L’ospitalità palestinese

A cura dei Giovani palestinesi d’Italia. Lui è ‘ammo Abu Wael, un anziano arzillo e sempre con il sorriso sulle labbra.
‘Ammo è un contadino di Wadi Fukin e in sella alla sua asina, continua a lavorare nei campi nonostante la malattia che gli fa tremare la mano. Ha gli occhi profondi e il viso marcato dai segni del tempo. In dialetto stretto cerca di curiosare nella mia vita e mi elenca nomi di possibili pretendenti. “Meglio palestinese così passi l’estate con noi”, mi ripete.
‘Ammo è rispettato da tutti per la sua bontà d’animo e gentilezza. Quando parla di sua moglie si rivolge a lei chiamandola regina.
“Ti racconto una storia”, mi dice. “Era un venerdì e faceva caldo, io ero sul terrazzo a sistemare alcune cose e la regina stava preparando la Makluba in cucina (la sua poi è un capolavoro, figlia mia).
Tutte le porte e le finestre erano spalancate, per far entrare un po d’aria. Ad un certo punto alzai lo sguardo e davanti a me c’era un uomo, un colono sicuramente, aveva la kippah e parlava in ebraico, ma era sicuramente polacco.
L’uomo cercò di sporgersi per osservare la casa, quando si accorse di me e mi chiese subito del profumino che proviene dall’interno.
Gli spiegai che si trattava della Makluba, un piatto tipico palestinese. L’uomo mi fece i complimenti, sorrise e abbassò lo sguardo per andare via.
Lo rincorsi e lo invitai a pranzo. Ti rendi conto? Aveva sentito il profumo, non potevo lasciarlo andare così! A tavola era molto imbarazzato e percepiva il disagio di mia moglie, poi iniziammo a scherzare. Prima di andare via mi abbracciò e si scusò. Rinnovai l’invito ma d’allora non lo vidi più”.