L’interposizione è possibile. Ma dov’erano i pacifisti?

Da www.ilmanifesto.it del 26 agosto

L’interposizione è possibile. Ma dov’erano i pacifisti?

Tommaso di Francesco
Sì, no, non lo so. In Italia quel grande movimento della pace, definito dal New York Times la «seconda potenza mondiale», che a pochi giorni dallo scatenamento della guerra americana contro l’Iraq riempì le piazze del mondo di milioni di persone, sulla guerra in Libano appare in frantumi, diviso e, peggio ancora, silenzioso. Oggi la Tavola della Pace ha chiamato a manifestare nella sede tradizionale di Assisi contro la guerra e a favore della imminente missione militare italiana di interposizione. Molti invece non saranno presenti e, in contrapposizione, convocano altre iniziative.
Diciamo subito che il manifesto culturalmente sostiene tutte le iniziative contro la guerra, a partire da quella di Assisi di oggi fino a quelle dei prossimi giorni. Perché sarebbe a dir poco delegittimante l’esistenza di due contrapposti movimenti della pace. Ma appare chiaro che nelle diverse posizioni che si esprimono emerge una diffusa incapacità a rispondere alle profonde domande che la guerra in Libano ha posto. A tutti. A partire da una onesta dichiarazione di verità: in 33 giorni di sanguinosa guerra nessuno, ma proprio nessuno dei pacifisti che adesso decidono di manifestare divisi, è stato significativamente presente. Siamo stati tutti a guardare la fiction che ora Amnesty International correttamente chiama «crimini di guerra». Era ferragosto? A Tel Aviv erano in migliaia dopo la prima settimana di bombardamenti contro i civili libanesi e centomila a Londra. Partiamo dunque da questa assenza. Stavolta lo chiediamo noi: dov’erano i pacifisti? Così ora non è possibile appellarsi al «movimento» senza affrontare due argomenti. Il primo è che questa «potenza mondiale» ha fallito nel marzo 2003 l’obiettivo di fermare la guerra di Bush, che alla fine si è dimostrata il disastro che è sotto gli occhi di tutti perché qualcuno – insurgent, insorti li chiamano ormai i giornali Usa – si è opposto con le armi agli occupanti. Il secondo è che è ormai impossibile non vedere che la realtà del nuovo governo di centrosinistra, il «governo amico», ha contribuito alla non-risposta. Fu nella recente guerra del Kosovo che D’Alema disse che se non ci fosse stata la sinistra al governo le piazze pacifiste sarebbero state piene. Quante forze politiche, che hanno mobilitato in massa le persone contro la guerra all’Iraq, si sono sottratte a questo compito di fronte alle nuove prove del conflitto in Palestina e in Libano, convinte che la sede del governo non fosse consona a risposte di movimento?
Allo stesso tempo proprio questa nuova dimensione «di governo» propone occasioni, sfide e risposte mai poste finora – come l’importante richiesta ufficiale di Rifondazione di uscire dalla guerra in Afghanistan, per utilizzare forze, uomini e fondi per l’interposizione in Libano. Perché appare chiaro a tutti che una cosa è la partecipazione ad una guerra d’aggressione di un’alleanza militare come la Nato come fosse «costituente», cioè tragica prova della legittimità della sinistra italiana a governare, altra cosa è accettare la sfida, anch’essa «costituente», a ricostituire uno schieramento politico e militare per una forza d’interposizione delle Nazioni unite. Perdipiù richiesta da tutte le forze sul terreno, da Israele agli Hezbollah, dal Libano al governo palestinese di Hamas e all’Anp, dalla Francia agli Stati uniti. Una totalità che certo non diminuisce le ambiguità ma propone che l’occasione non sia persa, anche se servisse solo ad allungare la tregua d’armi, essendo la pace in Medio Oriente ben altra cosa. Verso una internazionalizzazione positiva della crisi che sottragga il Medio Oriente alla voragine del guerra infinita di Bush. E la questione storica di fondo che resta da risolvere – che ha fatto carta straccia di tante risoluzioni dell’Onu – è l’occupazione militare da parte di Israele dei territori palestinesi, siriani e libanesi.
Così non si può più disdegnare il discorso dell’interposizione di pace, soprattutto se il comando delle forze resta delle Nazioni unite – come chiede padre Alex Zanotelli. La guerra nei Balcani ce l’ha insegnato. Lì però l’Onu è stata massacrata, mandata volutamente allo sbaraglio, delegittimata in primis dalle potenze che con i nazionalismi armati miravano a spartirsi territorio e sfere d’influenza. Il risultato non è stata la pace ma un deserto chiamato protettorati militari. Ora le guerre in Afghanistan, Iraq e Libano hanno trasformato l’Onu in un ammasso di macerie. Quanto vale dunque una risoluzione del Consiglio di sicurezza in un Medio Oriente dove Israele ha stracciato quelle decisive precedenti e dove continua la guerra americana? Se si parla di interposizione, perché il territorio della missione deve essere solo quello libanese, visto che quel confine è stato sempre sanguinosamente attraversato dai carri armati israeliani? Se, come promette perfino Prodi, dopo il Libano si ha a cuore anche la questione della Palestina, una eventuale interposizione non potrà certo mangiare militarmente altro territorio palestinese. Se si parla d’interposizione, il governo salvaguarderà l’autonomia dell’intervento umanitario delle Ong dalle sue strutture istituzionali e da quelle dei militari, come Iraq e Afghanistan hanno insegnato? La ricostruzione sarà elemosina spartitoria come purtroppo già appare o verrà posta la questione dei danni di guerra secondo il diritto internazionale? Bush e Olmert continuano a chiedere chi disarmerà Hezbollah, auspicando una «risoluzione n° 2». Ma forse sarebbe meglio chiedersi chi disarmerà Israele, visto che il pericolo per la nuova missione Unifil può venire dalle rappresaglie dell’aviazione israeliana presentate come «diritto all’autodifesa», com’è accaduto con l’uccisione di quattro osservatori dell’Onu solo 25 giorni fa,. Allora perché l’attuale governo di centrosinistra non sospende subito l’accordo di cooperazione militare stipulato nel 2005 tra Italia e Israele?
Sono garanzie irrinunciabili, dicono però che l’interposizione è possibile, che la guerra può essere fermata, arginata. Pena un baratro che nell’area richiama il pericolo nucleare. E riguardano sia il governo sia tutto il movimento della pace che dobbiamo costruire.

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