L’attacco israeliano attraverso le testimonianze di un giornalista di Press Tv

Press Tv. Un giornalista di Press TV, a bordo della Freedom Flotilla, racconta gli abusi contro gli attivisti e la sua terribile esperienza personale in detenzione.

Ha raccontato Ghani, ieri, 3 giugno: “Eravamo distanti circa 90 miglia (150 km) dalle coste israeliane e decisamente nel mezzo delle acque internazionali. 

Tra le prime misure adottate dai membri dell'equipaggio per respingere la violenza dei soldati israeliani; il ricorso ad idranti.

Nello stesso istante, elicotteri israeliani hanno sorvolato nave fino a quando non vi sono atterrati a bordo i commando: poi alcune fregate hanno circondato la nave da tutti i lati.

Ciascun soldato era armato con almeno due armi da fuoco.

“Non appena hanno messo piede sulla nave, hanno aperto il fuoco… e lo hanno fatto così indiscriminatamente che nessuno di noi era in grado di capire la direzione degli spari.

Hanno mirato ai cameraman ed hanno distrutto tutte le attrezzature che avevano con loro, mentre – continua Ghani – uno di noi è stato assassinato con uno sparo dritto al cranio, senza che rappresentasse alcuna minaccia o opponesse resistenza.

Negli scontri corpo a corpo tra attivisti e soldati, qualcuno è anche riuscito a disarmare dei soldati.

“I soldati sparavano in continuazione, anche dopo aver innalzato la bandiera bianca”.

Ghani respinge in pieno le tesi della stampa israeliana secondo cui gli attivisti internazionali della Gaza Freedom Flotilla sarebbero stati armati: “Le uniche armi che qualcuno di noi ha avuto in mano erano quelle strappate ai soldati, in particolare modo dopo che già avevano assassinato alcuni colleghi, e la prima cosa da fare per noi era togliere tutte le pallottole a quelle armi”.

Ghani è rimasto 12 ore sotto sequestro dei soldati israeliani, mani legate ed armi da fuoco puntate alla testa.

“I polsi erano legati così stretti da arrestare la circolazione alla mano destra”.

I soldati hanno poi rubato tutti i beni personali e attrezzature video, gettandoli anche in mare”.

“Ci hanno trattato come animali; non hanno permesso a nessuno di alzarsi, di andare al bagno, e, in quelle circostanze, sono arrivati ad umiliarci pretendendo le nostre suppliche”. 

Ci hanno condotto nel porto di Ashdood senza permetterci di portare con noi nulla dei nostri effetti personali.

Non appena scesi dalla nave hanno preteso di farci firmare una dichiarazione in lingua ebraica (!), poi ci hanno interrogato e smistati tra le varie prigioni dello Stato d'Israele.

Prima della partenza ci hanno consegnato un'altra dichiarazione (“mandato di espulsione”).

Se lo avessimo firmato avremmo ammesso una dichiarazione di colpa (“ingresso illegale in Israele”) [il che è semplicemente assurdo perché tutti sono stati rapiti in acque internazionali e portati in Israele, ndr] e avremmo accettato la deportazione.

Gli attivisti cittadini di quei Paesi che non riconoscono Israele sono stati inviati in Giordania, mentre altri ad Istanbul, a bordo di linee aeree turche.

Diversi attivisti si sono rifiutati di sottoscrivere la dichiarazione di espulsione da Israele, preferendo esporre denuncia e affrontare la giustizia.

Ghani riporta infine numerosi casi di abusi e maltrattamenti, dalle celle di detenzione fino alle stanze dell'aeroporto.

Durante la detenzione, Israele non ha permesso agli attivisti di contattare un avvocato o i propri familiari.

Questo, tra le altre cose, è un violazione alla stessa legislazione carceraria dello stato d'Israele.

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