamo molte richieste di l’assistenza per Gaza ma non otteniamo sufficienti risposte… Notiamo un certo disinteresse, soprattutto dal mondo arabo”.

Nel frattempo, i pazienti continuano a lottare, spaventati dai tempi incerti.

“Spero che questo incubo finisca presto”, ha detto Suad al-Amoudi. Coloro che soffrono di malattie croniche, ha detto, sono molto preoccupati per la loro salute.

“Non vedo una fine imminente del virus”.

Traduzione per InfoPal di Sara Origgio