Michele Giorgio: ‘L’inferno nelle strade di Gaza, chi può ormai si rifugia all’estero’.

Da www.ilmanifesto.it

L’inferno nelle strade di Gaza, chi può ormai si rifugia all’estero
In 10 mila sono fuggiti dalla Striscia tra giugno e ottobre: solo Cuba e il Canada offrono aiuto ai palestinesi. Gli scontri tra miliziani di Fatah e Hamas non si fermano: battaglia e feriti anche ieri
Michele Giorgio
Ieri ha voluto parlare lei, per esprimere il dolore immenso di una madre privata in un solo colpo dei suoi tre bambini e per ridare all’accaduto quella dimensione umana messa in ombra dalla politica. «I miei bimbi erano degli innocenti e non degli attivisti politici come il padre», ha spiegato pallida, con gli occhi gonfi ma ormai privi di pianto, Linda Abu Taqiyya, 30 anni, madre di Osama, Ahmed e Salam rimasti uccisi nell’agguato di lunedì a Gaza city. Si è riferita con ogni probabilità a quelle bandiere di Fatah troppo in fretta avvolte intorno ai corpi delle piccole vittime prima dei funerali. «La sera prima avevo avvertito il pericolo nell’aria – ha raccontato – i bambini volevano dormire con me e avevo dovuto insistere a lungo per convincerli a restare nella loro camera». Il mattino successivo, ha proseguito, «Ahmed non voleva andare a scuola, diceva che aveva tanto freddo, Osama lo ha portato giù con la forza e lo ha fatto entrare in auto. Poi sono arrivate quelle raffiche interminabili (almeno una sessantina di colpi, ndr) e ho capito subito che era accaduto qualcosa ai miei bambini. Ora non potrò stringerli più tra le mie braccia e nessuno sa spiegarmi perché è accaduto tutto questo». Un interrogativo che tutte le madri di Gaza si pongono in queste ore in cui migliaia di civili scendono in strada per manifestare contro il caos e la violenza interna. Ieri gruppi di shebab con il volto mascherato, come ai tempi dell’Intifada popolare, hanno dato fuoco a pneumatici di automobili, accusando i leader politici di tutte le fazioni di non fare nulla per dare ai giovani una vita diversa e di combattersi tra di loro mentre l’occupazione israeliana tiene prigioniera l’intera Gaza. Nello stesso momento decine di donne si sono raccolte davanti all’abitazione dei genitori dei tre bimbi uccisi per esprimere solidarietà e denunciare lo stato di anarchia.
Sul fronte delle indagini si è fatta più remota l’ipotesi della vendetta di attivisti armati di Hamas nei confronti del padre dei bimbi uccisi, Baha Balousha, che nella sua veste di alto ufficiale dei servizi di sicurezza aveva in passato partecipato a campagne repressive contro i militanti islamici. La stessa famiglia Balousha, a mezza bocca, fa capire che i responsabili di questo massacro di innocenti vanno ricercati proprio in Al-Fatah, da dove sono usciti i killer a pagamento che nel corso degli ultimi anni hanno eliminato per conto di misteriosi mandanti esponenti di primo piano del partito, dall’ideologo Ali Saftawi all’avvocato Mohammed Abu Shaban, dal corrotto direttore della televisione palestinese Hisham Mekki al più recente assassinio dell’ex potente capo dell’intelligence militare Musa Arafat, senza dimenticare il ferimento grave, nei mesi scorsi, del colonnello dei servizi di sicurezza Tareq Abu Rajab. Hamas da parte sua ha ammonito le altre forze politiche dal tentare di sfruttare l’accaduto a proprio vantaggio. Allo stesso tempo anche il movimento islamico si lascia prendere da tentazioni repressive. Ieri la sua «Forza esecutiva» ha ferito a Khan Yunis tre giovani di Al-Fatah che manifestavano contro il movimento islamico.
Chi può permetterselo, nel frattempo, fugge da Gaza anche per sottrarsi alla violenza interna, approfittando delle rare aperture del valico di Rafah con l’Egitto. Diverse centinaia di famiglie hanno lasciato la Striscia nell’ultimo anno cercando, grazie ad un secondo passaporto, una vita senza la minaccia di attacchi militari israeliani e la tensione fra le varie organizzazioni politiche palestinesi. Negli ultimi tempi sono aumentate in particolare le richieste dei visti per Cuba e Canada, due dei pochi paesi al mondo che ancora accolgono, senza particolari restrizioni, i palestinesi. Ahmed Suboh, del ministero degli esteri, ha riferito che almeno 10mila palestinesi sono emigrati tra giugno ed ottobre e altri 45mila si preparano a farlo, in maggioranza sono di Gaza. Mohammad, un tecnico di laboratorio chimico in procinto di partire per la Norvegia, ha spiegato di non voler più vivere in un posto che appare vicino ad una guerra civile. «L’occupazione israeliana posso affrontarla ma non accetto lo scontro tra noi palestinesi», ha detto. Ma partono anche le imprese. Negli ultimi sei mesi almeno 20 piccole fabbriche hanno chiuso a Gaza per riaprire in Egitto e Giordania, lo stesso numero degli ultimi sei anni. Altri 35 imprenditori di Gaza hanno fatto richiesta di poter trasferire le loro attività all’estero. Tutto ciò a danno diretto dell’occupazione in una Gaza dove già lavorano appena due persone su dieci.

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