Malak Al-Khatib, simbolo palestinese dell’infanzia negata

-1989453144PIC. Di Ghada Ageel. I bambini sono la risorsa naturale più preziosa delle comunità e dell’umanità. La dichiarazione della Lega delle nazioni del 1924 dichiara: «L’uomo deve all’infanzia ciò che di meglio ha da offrirle». La dichiarazione sottolinea che i bambini dovrebbero avere «per diritto» i mezzi necessari al loro normale sviluppo. La dichiarazione del 1959 dell’Onu sui diritti del bambino afferma i diritti esposti dalla Lega delle nazioni, e nota che «i bambini hanno bisogno di cura e tutele speciali», e che un bambino deve poter contare su una «protezione speciale».
Negare questi diritti e queste tutele danneggia i bambini e la loro autostima, la crescita sana e lo sviluppo. Violare questi diritti con un’oppressione sistematica e istituzionale non solo danneggia il benessere psicologico e socio-emozionale del bambino, ma anche le risorse future delle nazioni. Anche quando i bambini non sono vittime dirette di un evento traumatico, possono comunque risentirne da testimoni di eventi rivolti contro i loro amici, contro i membri della loro famiglia o della comunità estesa.
Crescere in un campo profughi tra molti bambini che non hanno un padre presente che si prenda cura di loro, rende consapevoli molto precocemente del fatto che io un padre ce l’avevo. Alcuni padri sono incarcerati nelle prigioni israeliane con un diritto molto limitato a ricevere visite, e ai bambini viene permesso di parlare loro tra le sbarre solo brevemente, e mai da soli. Altri padri lavorano in Israele per la gran parte della settimana, lasciando i campi al mattino presto e facendovi ritorno tardi, quando i bambini sono già a dormire. Altri padri sono ancora più distanti, impiegati nei Paesi del Golfo per provvedere alle loro famiglie. E i padri di certi bambini, chiaramente, sono stati uccisi dai militari israeliani. Alcuni bambini crescono, si sposano e hanno bambini mentre i loro padri si trovano dietro le sbarre.
Ma nei campi condividiamo quasi tutto. Condividiamo il dolore e l’amore, e anche le esigue risorse che abbiamo. Gli orfani e i figli dei prigionieri ricevono, in particolare, delle attenzioni speciali. Ma ci sono sempre occasioni come i giorni dell’’Aid, i matrimoni, i funerali di familiari vicini, o giorni in cui un bambino chiederebbe al padre di accompagnarlo a scuola – per ragioni buone o cattive – durante i quali questi bambini si sentono soli e distrutti, qualsiasi cosa faccia la comunità.
Non dimenticherò mai le parole della mia parente Maysa, allora una bimba di 6 anni, quando suo padre venne condannato a 12 anni di carcere. La nostra vicina, Ni’ima, ebbe il suo secondo bambino maschio, un’occasione speciale per molte donne e bambini del campo per riunirsi a farle visita e a bere una tazza di te, aiutandola a pensare a un nome per il neonato. Maysa, una ragazza timida, gridò: «Chiamalo Baba». Tutti i bambini scoppiarono a ridere, e le donne smisero di conversare. Maysa corse fuori dalla stanza in lacrime. Il giorno dopo feci visita a Maysa, e parlai con sua madre, la quale mi disse che Maysa sentiva forte la mancanza del padre, e che di notte si alzava sempre chiedendo sue notizie, e chiamando «baba». Chiamando il bambino Baba (padre, in arabo), Maysa avrebbe voluto soddisfare il suo disperato bisogno di pronunciare la parola, e avrebbe trasmesso il profondo senso di amore che per lei la parola conteneva.
Più di due decenni dopo questa storia, le violazioni dei diritti dei bambini palestinesi continuano, e il benessere psicofisico dei bambini è peggiorato. Le «opportunità e gli strumenti garantiti per legge e in altri modi» per uno sviluppo fisico, mentale, morale, spirituale e sociale sano e normale «in condizioni di libertà e dignità», non sono mai stati raggiunti per i bambini palestinesi di Gaza e della Cisgiordania.
Il 21 gennaio il tribunale militare del carcere di Ofer ha condannato la 14 enne Malak Al-Khatib, del villaggio della Cisgiordania di Beiteen, a due mesi di prigione (nel frattempo è stata liberata, ndt) e a una multa di 6000 shekel (£1000). La ragazza è stata arrestata con l’accusa di aver lanciato delle pietre, e di avere un coltello nello zainetto di scuola, accuse definite da suo padre – che accusa i soldati di falsificare le testimonianze – inconsistenti.
Nella violazione totale dei trattati e del diritto internazionale sulla protezione dell’infanzia, Malak è stata sottoposta a interrogatorio e a trattamento ostile senza rappresentante legale, alla sua famiglia non è mai stato permesso vederla e sua madre non ha potuto avvicinarla o parlarle durante l’audizione in tribunale.
Malak è una delle ragazze più giovani mai detenute e condannate da Israele. A novembre 2014, Defence for Children International – Palestine (Dci-P) ha contato 156 bambini palestinesi nelle prigioni israeliane. Dal 2000 si stima in 8000 il numero di bambini palestinesi detenuti e giudicati nel sistema del tribunale militare israeliano. E, chiaramente, più di 538 bambini israeliani sono stati uccisi, e oltre 1500 sono rimasti orfani in seguito all’assalto israeliano su Gaza del 2014.
Dci-P riporta poi che il 75% dei bambini palestinesi imprigionati da Israele ha subito aggressioni fisiche durante gli interrogatori e la detenzione. L’Unicef ha documentato violenze dei diritti dell’infanzia, tra cui assassinii, arresti, maltrattamenti e torture, deportazione e privazione dell’accesso ai servizi sanitari ed educativi.
Mentre centinaia di bambini vengono arrestati ogni anno, tutti i bambini palestinesi subiscono altri tipi di violazioni. Troppi subiscono la demolizione della propria casa e le restrizioni di movimento, che causano turbamenti e dolori considerevoli nei bambini e nelle loro famiglie. La demolizione delle abitazioni, utilizzata di routine come forma di punizione collettiva, può avere un immenso impatto psicologico. Solo nel 2014, secondo l’Unrwa, più di 96 mila abitazioni sono state danneggiate o distrutte da Israele nel corso dei 56 giorni di assalti su Gaza.
I funzionari israeliani sanno che queste procedure colpiscono i palestinesi al cuore. Questa forma di punizione nega ai bambini palestinesi un senso di appartenenza, un concetto di possesso o un’idea di casa. E’ come se l’occupazione fosse stata progettata in modo da negare ai bambini palestinesi il loro ultimo luogo di protezione fisica. Confinati in una prigione a cielo aperto a Gaza, e nel bantustan della Cisgiordania, il messaggio è chiaro: non siete i benvenuti su questa terra.
In un rapporto recente pubblicato dal gruppo per i diritti israeliano B’tselem, Israele è stata criticata per la deliberata politica di bombardamenti delle abitazioni durante l’aggressione su Gaza del 2014. Il rapporto dichiara che una caratteristica dell’aggressione del 2014 sono stati «i numerosi attacchi [israeliani] su edifici residenziali, atti a distruggerli con gli abitanti al loro interno. «Non si discute sul fatto che questo non è stato il risultato di una decisione presa a bassi livelli, ma si è trattato invece di una politica che in alcuni casi ha violato il diritto umanitario internazionale, e in altri casi ha posto serie domande».
Per molti si tratta di «notizie vecchie». Conclusioni simili sono state tratte da numerosi rispettati rapporti internazionali, compreso il Goldstone e il Tribunale Russel sulla Palestina. La questione è se dei funzionari israeliani verranno dichiarati responsabili. I diritti umani e la protezione della dignità umana aggiusteranno l’integrità distrutta dai piani israeliani di incidenti deliberati volti a disumanizzare e a marginalizzare l’infanzia palestinese?
La lotta affinché l’infanzia palestinese riacquisti i propri diritti e la propria dignità è una lotta per il futuro nella sua interezza. E’, in ogni caso, un compito che la comunità internazionale fallisce quotidianamente a Gaza, in quanto i progetti di ricostruzione sono fermi, e i bambini palestinesi continuano a soffrire per i danni dovuti allo shock degli intensi bombardamenti israeliani su quella sottile striscia di terra, nel luglio e nell’agosto dello scorso anno.
I Paesi donatori si sono impegnati con promesse. Ma nessuno a Gaza si aspetta che esse vengano rispettate. Queste vuote promesse sono un grido lontano per la tutela e la cura speciali per l’infanzia.
Traduzione di Stefano Di Felice