L’Italia scelga tra sudditanza e dignità

 Di Patrizia Cecconi.  C’è un mistero che molti cercano di svelare ma che ancora rimane coperto da un impenetrabile e spesso velo: come sia possibile che il paese più illegale al mondo, quello che ha ignorato decine e decine di Risoluzioni Onu, quello che è in flagranza di reato continuata e palese rispetto alla legalità internazionale, possa ancora godere del rispetto e, in molti casi, dell’ossequio subalterno e servile di molti Stati democratici. Tra questi l’Italia.

Stiamo parlando dello Stato di Israele. E non ci riferiamo in questo momento alle numerosissime violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi, né ci riferiamo alle sue alleanze con uno dei paesi attualmente più retrivi e pericolosi, quale l’Arabia Saudita, o al suo passato di sostegno militare all’apartheid sudafricana. No. Ci riferiamo semplicemente all’arbitrario e scorretto trattamento riservato ai nostri connazionali, quindi cittadini di un paese, che ci piaccia o meno, di Israele è amico. Forse anche più che amico, forse suddito. E questo non ci piace.

L’ultima esperienza che ci fa vergognare di essere cittadini di uno Stato solo formalmente sovrano, risale a pochi giorni fa ed è il trattamento subito da una compagnia teatrale italiana che andava in Palestina per completare un progetto già iniziato e, certo, lontano mille miglia e addirittura antitetico al benché minimo sospetto di sostegno al terrorismo.

Cos’è successo è dettagliatamente spiegato in un dossier  presentato dalle vittime dell’espulsione, ma in sostanza, parte da due elementi fondamentali: 1°, l’arbitrio di chi detiene le chiavi per entrare in Palestina e, quindi, di fatto, tiene anche la Cisgiordania sotto assedio come la Striscia di Gaza, sebbene in modo diverso;  2°, il razzismo nei confronti di un ragazzo italiano, ma di origine marocchina, facente parte della compagnia e  che, in quanto “somaticamente sospettabile”, oltre ad essere stato sottoposto a veri e propri abusi, ha incolpevolmente trascinato con sé il resto del  gruppo.

Il Consolato italiano è stato immediatamente allertato, perché il primo ruolo che in questi casi dovrebbe avere un Consolato sarebbe quello di proteggere i propri connazionali. Ma forse non quando lo Stato che pratica il sopruso si chiama Israele! E’ una triste e poco dignitosa realtà che si ripete continuamente e che mostra inequivocabilmente la sudditanza italiana a questo Stato che, de facto se non de jure, esibisce  al mondo la sua superiorità rispetto ad ogni altro Paese, calpestando senza patire  alcuna sanzione, il Diritto internazionale.

Cos’è successo dunque all’aeroporto di Tel Aviv dove il gruppo è atterrato? Premettiamo che i giovani israeliani addetti al controllo, quando alla richiesta sul “dove si va” si risponde, per esempio (e per errore) a Betlemme, vuoi per crassa ignoranza, o vuoi per vile arroganza, rispondono che non si spiegano perché tutta questa gente che vuole andare nei “territori” (loro non usano la parola Palestina e neanche, ovviamente, l’aggettivo “occupati”) atterra in Israele!  Purtroppo, da un’indagine su un campione casuale di una trentina di persone abbiamo scoperto che pochissimi  sanno che la Palestina ormai è l’equivalente di un fondo chiuso e che, dopo aver distrutto l’aeroporto di Gaza e inglobato quello di Qalandia, Israele è diventato il tenutario unico delle chiavi di entrata e di uscita dalla Palestina. Anche l’accesso dalla Giordania attraverso il ponte di Allenby è controllato dai soldati israeliani, quindi la Cisgiordania è esattamente quello che in termini giuridici si definisce un “fondo chiuso”,  per accedere al quale si deve utilizzare una “servitù di passaggio” e Israele, che circonda e controlla ogni accesso avrebbe la funzione esclusiva di servitù di passaggio, mentre in realtà ha la funzione di assediante che decide chi entra e chi esce e chi no.

La compagnia teatrale respinta, il cui nome è Anticamera Teatro di Torino, era composta di 5 persone, tutte piuttosto giovani, cosa che non piace mai ai controlli israeliani, come non piace affatto che si dica esplicitamente che si va in Palestina e magari che si va a sviluppare un progetto culturale che possa coinvolgere gli abitanti di uno dei tanti campi profughi. I due responsabili del progetto, le due attrici e l’interprete sapevano bene tutto questo per precedenti esperienze sia dirette che raccontate  e quindi hanno abbassato la testa alla ridicola e arbitraria pretesa israeliana di negare la Palestina, dicendo che andavano per turismo a visitare la Terrasanta. Questa forzata e abituale bugia non umilia tanto chi è costretto a dirla, quanto i princìpi democratici riconosciuti sia dalla nostra Costituzione che dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Quindi umilia tutte e tutti noi che in quei princìpi ci riconosciamo. Umilia anche quegli  israeliani  che un giorno saranno costretti a vergognarsi  di ciò che hanno fatto i loro governi. Noi italiani, ma anche i tedeschi, siamo indotti  a provarlo quel tipo di vergogna, anche se per ragioni anagrafiche non ne siamo responsabili, perché in fondo ci basta guardare a un passato storicamente non troppo lontano. Quello stesso passato che strumentalmente viene utilizzato per consentire a Israele ciò che a nessuna democrazia dovrebbe essere consentito.

E allora, se si vuole entrare in Palestina, essendo costretti a passare sotto le forche caudine di chi ne detiene le chiavi, si deve mentire.  Ma se si ha “il difetto” di chiamarsi Mohammad ed avere caratteri somatici arabi o nord africani, anche se si ha cittadinanza italiana, le cose possono mettersi male. Anticamera Teatro, per sviluppare il suo progetto il cui tema era “quali conflitti genera il conflitto?” aveva bisogno di un interprete ed ecco quindi che il giovane interprete, essendo di origine marocchina e lingua araba oltre che italiana visto che in Italia è arrivato all’età di 6 mesi, è stato l’involontario artefice del fermo di polizia prima, quindi di una notte di detenzione, interrogatori senza testimoni  né avvocati,  perquisizioni corporali, violazione della privacy nei computer e nei cellulari e, infine, espulsione senza altro motivo che l’arbitrio, timbrato come public safety per Mohammad e come prevention of illegal immigration per Marco e Valentina, i due responsabili di Anticamera Teatro. Alle due attrici invece è andata meglio, forse perché avevano dei parenti in Israele o forse sempre per quel puro e semplice arbitrio, a loro, dopo alcune ore di fermo e interrogatori,  è stato concesso un permesso turistico di 8 giorni. Cosa che ovviamente non hanno potuto sfruttare essendo andate per un lavoro che senza gli altri era impossibile sviluppare.

I tre ragazzi espulsi, esattamente come dei malviventi, dopo la notte in cella, sono stati caricati su un furgone blindato e condotti in aeroporto dove hanno subito altre perquisizioni (corporali e intime per Mohammad, privilegio evidentemente riservato a chi ha tratti non ariani)  e quindi caricati sull’aereo privi dei loro documenti, affidati dai militari israeliani al personale di bordo con l’incarico di consegnarli alla polizia dell’aeroporto di arrivo. Qui, ancora come dei malviventi, per ordine di Israele – che evidentemente è in grado di allungare la sua capacità di comando anche sul territorio della Repubblica Italiana – i tre ragazzi sono stati prelevati da una pattuglia della polizia e finalmente, dopo altri controlli, lasciati tornare in libertà come in fondo prevedono gli artt. 2, 3, 10, 13 e  16 della nostra Costituzione.

E il Consolato italiano? Sono passati ormai parecchi giorni da questo ennesimo abuso da parte di Israele. Ci chiediamo se ferire la dignità di uno o più cittadini italiani per puro arbitrario abuso di potere non dovrebbe ferire anche la dignità di chi  questi cittadini li rappresenta! Cosa dice il Consolato? Ancora non parla, così come non ha parlato e forse non parlerà in altre centinaia di casi simili? e noi seguitiamo a chiedercene il perché.

A noi, nati nell’Italia repubblicana, hanno insegnato la differenza tra l’essere sudditi e l’essere cittadini, e l’abbiamo imparata, o almeno l’hanno imparata tutti coloro che nella democrazia autentica ci credono. Ma se è odioso non veder  riconosciuti – senza aver commesso alcun reato – i diritti di cittadino libero nello Stato di Israele, Stato che non riconosce la legalità internazionale, ancor di più lo è il vedere i rappresentanti del proprio Stato – che invece la legalità internazionale la riconosce – incapaci di tutelarli i propri cittadini, sapendo che ad essi vengono conculcati arbitrariamente – è il caso di ripeterlo – quei diritti  su cui è basata la nostra Costituzione e che l’Italia riconosce ai cittadini israeliani.

Nel rapporto preparato dai due responsabili del progetto è scritto “E’ stata lesa la nostra dignità di persone e di cittadini italiani. Siamo stati messi nella condizione di non avere più diritti e nessuna tutela.”

Quel rapporto è stato inviato più di dieci giorni fa  al Consolato Italiano a Gerusalemme ed agli onorevoli e senatori delle commissioni degli Affari Esteri, ma non risulta che ci sia stata ancora una qualche risposta. Forse vincerà anche questa volta la sudditanza sulla dignità?

Lo sapremo presto, ma quel mistero di cui si parlava all’inizio vorremmo che venisse svelato, ne beneficerebbero anche gli stessi cittadini democratici (non molti probabilmente) di Israele, ma soprattutto vorremmo poter dire che il nostro Paese tutela i propri cittadini e che tra dignità e sudditanza  è in grado di scegliere la prima. Seguiremo il caso prima di dare una risposta definitiva.