Lo Stato Islamico è il cancro del capitalismo moderno

islamic state AAMiddleeasteye.net. Di Nafeez Ahmed. Il brutale «Stato Islamico» è il sintomo di una profonda crisi della civiltà fondata sulla dipendenza dall’energia fossile, che mina l’egemonia dell’Occidente  e il potere statale nel mondo islamico.
Il dibattito sulle origini dello Stato Islamico (Is) oscilla in gran parte tra due prospettive estreme. Una incolpa l’Occidente – l’Is non sarebbe altro che la reazione prevedibile all’occupazione dell’Iraq, una reazione alla politica estera occidentale. L’altra attribuisce l’emergenza dell’Is unicamente alla barbarie storica e culturale del mondo islamico – le cui credenze e i cui valori retrogradi fanno da incubatrice a un tale violento estremismo.
Le infrastrutture materiali, mentre questo banale dibattito si dilunga, rappresentano l’elefante nella stanza. Ognuno può avere idee cattive, orrende, disgustose, ma esse possono solo essere fantasie a meno che non troviamo un modo per manifestarle materialmente nel mondo intorno a noi.
Così, per comprendere come l’ideologia che anima l’Is sia riuscita a guadagnare le risorse materiali per conquistare un’area più estesa della Gran Bretagna, dobbiamo analizzare più da vicino il suo contesto materiale.
Seguire il denaro
Le basi per l’ideologia di al-Qa’ida sono nate negli anni Settanta. ‘Abdullah ‘Azzam, il mentore palestinese di Osama bin Laden, formulò una nuova teoria per giustificare le continue guerre a bassa intensità da parte di cellule disperse di combattenti per uno Stato pan-islamista. Le dottrine violente di ‘Azzam si diffusero nel contesto dell’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Com’è noto, la rete afgana di combattenti venne addestrata e finanziata sotto supervisione della Cia, del Mi6 e del Pentagono. Gli Stati del Golfo fornirono enormi somme di denaro, mentre i servizi di intelligence pakistani (Isi) collaborarono sul territorio, nella gestione della rete di militanti, in collaborazione con ‘Azzam, bin Laden e altri.
L’amministrazione Reagan, ad esempio, fornì 2 miliardi di dollari ai combattenti afgani, e altri 2 miliardi arrivarono dall’Arabia Saudita.
In Afghanistan, secondo il Washington Post, l’Usaid investì milioni di dollari nella creazione di «testi scolastici pieni di immagini violente e di insegnamenti di militanza islamica» da destinare agli scolari. La teologia che giustifica la jihad violenta venne cosparsa di «immagini di armi, pallottole, soldati e mine». I testi scolastici addirittura prevedevano premi celesti per i bambini che avessero «strappato gli occhi o tagliato le gambe al nemico sovietico».
Secondo la saggezza comune questa disastrosa configurazione della collaborazione del mondo occidentale-musulmano portò al collasso dell’Unione Sovietica. Come io dissi alla testimonianza rilasciata al Congresso un anno dopo l’uscita del rapporto della Commissione per l’11 settembre, questa saggezza comune è falsa.
Il racket della protezione
Un rapporto riservato dell’intelligence Usa, svelato dal giornalista Gerald Posner, conferma che gli Stati Uniti erano pienamente consapevoli dell’accordo segreto dell’aprile del 1991 tra l’Arabia Saudita e bin Laden, allora agli arresti domiciliari. In base all’accordo, bin Laden avrebbe potuto lasciare il Regno con le sue finanze e con i suoi supporter, continuando a ricevere aiuti finanziari dalla famiglia reale saudita, a una condizione: astenendosi dal colpire e destabilizzare il Regno saudita.
In questo accordo, Stati Uniti e Gran Bretagna non sono stati osservatori distanti, bensì partecipanti attivi.
Le enormi forniture petrolifere dell’Arabia Saudita sostengono la salute e la crescita dell’economia globale. Non si può affrontare la destabilizzazione. Si trattò di uno scambio di favori: permettere il finanziamento di bin Laden fuori dal Regno per la protezione del Regno stesso.
Come lo storico britannico Mark Curtis documenta meticolosamente nel suo libro sensazionale, Secret Affairs: Britain’s Collusion with Radical Islam, dopo la guerra fredda i governi di Stati Uniti e Regno Unito hanno continuato ad appoggiare segretamente le reti affiliate ad al-Qa’ida nell’Asia centrale e nei Balcani, per le medesime ragioni di prima: contrastare l’influenza russa – ed ora cinese – per espandere l’egemonia Usa nell’economia globale capitalista. L’Arabia Saudita, principale fornitore di petrolio al mondo, rimase il contatto di questa miope strategia anglo-americana.
Bosnia
Curtis riferisce che un anno dopo l’attentato del 1993 al World Trade Center (Wtc), Osama bin Laden aprì un ufficio a Wembley, Londra, chiamato Advice and Reformation Commitee, dal quale egli coordinò le attività estremiste nel mondo.
Più o meno nello stesso periodo, secondo documenti dei servizi olandesi, il Pentagono stava trasportando in aereo migliaia di combattenti di al-Qa’ida dall’Asia centrale alla Bosnia, violando l’embargo sugli armamenti stabilito dall’Onu. Essi erano accompagnati da Forze speciali Usa. Lo «sceicco cieco», accusato dell’attacco al Wtc, venne profondamente coinvolto nel reclutamento e nell’invio di combattenti di al-Qa’ida in Bosnia.
Afghanistan
Dal 1994 circa all’11 settembre, i servizi militari statunitensi e quelli britannici, sauditi e pakistani fornirono segretamente armi e finanziamenti ai talebani protettori di al-Qa’ida.
Nel 1997 Amnesty International lamentò gli «stretti legami politici» tra la milizia talebana, che aveva da poco conquistato Kabul, e gli Usa. Il gruppo per i diritti umani riferì di verosimili «relazioni nelle madrasse (scuole religiose) che i talebani frequentavano in Pakistan», indicando che «questi collegamenti si sarebbero sviluppati proprio all’inizio del movimento talebano».
Una di queste relazioni, riportò Amnesty, venne da Benazir Bhutto – allora primo ministro del Pakistan – la quale affermò che «le madrasse vennero istituite da Gran Bretagna, Stati Uniti, Arabia Saudita e Pakistan durante la jihad, la resistenza islamica contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan». Sotto tutela Usa, l’Arabia Saudita finanziava ancora queste scuole religiose.
I testi scolastici abbozzati dal governo statunitense, ora approvati dai talebani, erano fatti per indottrinare i bambini afgani alla jihad violenta durante la guerra fredda, divennero parte del nucleo centrale del curriculum del sistema scolastico e vennero usati intensamente nelle madrasse afgane militanti finanziate dall’Arabia Saudita e dai servizi pakistani, con il supporto degli Stati Uniti.
Sia l’amministrazione Clinton che l’amministrazione Bush sperarono di utilizzare i talebani per fondare un regime alleato nel Paese, che potesse somigliare ai loro benefattori sauditi. La vana speranza, chiaramente mal architettata, era che un governo talebano avrebbe garantito la stabilità necessaria all’installazione delle condutture trans-afgane (Tapi) di fornitura di gas dall’Asia centrale all’Asia meridionale, che avrebbero bypassato Russia Cina e Iran.
Quelle speranze vennero spazzate via tre mesi prima dell’11 settembre, quando i talebani rifiutarono le proposte degli Usa. Il progetto Tapi venne poi bloccato per il controllo intransigente, dei talebani, di Kandahar e Quetta, ma è stato ripreso dall’amministrazione Obama e sta per essere concluso.
Kosovo
La Nato continuò ad appoggiare le reti affiliate ad al-Qa’ida in Kosovo fino ai tardi anni Novanta, riferisce Mark Curtis, quando forze speciali Usa e britanniche fornirono armi e addestramento ai ribelli dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Kla), che comprendeva reclute di mujahidin. Tra loro c’era una cellula ribelle guidata da Muhammad Az-Zawahiri, fratello del vice di bin Laden, Ayman, ora a capo di al-Qa’ida.
Nello stesso periodo Osama e Ayman coordinarono il bombardamento delle ambasciate statunitensi in Kenia e Tanzania, nel 1998, dagli uffici di bin Laden a Londra.
Ma si ebbero delle buone notizie: l’intervento Nato nei Balcani, accompagnato dalla disintegrazione della Yugoslavia socialista, preparò il terreno all’integrazione della regione nell’Europa occidentale, alla privatizzazione dei mercati locali e alla fondazione di nuovi regimi che potessero supportare il progetto di condutture transbalcaniche di petrolio e gas dall’Asia centrale all’Occidente.
Cambio di rotta mediorientale
Anche dopo l’11/9 e il 7/7, la dipendenza Usa e britannica da combustibili fossili a buon prezzo per sostenere l’espansione del capitalismo globale ci portò ad approfondire la nostra alleanza con gli estremisti.
Verso la metà del decennio scorso l’intelligence militare anglo-americana iniziò a dirigere i finanziamenti dei Paesi del Goffo, ancora una volta guidati dall’Arabia Saudita, alle reti di estremisti islamici in Medio Oriente e in Asia centrale, per contrastare l’influenza dell’Iran sciita nella regione. Tra i beneficiari di tali imprese ci furono gruppi militanti estremisti affiliati ad al-Qa’ida, di stanza in Iraq, in Siria e in Libano – un vero e proprio arco del terrore islamista.
Ancora una volta, i militanti islamisti agirono inconsapevolmente come agenti dell’egemonia degli Stati Uniti contro i rivali geopolitici in ascesa.
Come rivelato da Seymour Hersh nel 1997 sul New Yorker, questo «re-indirizzamento» della politica non stava per indebolire solo l’Iran, ma anche la Siria – dove Stati Uniti e Arabia Saudita appoggiavano, tra gli altri, i Fratelli Musulmani. Sia l’Iran che la Siria, chiaramente, erano stretti alleati di Russia e Cina.
Libia
Nel 2011 l’intervento militare della Nato atto ad abbattere il regime di Gheddafi finì col supportare ampiamente i mercenari libici, che erano, di fatto, membri del ramo libico di al-Qa’ida. La Francia si dice che abbia ottenuto il 35% del controllo del petrolio libico in cambio dell’appoggio ai rivoltosi.
Secondo il professor David Anderson, dell’università di Oxford, dopo l’intervento, i giganti europei, britannici e americani del petrolio sarebbero stati «perfettamente in grado di sfruttare opportunità commerciali». Accordi vantaggiosi con membri della Nato potevano «liberare l’Europa occidentale dalla morsa dei costosi produttori russi che attualmente controllano i rifornimenti di gas».
Rapporti segreti dei servizi dimostrarono che i ribelli appoggiati dalla Nato avevano forti legami con al-Qa’ida. La Cia usò poi i militanti islamisti in Libia per far passare armamenti pesanti ai ribelli in Siria.
Un rapporto del 2009 dell’intelligence canadese definiva la roccaforte ribelle della Libia orientale un «epicentro del terrorismo islamista», dal quale «cellule estremiste» operavano nella regione – la stessa regione, secondo David Pugliese del quotidiano Ottawa Citizen, che era «difesa da una coalizione Nato guidata dal Canada». Pugliese scrisse che i rapporti dei servizi  confermavano l’esistenza di «diversi gruppi di rivoltosi islamici» di base in Libia orientale, molti dei quali erano anche «desiderosi di trovare seguaci da far combattere in Iraq». I piloti canadesi, in privato, scherzavano dicendo di far parte delle forze aeree di al-Qa’ida, «poiché i loro bombardamenti aiutavano a spianare la strada ai ribelli affiliati del gruppo terrorista».
Secondo Pugliese, gli specialisti canadesi dei servizi inviarono informazioni lungimiranti, in un rapporto datato 15 marzo 2011, ai funzionari della Nato, solo pochi giorni prima dell’inizio dell’intervento. «C’è un’alta possibilità che la situazione in Libia si trasformi in una guerra tribale/civile di lungo termine. Ciò è particolarmente probabile se le forze di opposizione riceveranno assistenza militare dagli eserciti stranieri».
Come sappiamo, l’intervento ci fu comunque.
Siria
Almeno da cinque anni l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi, la Giordania e la Turchia forniscono grandi aiuti finanziari e militari soprattutto alle reti di militanti islamisti collegate ad al-Qa’ida che sono poi confluite nell’attuale «Stato Islamico». Questi aiuti sono stati forniti nel contesto di un’affrettata strategia anti Assad guidata dagli Usa.
La competizione nel controllo delle condutture di carburanti regionali potenziali su suolo siriano, e le risorse non ancora sfruttate in Siria e nel Mediterraneo orientale – a spese di Russia e Cina – hanno giocato un ruolo centrale in questa strategia.
L’ex ministro degli esteri francese, Roland Dumas, rivelò che nel 2009 funzionari del ministero degli Esteri britannico gli dissero che le forze britanniche erano già attive, in Siria, per fomentare le ribellioni.
L’operazione in corso venne costantemente supervisionata da un programma di copertura coordinato dalla collaborazione dei servizi dell’esercito americano, britannico, francese e israeliano. Prove documentate confermano che il solo supporto Usa ai combattenti anti Assad costò 2 milioni di dollari fino al dicembre 2014.
Mentre il sentito comune insiste a dire che questo aiuto agli islamisti non c’è stato, i fatti parlano da soli. Stime riservate della Cia dimostrarono che i servizi Usa sapevano che gli aiuti ai ribelli anti Assad tramite gli alleati mediorientali finivano in gran misura nelle mani degli islamisti più aggressivi. Ma la cosa continuò.
Funzionari del Pentagono erano anche consapevoli del fatto che l’anno prima del lancio da parte dell’Is della campagna di conquista in Iraq, la stragrande maggioranza dei ribelli «moderati» dell’Esercito siriano libero (Fsa) erano, di fatto, militanti islamisti. Fu sempre più impossibile, ammettono i funzionari, tracciare linee di demarcazione chiare tra i ribelli «moderati» e gli estremisti collegati ad al-Qa’ida o all’Is, a causa della fluida interazione tra i gruppi.
Sempre di più, i frustrati combattenti del Fsa si sono aggiunti alle fila degli islamisti militanti in Siria: non per questioni ideologiche, ma semplicemente attratti da superiori capacità militari. Ora quasi tutti i gruppi ribelli recentemente addestrati e armati dagli Usa si stanno dividendo, e in continuazione si uniscono ad al-Qa’ida e all’Is per combattere Assad.
Turchia
Gli Usa coordinano il continuo rifornimento di aiuti militari ai ribelli «moderati» per sconfigger l’Is grazie a un nuovo accordo con la Turchia. Ma è un segreto di pulcinella il fatto che la Turchia, in tutto questo tempo, abbia continuamente sponsorizzato al-Qa’ida e l’Is in uno stratagemma geopolitico finalizzato a schiacciare l’opposizione curda e a rovesciare Assad.
Distratti sono gli sforzi per frenare i combattenti che attraversino il territorio turco per raggiungere l’Is in Siria. Ma la Turchia sostiene di averne fermati a migliaia.
In realtà la Turchia ha appoggiato e supportato l’Is e al-Qa’ida in Siria.
La scorsa estate il giornalista turco Denis Kahraman intervistò un combattente dell’Is ricoverato in un ospedale turco, che gli disse: «La Turchia ci ha spianato la strada. Senza il sostegno della Turchia l’Is non sarebbe nella situazione in cui è ora. La Turchia ci ha dimostrato affetto: un gran numero di nostri combattenti ha ricevuto cure mediche in Turchia».
All’inizio di quest’anno documenti ufficiali autenticati dell’esercito turco (del Comando generale della gendarmeria) sono stati svelati in rete, e hanno dimostrato che i servizi turchi (Mit) sono stati scoperti a Adana da funzionari dell’esercito mentre trasportavano missili, mortai e munizioni antiaeree su camion alla «organizzazione terroristica di al-Qa’ida» in Siria.
I ribelli «moderati» dell’Fsa sono coinvolti nella rete di supporto sponsorizzata dal Mit turco-islamista. Uno di loro ha dichiarato al Telegraph che ora gestisce «case sicure in Turchia per i combattenti stranieri che vogliano unirsi al Fronte an-Nusra e all’Is».
Alcuni funzionari si sono espressi in proposito, ma invano. Lo scorso anno Claudia Roth, vice presidente al parlamento tedesco, si è detta scioccata che la Nato permetta alla Turchia di ospitare un campo Is a Istanbul, che faciliti il trasferimento di armamenti ai militanti islamisti attraverso i suoi confini e per il supporto tattico offerto nella vendita di petrolio dell’Is. Nulla è successo.
La coalizione anti Is guidata dagli Usa finanzia l’Is
Usa e Gran Bretagna non solo sono rimaste stranamente silenziose sulla complicità del loro partner di coalizione nella sponsorizzazione del nemico; hanno invece stretto l’alleanza con la Turchia, e lavorano sodo con lo Stato-sponsor dell’Is per addestrare i ribelli «moderati» a combattere l’Is.
Non è solo la Turchia. L’anno scorso il vicepresidente Usa John Biden dichiarò in una conferenza stampa alla Casa Bianca che Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Turchia, tra gli altri, stavano versando «centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi ad an-Nusra e ad al-Qa’ida, e ad altri elementi estremisti della jihad in una guerra per procura tra Sunniti e Sciiti». Egli aggiunse che identificare i ribelli «moderati» in Siria non è possibile.
Non ci sono indicazioni sulla cessazione di questi finanziamenti. Fino a settembre 2014, anche se gli Usa avevano cominciato a coordinare gli attacchi aerei contro l’Is, funzionari del Pentagono rivelarono di sapere che la loro stessa coalizione stava ancora finanziando l’Is.
In quel mese il generale Martin Dempsey, presidente dello Stato maggiore congiunto, alla domanda del senatore Lindsay Graham durante un’udienza al Comitato dei servizi armati al senato se fosse a conoscenza di «principali alleati arabi che appoggiano l’Is», rispose: «Conosco principali alleati arabi che lo finanziano».
Nonostante questa informazione, il governo Usa non ha nemmeno pensato di sanzionare questi alleati, ma li ha premiati includendoli in una coalizione che apparentemente combatte gli stessi estremisti che finanzia. Peggio, agli stessi alleati continuano ad essere garantiti ampi margini per selezionare combattenti da addestrare.
Membri-chiave della nostra coalizione anti Is bombardano l’Is dal cielo e lo sponsorizzano di nascosto – e il Pentagono ne è consapevole.
La serie di fallimenti di stati musulmani
In Iraq e in Siria, dove l’Is è nato, la devastazione della società a causa di un conflitto prolungato non può essere sottostimata. L’invasione e l’occupazione dell’Iraq da parte degli eserciti occidentali, completata da torture e violenza indiscriminata, ha giocato un ruolo determinante nell’emergenza di politiche reazionarie estreme. Prima dell’intervento occidentale al-Qa’ida non c’era, nel Paese. In Siria la guerra brutale di Assad contro il suo stesso popolo continua a giustificare l’Is e ad attrarre combattenti stranieri.
Il continuo versamento di grandi quantità di denaro alle reti estremiste islamiche, centinaia di miliardi di dollari in risorse materiali che ancora nessuno è riuscito a quantificare nel suo complesso – coordinato dallo stesso legame esistente tra i governi occidentali e musulmani – ha avuto nel corso degli ultimi cinquant’anni un’impatto destabilizzante notevole. L’Is è il culmine di questa surreale, postmoderna, squallida storia.
La coalizione occidentale anti-Is nel mondo musulmano consiste di regimi repressivi in cui la politica interna ha ampliato le diseguaglianze, schiacciato il legittimo dissenso, torturato attivisti politici pacifici e alimentato in profondità lo scontento. Sono gli stessi alleati che hanno finanziato e che continuano a finanziare l’Is, con la consapevolezza dei servizi segreti occidentali. E ancora continuano ad agire così in situazioni regionali che stanno attraversando, nell’ultimo decennio, crisi convergenti sempre più grandi. Come ha detto il professore di Princeton Bernard Haykel: «Vedo l’Is come un sintomo di una serie più profonda di problemi strutturali del mondo arabo sunnita… Ha a che vedere con la politica, con l’istruzione e con la mancanza di istruzione.. Con l’autoritarismo. Con l’intervento straniero. Con la maledizione del petrolio… Io penso che, se anche l’Isis dovesse sparire, le cause che lo hanno prodotto resterebbero. Ed esse vanno affrontate in decenni di politiche, riforme e cambiamenti – non solo dall’Occidente ma anche dalla società araba».
Ma come abbiamo visto con la Primavera araba, questi problemi strutturali sono stati esacerbati da una tempesta di crisi politiche, economiche, di riforme ed energetiche connesse, tutte insieme messe alimentate da una sempre più profonda crisi del capitalismo globale.
In una regione che soffre per siccità prolungate, per la scarsa agricoltura, per il declino del gettito petrolifero a causa del picco petrolifero interno, per la corruzione economica e per la cattiva gestione aggravata dall’austerità neoliberale, e così via, gli Stati locali hanno iniziato a collassare. Dall’Iraq alla Siria, dall’Egitto allo Yemen, lo stesso legame tra crisi climatiche, energetiche ed economiche manda a monte i governi in carica.
L’alienazione dell’Occidente
Sebbene l’Occidente sia molto più resistente a queste crisi globali interconnesse, del disuguaglianze trincerate negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nell’Europa occidentale – che hanno un effetto sproporzionato sulle minoranze etniche, sulle donne e sui bambini – stanno peggiorando.
In Gran Bretagna quasi il 70% dell’etnia musulmana sud asiatica vive in povertà. Una quota inferiore al 30% di musulmani britannici tra i 16 e i 24 anni è disoccupata. Secondo Minority Rights Group International, la situazione dei musulmani britannici in quanto a «accesso all’istruzione, occupazione e alloggi» anziché migliorare si è deteriorata, negli ultimi anni. A ciò va aggiunto «l’aumento preoccupante delle ostilità manifeste» da parte delle comunità non musulmane, e una crescente propensione della polizia e dei servizi di sicurezza a mirare in maniera sproporzionata ai musulmani. I continui riferimenti negativi dei media ai musulmani, assieme a lamentele basate su una giustificata percezione di una politica estera aggressiva e ingannevole nel mondo musulmano, contribuiscono alla creazione di un senso di esclusione sociale associata all’identità musulmano-britannica.
La questione è la combinazione tossica di questi fattori è la questione, non ognuno di tali fattori preso per se. La sola povertà, la sola discriminazione e l’informazione anti-islam da soli non rendono necessariamente una persona sensibile alla radicalizzazione. Ma, prese insieme, queste cause possono modellare un’identità che si percepisce alienata, frustrata e incatenata a un ciclo di fallimenti.
Il prolungarsi e l’intersecarsi di questi problemi possono contribuire a creare una percezione generale di sé stessi, da parte dei musulmani in Gran Bretagna, in diversi momenti della loro vita. In certi casi si può generare un trincerato senso di separazione e di alienazione, e di disillusione nei confronti della più vasta società. Questa identità da esclusi dipenderà dall’ambiente specillico in cui una persona vive, dalle esperienze e dalle scelte fatte.
Crisi sociali prolungate possono creare un terreno fertile per ideologie tossiche e xenofobe in tutte le parti. Tali crisi minano i costumi convenzionali di certezza e stabilità ben radicati in fondate nozioni di identità e appartenenza.
Mentre i musulmani più vulnerabili potrebbero rivolgersi alla cultura delle gang,o, peggio, all’estremismo islamico, i non musulmani vulnerabili potrebbero collegare le loro identità da esclusi a gruppi estremisti quali la English Defence League, o ad altre reti dell’estremismo di destra.
Ad alcune elite con più potere, il senso di crisi potrebbe far nascere ideologie militariste neoconservatrici atte ad ammorbidire le strutture del potere in carica, a giustificare lo stato delle cose, ad occultare il sistema corrotto che sostiene il loro potere e a rafforzare gruppi precedentemente privi di qualsiasi elettorato locale.
Mentre crisi diverse convergono e si intensificano, minando la stabilità statale e alimentando le lamentele, questo enorme rifornimento di risorse agli ideologi islamisti può spingere individui arrabbiati, alienati e vulnerabili in un vortice di estremismo xenofobo. La fase finale di un simile processo è la creazione di mostri.
Disumanizzazione
Mentre questi fattori hanno innalzato la vulnerabilità regionale a livello di crisi, il ruolo leader di Usa e Gran Bretagna dopo l’11 settembre nel coordinamento nascosto dei finanziamenti da parte di Stati del Golfo ai militanti islamici estremisti nella regione ha gettato benzina sul fuoco.
Gli agganci che queste reti islamiste hanno in Occidente sono la prova che le agenzie di intelligence hanno periodicamente distolto lo sguardo, permettendo ai loro infiltrati di alimentare, reclutare e inviare mercenari all’estero.
Per questo motivo la componente occidentale dell’Is, sebbene di molto inferiore al numero di combattenti provenienti da paesi vicini, resta indifferente a un dibattito teologico significativo. Essi non sono guidati dalla teologia, ma dall’insicurezza derivante da una identità e una psicologia fratturate.
Sta qui, nei metodi meticolosamente calibrati usati dall’Is e dalle reti di appoggio occidentali, che possiamo vedere il ruolo dei processi di indottrinamento psicologico messi a punto in anni di addestramento da parte di agenzie occidentali. Queste agenzie sono sempre state intimamente coinvolte nella messa a punto di strumenti di indottrinamento islamico violenti.
Nella maggior parte dei casi il reclutamento nell’Is avviene in seguito all’esposizione a una propaganda video accuratamente architettata, sviluppata utilizzando avanzati metodi di produzione, i più efficaci dei quali sono pieni di immagini sanguinose reali inflitte ai civili iracheni, afgani e palestinesi dal fuoco occidentale, o sui civili siriani da parte di Assad.
L’esposizione costante a tali scene orribili di atrocità occidentali e siriane può a volte avere un effetto simile a ciò che può accadere quando a tali scene si è assistito direttamente; ovvero, a una forma di trauma psicologico che può avere anche ripercussioni da stress post-traumetico.
Queste tecniche di propaganda di culto aiutano a invocare emozioni travolgenti di shock e rabbia, che a loro volte servono a obnubilare la ragione e a disumanizzare l’»altro». I processi di disumanizzazione avvengono con l’utilizzo di una teologia islamica contorta. Ciò che conta, in questa teologia, non è la sua autenticità ma la sua semplicità. Con ciò si possono ottenere effetti prodigiosi su una psiche traumatizzata dalla visione di assassinii di massa, la cui capacità razionale è immobilizzata dalla rabbia.
Per questo l’affidamento a tecniche estremamente dettagliate e alla completa decontestualizzazione è una caratteristica comune dell’insegnamento estremista islamico: perché appare, a chi è disposto a crederci ed è estraneo all’insegnamento islamico, letteralmente vero al primo sguardo.
Contando su decenni di interpretazioni errate dei testi islamici degli ideologi militanti, le fonti sono attentamente minate e selezionate per giustificare un’agenda politica del movimento: governi tirannici, assassinii di massa arbitrari, sottomissione e schiavizzazione delle donne, e così via, tutto diventa parte integrante alla sopravvivenza e all’espansione dello «Stato».
Poiché la funzione principale dell’introduzione di estreme motivazioni teologiche islamiche sta nella legittimazione della violenza e nelapprovazione della guerra, essa è accostata a video di propaganda che promettono ciò che alla recluta vulnerabile appare mancante: la gloria, la fratellanza, l’onore, e la promessa della salvezza eterna – non importa quali crimini o misfatti uno possa aver commesso.
Aggiungiamo a questo la promessa del potere – potere sui propri nemici, sulle istituzioni occidentali che hanno presumibilmente soppresso il potere dell’uomo sulla donna – e l’attrattiva dell’Is, e lo stile religioso e e la vertigine divina possono essere più che convincenti, irresistibili.
Questo vuol dire che l’ideologia dell’Is, importante da comprendere e da confutare, non è il fattore guida dell’origine, l’esistenza e l’espansione. E’ solo l’oppio del popolo che si autoalimenta, e che alimenta i seguaci a venire.
Infine, l’Is è il cancro del moderno capitalismo industriale al collasso, un sottoprodotto fatale della nostra dipendenza dall’oro nero, un sintomo parassita di crisi della civiltà in crescita nel mondo musulmano e occidentale. Finché non si va alla radice di queste radici, l’Is e simili rimarranno.
– Nafeez Ahmed PhD is an investigative journalist, international security scholar and bestselling author who tracks what he calls the ‘crisis of civilization.’ He is a winner of the Project Censored Award for Outstanding Investigative Journalism for his Guardian reporting on the intersection of global ecological, energy and economic crises with regional geopolitics and conflicts. He has also written for The Independent, Sydney Morning Herald, The Age, The Scotsman, Foreign Policy, The Atlantic, Quartz, Prospect, New Statesman, Le Monde diplomatique, New Internationalist. His work on the root causes and covert operations linked to international terrorism officially contributed to the 9/11 Commission and the 7/7 Coroner’s Inquest.
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Photo: In Iraq and Syria, where IS was born, the devastation of society due to prolonged conflict cannot be underestimated (AA)
Traduzione di Stefano Di Felice