Missione Abspp di soccorso umanitario in Libano e Gaza

Genova-InfoPal. Dal 5 al 9 ottobre si è svolta la missione di soccorso umanitario nella Striscia di Gaza e in Libano, organizzata dall’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, ABSPP onlus, dal titolo “Campagna per rispondere all’emergenza Covid-19”, e che ha avuto come partner SOS Gaza e SOS Libano.

“La campagna è durata cinque giorni e abbiamo distribuito aiuti a migliaia di famiglie”, ha raccontato a InfoPal l’architetto Mohammad Hannoun, che, insieme al suo collega Raed Dawoud, si è recato nei campi profughi in Libano per portare aiuti ai rifugiati palestinesi e siriani.

“La situazione umanitaria è molto difficile a causa di vari fattori come le crisi economica, politica e sanitaria e le ripercussioni del Covid-19 che ne aumentano la sofferenza. La nostra missione è stata divisa in due parti: una a distanza, a Gaza, realizzata dai nostri partner locali che, con i fondi inviati dall’Abspp, hanno potuto acquistare i prodotti da distribuire alla popolazione, e una parte in Libano”.

Le ragioni della campagna.

“Abbiamo voluto rispondere alle necessità delle famiglie bisognose, in Libano e nella Striscia di Gaza, esasperate anche dal Covid-19, oltreché dal continuo embargo, nel caso di Gaza, o della situazione politica ed economica, nel caso libanese. Si tratta di migliaia di famiglie in quarantena, sia nei campi in Libano sia a Gaza, senza poter lavorare. Il Libano sta attraversando tre fasi: 1) la discriminazione continua a cui sono sottoposti i profughi palestinesi, che non hanno diritto a sanità e lavoro (ci sono ben 70 tipi di professione che i palestinesi non possono svolgere, in Libano). 2) La crisi politica libanese e i gravi danni provocati dall’incidente al porto di Beirut 3) I profughi palestinesi lavorano alla giornata come muratori, contadini, manovali, ma se contraggono il coronavirus devono rimanere in quarantena a casa, senza poter lavorare. Dunque, oltre al problema di non poter guadagnare per mantenere la famiglia, ce n’è un altro: ‘stare a casa’, in quarantena, in un campo profughi, significa rimanere dentro un’unica stanza, con tutta la famiglia, in un piccolissimo spazio. Tutta la famiglia è dunque soggetta al contagio. Per questo il numero di malati e morti è spaventoso, nei campi”.

Gli aiuti offerti.

“Per quanto riguarda la situazione in generale in Libano, il cittadino libanese ha un governo che pensa a lui e tutto viene garantito, mentre i palestinesi dei campi devono pagare sia per fare il tampone sia per farsi curare, tutto è a pagamento… Dunque, questa è la situazione generale che ci ha spinti alla missione. Abbiamo risposto, occupandoci di tre aspetti: 1) igienico-sanitario – distribuzione di disinfettanti e igienizzanti, sia alle famiglie in quarantena sia agli ambulatori di accesso di massa, che distribuiscono a tutte le persone che vi si recano. Questo sia a Gaza sia in Libano. 2) A Gaza c’è il coprifuoco quasi totale e ciò significa che non si può lavorare, fare la spesa, ecc., e il governo non riesce a provvedere alle famiglie. Ci sono oltre un milione di cittadini in stato di bisogno. Abbiamo dunque distribuito migliaia di pacchi viveri: abbiamo fatto acquisti all’ingrosso di vegetali vari, carne e pollo (pacco verdura). Le famiglie scelgono cosa serve loro e portano a casa il necessario. La gente ha accolto con gioia tutto questo. Inoltre, in Libano e nella Striscia di Gaza abbiamo distribuito 50 mila mascherine e cartelle scolastiche.

“A Gaza abbiamo inaugurato quattro nuovi pozzi d’acqua potabile e relativi servizi di distribuzione. I pozzi sono vicini a scuole, a servizi pubblici e a luoghi di culto, per garantire a quanti cittadini possibile il servizio.

“Inoltre, in Libano abbiamo effettuato riunioni e incontri con ONG locali per capire come aiutare ad alleviare la sofferenza dei profughi”.

Accoglienza.

“Abbiamo ricevuto molti messaggi di ringraziamento, molta gioia, tutti aspettavano il nostro intervento. Ci hanno chiesto di rendere nota la loro situazione. Ad esempio, nel campo di Burj el-Barajne, a Beirut, nel 2013 erano in 16mila, oggi sono 52mila. L’aumento è dovuto all’immigrazione dalla Siria. E questo è solo uno degli esempi… Da parte nostra cerchiamo di raccontare ciò che abbiamo visto e ascoltato, promettendo di continuare ad alleviare la loro situazione senza fare distinzione tra palestinesi e siriani, perché vivono tutti insieme nell’emergenza e sono tutti esseri umani che come tali vanno trattati”.

La prossima missione.

“La nostra prossima missione sarà in inverno, tra dicembre e gennaio”.