Le guerre israeliane contro il popolo palestinese.

di 'Abdel Sattar Qassem*


Memo. E' facile credere che il popolo palestinese stia affrontando un'unica grande guerra; quella dell'assedio su Gaza e dell'occupazione in Cisgiordania, contenendo quindi, l'intera questione palestinese, tra questi due estremi dei quali fa da appendice la convinzione che in Cisgiordania siano in corso dei negoziati per mano di un'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) – pienamente operativa sotto il controllo di Israele.

Certo, i mass-media ricoprono un ruolo fondamentale nel concentrare tutto l'attenzione del caso esattamente su questi due aspetti dominanti.
Seguendo la logica di questi meccanismi, l'occupazione del 1967 scaccia quella del 1948 e con essa anche i diritti fondamentali del popolo palestinese come 'il diritto al ritorno' nelle proprie case e sulla propria terra natia.

Tuttavia, sarebbe opportuno scavare – ma non troppo – nella questione palestinese e ritrovare altre incognite – tutte parte integrante della strategia israeliana di rendere esausti i palestinesi e di sfidare la pazienza e la resistenza di un popolo che vive sotto occupazione.
L'obiettivo resta quello di dissolvere la nozione di nazione palestinese e circoscrivere la lotta a livello individuale mentre Israele continua ad afferrare tutto quello che può per amore dei propri interessi coloniali.

La guerra dei salari. La guerra dei salari è una realtà che riguarda principalmente la Cisgiordania al fine di acquietare e silenziare la gente concedendo posti di lavoro legati ai finanziamenti dei paesi donatori – controllati da Israele e Usa. É una guerra che converte i detentori di un diritto in guardiani dello stato di Israele e presenta le seguenti caratteristiche.

A) In tempi recenti, il numero di dipendenti dell'Anp è aumentato – quindi altre famiglie dipendono dai suoi salari e come conseguenza naturale – saranno riluttanti ad adottare metodi di resistenza o anche di semplice sfida all'occupazione.
Un impiegato dell'Anp dovrà infatti pensarci almeno due volte prima di esprimere un'opinione o di promuovere qualunque azione contro Israele – potrebbe perdere il proprio posto di lavoro. I paesi donatori – al pari i Israele e Usa- non finanzieranno i salari per chi si oppone ai 'negoziati' tra Israele e palestinesi;

B) Colpendo economia e produzione agricola, le autorità di occupazione hanno creato un tasso di disoccupazione tale da condurre la gente a ricercare meglio un posto da dipendenti dell'Anp piuttosto che intraprendere un'attività di lavoro autonomo.
Per fare un solo esempio: i servizi di sicurezza palestinesi – strettamente coordinati con le forze di occupazione israeliane con mansioni di pattugliamento dell'occupazione – possono vantare più dipendenti di quanti se ne registrino nel resto dei settori produttivi come quello commerciale.
Quest'ultimo esempio fa luce pure su un altro aspetto di questa guerra: crea la garanzia del monopolio su produzione e distribuzione commerciale di Israele.
Commercianti, fabbri e carpentieri sono diminuiti drasticamente e un'offerta di lavoro negli apparati del governo dell'Anp rende tutto molto più appetibile;

C) I benefici derivanti da posizioni lavorative 'senior' presso l'Anp sono, infatti, un'attrattiva decisiva: cellulari, automobili di lusso, agevolazioni in viaggi e spostamenti, carburante e 'VIP cards';

D) E' degno di nota specificare che, quello stesso circolo di fiducia verso queste realtà (apparati dell'Anp) viene meno ogni volta in cui la società civile palestinese riscontra sul terreno la repressione dell'occupazione per mano delle stesse forze di sicurezza palestinesi.
Sin dall'istituzione dell'Anp (1993-1994), nessuno – tra coloro che erano sospettati di opporsi ad Israele o alla stessa Anp – ha mai potuto aspirare ad un posto di governo;

E) Strumentalizzando l'educazione e altri eventi a sfondo sociale, l'Anp tenta di rendere labile una coscienza nazionale palestinese, facendo della popolazione palestinese una massa di consumatori preoccupati esclusivamente dei propri interessi.

La guerra per 'Israelizzare' i cittadini palestinesi


Si tratta di una guerra diretta a colpire i palestinesi che – nel 1948 – ebbero la forza e/o la fortuna di restare nelle proprie abitazioni, in quelli conosciuti come Territori Palestinesi Occupati nel '48 (oggi Israele).

Questa guerra tende a fare dei cittadini palestinesi all'interno dello stato di Israele dei 'buoni israeliani' al servizio della causa sionista, la stessa ideologia politica che rende 'lecito' ogni abuso contro di essi, che confisca le loro terre e che li priva dei diritti umani e nazionali fondamentali.
Riemerge allora, il ruolo dei Mass Media che li definiscono meramente 'arabi di Israele', procedendo ad una negazione della loro identità palestinese preferendo creare meglio un collegamento tra questi e lo stato di Israele.

A dispetto della creazione di suddetto legame 'artificiale' e di fronte ai fallimenti palestinesi per una loro protezione, i palestinesi, cittadini dello stato di Israele, conservano una forte identità palestinese, araba e musulmana.

La guerra dell'assedio. Fino al 2007, la Striscia di Gaza era sottoposta alle medesime guerre, tutt'ora in corso, in Cisgiordania – poi, è giunto il blocco totale.
Israele è il primo esecut
ore materiale dell'assedio e, a seguire, Usa, Unione Europea (Ue), Russia, stati arabi (vedi l'Egitto) e la stessa Anp lavorano in stretta complicità per il mantenimento dell'embargo su Gaza.
La motivazione presunta a giustificazione di questa punizione collettiva voleva essere 'colpire e punire il popolo di Gaza per aver scelto democraticamente il governo di Hamas e convincere quei palestinesi a rivoltarsi contro per abbracciare quello Anp-Fatah'.
La guerra contro Gaza – tra il 2008 e il 2009 – e i soprusi quotidiani contro la Striscia di Gaza; tutto corre di pari passo con il blocco totale (quindi quello marittimo, terreste e aereo).
Quanto accade con l'azione delle navi internazionali dirette a Gaza, può annoverarsi tra i successi e, l'effetto mediatico non ha precedenti.

La guerra di persecuzione ed umiliazione.
Si tratta di una guerra mossa dai paesi arabi nei confronti dei palestinesi: sempre e comunque considerati colpevoli fino a innocenza provata.
In questo contesto bellico anche la rivendicazione di liberazione della Palestina e di protezione della sua popolazione – restituendo loro i diritti umani e nazionali di cui sono stati derubati – potrebbe costituire un reato.
Altro non è che una forma di complicità che agevola la commissione materiale dei crimini sionisti.

I palestinesi sono sottoposti ad interrogatori e abusi da parte dei servizi di sicurezza dei paesi arabi – fino a quando non dimostrano di accettare idee e ideologie di quegli stessi regimi – conformate a quelle occidentali.

Dopo gli accordi di Oslo, polizia e servizi di sicurezza palestinesi venivano creati proprio come quinta colonna di Israele per controllo e repressione dei cittadini 'ordinari' palestinesi, contro resistenza e civili.
Israele e Usa intanto, garantiranno per la protezione contro possibili colpi di stato nei confronti di questi regimi arabi.

Se esistono delle differenze, esse sono da ricercarsi nella diversità dei paesi arabi dove i palestinesi sono stati costretti a rifugiarsi.

E così, i rifugiati palestinesi in Libano si vedono negati numerosi diritti umani fondamentali.
E' un espediente perché non si realizzino i presupposti per una loro emancipazione e, 'nel peggiore dei casi', giungano a rivendicare 'stranezze' del tipo 'ritorno nella propria madre patria', la Palestina.
Piuttosto, sebbene profondamente riluttanti, questi paesi devono fare in modo che prevalga le possibilità di una loro residenza permanente.
Semmai, in questi paesi, si incoraggia un'emigrazione giovane così da facilitare la cancellazione della memoria nazionale e, in definitiva, si realizzi l'abbandono della propria causa nazionale.

In Giordania fu chiaro sin da principio che il paese voleva fungere da patria alternativa alla Palestina attraverso il processo di 'naturalizzazione' e del riconoscimento dei 'diritti civili' dei palestinesi.

Solo di fronte a dichiarazioni estremiste – come quelle dell'attuale governo di estrema destra di Netanyahu – 'La riva ad est del fiume Giordano (la Giordania nrd) è la patria dei palestinesi', la monarchia giordana hashemita reagisce – sebbene lo faccia sempre e ripetutamente in maniera timida.
Nella maggior parte dei paesi arabi, i palestinesi sono 'anime perdute', confinate a consumare cibo, a dormire, a bere e ad interagire con gli affari palestinesi – pagando il prezzo dell'accusa di tradimento.

La guerra dell'espulsione. I palestinesi che vivono nei paesi arabi vivono in un ordinario stato di minacce e oltraggi; la migrazione è una realtà e Israele incoraggia anche questo fenomeno.
Paesi come Norvegia, Svezia, Canada, Australia e Usa hanno facilitato enormemente le procedure di ingresso per i palestinesi.
Per essi, non vigono più le restrizioni valide per il resto dei cittadini extraeuropei e i palestinesi che presentano istanza di residenza in questi paesi lo fanno in qualità di rifugiato.
Rifugiato non solo dalla madre patria Palestina ma rifugiato dalla stessa causa palestinese.
Si tratta di misure che facilitano il lavoro di pulizia etnica del sionismo, svuotando la Palestina dei suoi abitanti originari: i palestinesi.

Guerre fallimentari. Nonostante i ricorrenti sforzi di Israele, degli Stati Uniti e dei paesi arabi nella conduzione di queste guerre, altrettanto ricorrenti sono stati i loro fallimenti.
Certo, bisogna pur ammetter che, perseguendo simili politiche di repressione di un intero popolo, qualcosa sia stato raggiunto tuttavia, l'obiettivo dominante per lo sradicamento del popolo palestinese dalla propria terra e l'allontanamento dai diritti nazionali non ha raggiunto il successo sperato.
La coscienza delle popolazioni arabe emerge di giorno in giorno e cresce parallelamente ad una coscienza musulmana – sempre più presente e partecipe nella vita politica.
Il sostegno alla causa palestinese può vantare oggi di questo consenso popolare di massa.
Il prodotto potrà solo apportare benefici alla causa palestinese.

Come cittadino della più grande città della Cisgiordania, Nablus, sono anche testimone delle principali difficoltà che affrontano i palestinesi.
Viviamo sotto il tiro di tutte queste guerre – su tutti i livelli – con le quali si tenta di reprimere e umiliare costantemente la popolazione intera.
Chi era accusato di lavorare per Israele oggi assurge a leader della Palestina.
Tuttavia, il profilo qui tracciato è da considerarsi una situazione temporanea.

Contro la guerra. Il ruolo della diaspora palestinese non è da sottovalutare.
Anzi, si tratta di una potente versione di una causa palestinese emancipata e cosciente del potenziale di cui dispone all'estero.
Consapevoli e capaci di affrontare gli attacchi mediatici, politici e culturali, contribuiscono alla realizzazione dell'unità dei palestinesi nella loro causa.
Riguardo alla causa palestinese, si constata una coesione, regionale e globale, in positivo e media arabi come al-Jazeera, al-Manar, al-Raie contribuiscono enormemente alla acquisizione di quest'unità a partire da quella popolare tra palestinesi assediati della Striscia di Gaza e palestinesi umiliati e repressi della Cisgiordania.

Tutti infine, dovranno pur ritornare a svolgere un ruolo attivo e decisionale sul proprio destino di nazione, quella palestinese.

*'Abdel Sattar Qassem: nato nel 1948 a Deir al-Ghussun, villaggio nel distretto di Tulkarem, ha studiato Scienze Politiche all'Università Americana de Il Cairo per conseguire il dottorato negli Stati Uniti (Università del Missouri). La sua carriera universitaria iniziò in Giordania ma nel 1979 fu licenziato per 'ragioni di sicurezza'. Dal 1980 ad oggi, insegna Scienze politiche all'Università 'an-Najah' di Nablus (Cisgiordania) dove è pure capo del consiglio accademico. Nel 1981 e nel 1988 ha vissuto l'esperienza della prigione israeliana per aver scritto e pubblicato alcuni libri – prontamente messi al bando.
È stato attivista politico durante la prima Intifadha pagando con 32 settimane di carcere dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) per dissidenza.
A più riprese, Israele lo ha condannato agli arresti domiciliari imponendogli il divieto di lasciare il paese per 20 anni.
Ha subìto vari attentati che lo stesso Qassem imputa alle forze di sicurezza dell'Anp e, nel 1999 viene riarrestato per aver firmato una nota petizione di politici e accademici palestinesi contro la corruzione dell'Anp.
È stato insignito di numerosi riconoscimenti regionali ed internazionali per la ricerca e per la difesa dei diritti umani e, soprattutto – nella storia palestinese è il primo attivista ad aver dichiarato pubblicamente di voler sfidare il presidente 'Arafat alle elezioni presidenziali (maggio 2002).

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