Vittima del coordinamento per la “sicurezza” tra ANP e Israele

2017_3_6-Basel-al-ArajPIC. Due settimane fa, le rumorose strade di Ramallah sono state inondate dai canti dei giovani che protestavano per l’assassinio di Basel al-Araj.

Il fervente grido della folla era guidato dalla rabbia, il dispiacere, l’indignazione e il crescente risentimento nei confronti dei poteri che continuano a opprimere e soffocare la Palestina.

Nonostante la polizia palestinese non sia presente in maniera massiccia in queste proteste, la sua assenza era meramente una facciata.

“I pupazzi di Oslo non sono qui”, ha gridato una giovane donna.

“Ci stanno ancora cercando”, ha replicato un ragazzo, “sai com’è, devono proteggere Israele”.

L’assassinio di Basel

Nelle prime ore di lunedì mattina 6 marzo, i soldati israeliani hanno fatto incursione nella casa dove Basel si nascondeva e, dopo due ore di confronto armato, sono usciti trascinando il suo cadavere.

Ciò che rimaneva era un appartamento devastato, i vestiti di Basel stracciati su un letto distrutto, mattoni sporchi di sangue e una pila di libri su una mensola rotta.

Dopo che l’Autorità Palestinese lo aveva arrestato lo scorso anno insieme a due giovani con l’accusa di possedere armi non dichiarate e di pianificare un attentato contro Israele, Basel è stato torturato e ha iniziato uno sciopero della fame e l’ANP ha continuato a tenerlo prigioniero per mesi senza accuse.

L’ANP ha usato Basel e altri giovani detenuti per dimostrare il proprio impegno nel coordinamento della sicurezza con Israele.

Solo alcune settimane dopo il loro rilascio dalle carceri dell’ANP, gli stessi giovani sono stati arrestati dai militari israeliani e Basel è stato costretto a nascondersi, interrompendo ogni contatto con la famiglia.

Storie di obiettivi intellettuali

Mentre la famiglia di Basel cerca di elaborare il grave lutto, è fondamentale riconoscere chi ha permesso il suo assassinio.

Basel era l’esempio del palestinese combattente, intellettuale e presenza costante sul campo. Per citare le sue parole, “se non combatti, il tuo intelletto non serve a niente”.

Sono proprio gli intellettuali come Basel che intimoriscono Israele, non solo come singoli ma come potenziali fomentatori di masse nel tentativo di porre fine all’occupazione.

La paura di Israele si è tradotta in una lunga storia di prese di mira e assassini di intellettuali palestinesi, giustificati da motivazioni politiche, da Ghassan Kanafani a Kamal Nasser. Questo è un chiaro tentativo di uccidere la presa di coscienza dei palestinesi e il loro desiderio di liberazione.

Il ruolo dell’ANP nel reprimere le voci dei palestinesi per placare il colonialismo israeliano non è sfuggito ai palestinesi. Recentemente, questi ultimi hanno espresso il proprio disappunto mobilitandosi in una protesta, di domenica, davanti al tribunale giudiziario di Ramallah – dove sono stati ricambiati con bombe a gas, violenza e pestaggi.

Nel caos, e nel tentativo di fermare la polizia che stava picchiando il padre di Basel, una donna ha urlato “è il padre del martire”.

Mahmoud al-Araj è stato portato poi all’ospedale dopo aver riportato ferite. L’ANP ha arrestato altri quattro uomini, tra cui Khader Adnan, attivista famoso per i suoi scioperi della fame.

Oh martire, va’ e riposa

Le proteste di domenica – e la reazione dell’ANP – hanno mostrato ancora una volta fin dove è disposta ad arrivare l’ANP per preservare il proprio rapporto con Israele e mantenersi al potere, anche se questo comporta mettere in atto la stessa strategia repressiva dei soldati israeliani, ormai nota ai palestinesi.

In passato, quando il popolo palestinese piangeva l’assassinio dei suoi martiri e leader, tra cui gli intellettuali, era solito cantare “oh martire, va’ e riposa, noi continueremo a lottare”.

Prima del dirottamento della prima intifada da parte degli accordi di Oslo, si prefigurava una lotta contro un palese regime coloniale israeliano. La Palestina di oggi, tuttavia, combatte contro un colonialismo a più facce, quasi caleidoscopico.

La più sconvolgente dimostrazione di questo è l’Autorità Palestinese. Nata come temporanea e diventata poi permanente, è l’amministratore ad-interim degli accordi di Oslo, che hanno dato i natali alla coordinazione della sicurezza che Mahmoud Abbas ha definito “sacra”.

E’ giusto che Basel venga definito “martire della coordinazione della sicurezza”. Il suo sangue, sparso sul pavimento invecchiato della sua casa, sulle scale e sul cemento fuori dall’edificio di al-Bireh, è una palese dimostrazione di dove Israele può arrivare con la coordinazione della sicurezza.

Oslo: un cavallo di Troia

Questa strategia non è nuova, né esclusiva dell’era Abbas. Sin dall’inizio, Israele ha reclutato i palestinesi come collaboratori per contrastare ogni tipo di resistenza e tentativo di mobilitazione di massa palestinese.

La medaglia d’oro delle reclute israeliane va all’Autorità Palestinese, principale collaboratrice. Con questa, Israele non solo si assicura una fonte consistente di informazioni, ma “regala” ai palestinesi un regime oppressivo e autoritario, alimentato dalle promesse di potere e controllo.

Nel concedere all’ANP l’aspirazione di leadership e tutti i benefici che ne derivano, gli accordi di Oslo e tutto ciò che ne deriva sono stati un cavallo di Troia, usato per dividere ancora di più la lotta.

La disparità tra le ambizioni dell’ANP e dei palestinesi non è teorica. È, nel senso più letterale, una divisione di sangue. Due settimane fa è toccato a Basel. Questa settimana, chi lo sa? Ma il risultato finale sarà sempre il sacrificio dei nostri giovani, che sia in un omicidio o dietro le sbarre.

Affrontare gli ostacoli dell’oppressione

Nonostante i crimini orrendi commessi in patria, agli occhi della comunità internazionale l’ANP si erge imperterrita a rappresentante legittima del popolo palestinese.

Tuttavia, con Cisgiordania e Gaza in conflitto, i palestinesi in esilio o in Israele senza nessuno che li rappresenti, e il crescente despotismo nella regione, l’ANP ha portato i palestinesi a uno stato di disillusione, soppressione e ulteriore divisione.

Dopo i pestaggi di domenica 12 marzo, i manifestanti sono tornati in piazza il lunedì successivo. I canti della folla a Ramallah e gli striscioni recitavano “lo scioglimento dell’ANP è l’unica soluzione”.

Nonostante la storia insegni che nessuna lotta anti-coloniale abbia avuto successo senza il sacrificio di vite, come popolo che sa esprimere il proprio dolore e trasformarlo in migliaia immagini, ci farebbe male smettere di piangere le morti dei nostri cari per gioire della fine delle oppressioni, prima tra queste l’Autorità Palestinese.

Traduzione di Giovanna Niro