Le conseguenze dell’oppressione israeliana: i pescatori abbandonano il mare e si aggiungono alla lista dei disoccupati

Gaza – Speciale Infopal. La pesca è una tra le professioni più pericolose nella Striscia di Gaza e questo a causa dei rischi a cui i pescatori vengono sottoposti dalle forze d’occupazione israeliane, impegnate nell’osteggiarne il lavoro tramite il ricorso al fuoco delle cannonate contro le imbarcazioni al largo delle coste.

Sono decine i pescatori che – sottoposti a simili pratiche brutali – ogni anno abbandonano questo mestiere perchè esposti alla morte, al ferimento e alla distruzione delle piccole barche acquistate a gran fatica,  spesso anche vendendo i gioielli delle proprie donne. Con questo perciò, si allunga la lista dei poveri, in aumento quotidiano, soprattutto in seguito al blocco imposto da Israele sulla Striscia di Gaza.

Diminuzione del limite di pesca in mare.

“Samed Abu ‘Abdo” è uno di questi pescatori costretti a rinunciare al suo mestiere. L’uomo di 45 anni ha affermato: quando ancora le forze d’occupazione israeliane ci permettavano di uscire e di addentrarci in  mare, per anni la pesca ci ha garantito buoni introiti. Pescavamo diverse specie di pesce e di ottima qualità. Tra le conseguenze dell’opprimente blocco imposto sulla Striscia di Gaza, abbiamo assistito alla diminuzione della distanza in mare permessa alla pesca, ridotta da 20 a meno di tre miglia. Nella maggioranza dei casi siamo stati costretti a rinunciare alla nostra attività perchè ci è stato aperto il fuoco contro”.

Nel suo racconto, ‘Abdo prosegue: il 29 agosto, durante un’escursione in mare, una nave da guerra israeliana mi si è affiancata e, mentre i soldati israeliani ci deridevano, hanno aperto il fuoco contro la mia barca distruggendola in pochi istanti e hanno ferito mio figlio “Hussam”, che era con me sull’imbarcazione. E' rimasto dieci mesi in ospedale, fino al momento della guarigione.

Continua ‘Abdo: dopo la distruzione della mia barca e soprattutto dopo che avevo quasi perso mio figlio per mano dell’oppressione israeliana, ho deciso di abbandonare questa rischiosa professione, segnata dalla morte e che riguarda tutti i pescatori palestinesi.

Abu ‘Abdo e la sua famiglia vivono grazie agli aiuti delle agenzie umanitarie che tuttavia non sono sufficienti a sfamarne gli otto membri. L’uomo è costretto a lavorare ad intermittenza in campagna, settore che avanza a dispetto del blocco israeliano.

Sono 3600 i pescatori della Striscia di Gaza che soffrono le conseguenze della brutale violenza israeliana, privi di qualunque supporto e le cui famiglie sono costrette a condurre una vita di stenti, al punto di dover abbandonare questo mestiere e ripiegare sull’agricoltura.

In base a quanto dichiarato da “Nizar ‘Yash”, rappresentante dei pescatori, l’unico problema per la pesca palestinese è l’occupazione israeliana, ed è evidente come le aggressive pratiche abbiano causato la devastazione del settore ittico gravando sugli sforzi dei pescatori di Gaza.

Furto dell’equipaggiamento.

‘Yash segnala che nell’ultimo periodo l’occupazione israeliana ha sequestrato oltre 120 motori, distruggendo circa 450 barche da pesca e, dall’ultima guerra sferrata contro Gaza, ha imposto un ulteriore limite – di tre miglia – alla distanza permessa alla pesca nelle acque di Gaza.

A nome delle migliaia di pescatori, ‘Yash ha sollecitato le organizzazioni legali ed internazionali affinché si ponga fine alla difficile realtà di sopravvivenza in cui sono costretti a causa delle misure adottate dall’occupazione. ‘Yash ha chiesto anche assicurazioni per condurre una vita dignitosa, per il bene dei  propri  bambini, chiedendo di fare pressioni sul governo d’occupazione perché permetta ai pescatori di ritornare ad esercitare la loro attività mentre sono al largo delle coste.

Si ricorda che, dall’inizio dell’Intifada di Al-Aqsa, l’occupazione israeliana ha imposto gradualmente delle restrizioni alla distanza permessa alla pesca nelle acque di Gaza da 20 miglia fino a sole tre dopo l’ultima guerra contro la Striscia di Gaza.

Ricatto morale.

I patimenti sofferti dai pescatori palestinesi non finiscono con la restrizione della loro attività nella acque di Gaza ma vivono pure morte e maltrattamenti. Infatti, da meno di una settimana le forze d’occupazione israeliane hanno arrestato diversi pescatori e, nella maggioranza dei casi, lo hanno fatto estorcendo o sottoponendo a contrattazione ciò che per essi è mezzo di sussistenza, e lo hanno fatto con atteggiamento di spionaggio contro gli abitanti della Striscia di Gaza.

Stando ad informazioni rilasciate dall’organizzazione dei prigionieri “Wa’ed”, l’80% degli arresti ha riguardato giovani pescatori tra i 18 e i 35 anni d’età. I periodi di detenzione oscillano da una settimana a tre mesi e solo in qualche caso il rilascio è avvenuto entro le 24 ore, senza però la restituzione delle barche che, ricordiamo, rappresentano l’unico mezzo di sostentamento per questi pescatori.

La completa chiusura imposta sulle acque della Striscia di Gaza continua sin dall’imposizione del blocco israeliano sul territorio che ha avuto inizio in seguito alla cattura – nel giugno 2006 – ad opera di gruppi della resistenza  palestinese, del soldato israeliano “Gilad Shalit” mentre da un carrarmato era impegnato a sparare contro le abitazioni di Rafah, a sud della Striscia di Gaza.

 (Traduzione di Elisa Gennaro)

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