L’accesso palestinese alla CPI può non avere alcun significato

Memo. Di Ramona Wadi. “E’ una tragica ironia che Israele, che ha resistito a migliaia di razzi terroristi sparati contro i suoi civili e dintorni, è ora sotto esame da parte della Corte penale internazionale”, così ha affermatoJeff Rathke, del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che sembra aver esaurito tutta la creatività quando si tratta di trovare i motivi per l’adesione della Palestina alla Corte penale internazionale.

Tale adesione è, per i sostenitori di Israele, ingiusta. La breve dichiarazione si è conclusa con un’affermazione finale che denuncia le “azioni contro Israele come controproducenti per la causa della pace”.

Le trattative dirette e il rifiuto di accettare l’esistenza della Palestina come Stato sono tra le ragioni citate dagli statunitensi per la loro opposizione alla domanda dell’Anp di aderire alla Corte penale internazionale (CPI). Il senatore Lindsey Graham ha dichiarato con grande pomposità che la mossa è “incredibilmente offensiva” e ha chiesto che gli aiuti statunitensi siano fermati, tattica già adottata da Israele.
 
Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha alzato la posta in gioco suggerendo anche il ritiro del sostegno finanziario alla CPI. Parlando a Radio Israele, il ministro di estrema destra ha detto: “Faremo richiesta dei nostri amici in Canada, in Australia e in Germania di smettere di finanziarla”. Una ragione data da Lieberman per la sua rappresaglia è che la Corte penale internazionale “non rappresenta nessuno”; è, secondo lui, “un organo politico”.
 
Secondo il Jerusalem Post, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato con arroganza che il sistema legale internazionale rischia di essere smantellamento, se Israele verrà accusato di crimini di guerra.
 
Come altre strutture internazionali, l’esistenza della Corte penale internazionale rappresenta la dominanza egemonica che articola la definizione di terrorismo e di terrorista, e decide a chi devono essere applicate queste etichette. L’impunità di Israele è determinata dalle stesse strutture politiche che salvaguardano la sua illegalità, così l’indagine della CPI sui possibili crimini di guerra, molto probabilmente, fallirà nel produrre risultati anche solo lontanamente lesivi per l’esistenza coloniale di Israele. Tuttavia, la tardiva e debole minaccia diplomatica del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, sarà utilizzata da Israele e Stati Uniti nei loro sforzi per mantenere la dominazione coloniale attraverso la diffusione di una propaganda errata.
 
Israele, insieme a gli Stati Uniti, sta cercando di deviare un esame potenzialmente scomodo delle sue violazioni, utilizzando una combinazione di minacce che, a loro volta, garantiscono il perdurare della sua espansione coloniale e l’ulteriore frammentazione del territorio palestinese. Secondo Washington e Tel Aviv, l’assenza di uno “stato”, nonostante la promozione della Palestina alle Nazioni Unite nel 2012 da entità osservatrice a Stato osservatore, rende irregolare l’adesione della Palestina allo statuto di Roma. Tuttavia, il consenso tacito e costante ad Israele da parte dei leader palestinesi riconosciuti a livello internazionale diluisce l’importanza di una tale mossa e mostra le difficoltà di navigazione attraverso le istituzioni internazionali mentre si assimila alla narrazione del colonizzatore.
 
Finora, le azioni palestinesi sulla scena internazionale sono state caratterizzate da un’adesione alla prosecuzione della colonizzazione israeliana, tra cui l’ultima adesione allo Statuto di Roma, così come i ripetuti tentativi di chiedere il riconoscimento dello stato palestinese al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; pur offrendo numerosi compromessi, la mossa non si è ancora resa rilevante. Se la Corte penale internazionale conferma la sua politica non scritta di perseguire apparentemente solo individui lontani dal vertice del potere, Israele può assicurarsi un altro gesto gratuito, ma senza senso, che va interpretato all’interno dei suoi parametri violenti.
Traduzione di H.F.L.