Noi e la Palestina: un nuovo impegno.

 

Noi e la Palestina: un nuovo impegno
Gianluca Bifolchi 
 
Di fronte al selvaggio attacco portato su Gaza, alla cancellazione del precedente contesto di oppressione sofferto dai Palestinesi (puniti in sovrappiù per aver scelto democraticamente un governo sgradito all’occidente), e di fronte, ancora, ad un travisamento nel racconto dello scontro che confonde cause ed effetti e considera i razzi artigianali Qassam l’equivalente della terrificante potenza di fuoco israeliana, si ascoltano frequenti e fondate accuse di silenzio e complicità alle autorità di governo europee.
 
Il motivo è così ricorrente che dovremmo forse considerarlo un dato acquisito, e muovere alla domanda successiva: sul perché, allora, queste autorità di governo non mostrino alcuna vulnerabilità a questa critica, e continuino imperturbate sulla loro linea, in un contesto di opinione pubblica europea che, come dimostra un recente sondaggio dell’AntiDefamation League, è ancora prevalentemente filopalestinese.
 
Uno sguardo all’Italia porta alla rapida individuazione della risposta: non importa quanto sia indifendibile la posizione del nostro paese su questo angosciante problema, dato che esso viene accuratamente tenuto fuori dall’agenda del dibattito politico. Fino a che la Palestina rimane una materia di esclusivo interesse per attivisti con scarso o nessun accesso ai grandi media, il tema non è politicamente sensibile — cioè non comporta guadagni o perdite di voti — e può essere ignorato come la classica patata bollente.
 
All’indomani della vittoria alle elezioni politiche della coalizione di centro-sinistra, che non aveva lesinato parole d’ordine di ispirazione pacifista durante la campagna elettorale, qualcuno osservò subito, con facile profezia, che "non esistono governi amici". Dopo un anno di esperienza di governo gioverebbe ammettere che quella intuizione non è andata oltre un’impianto puramente protestatario, che si esprime in manifestazioni contro il governo che prestano facilmente il fianco a distorsioni dei media volte ad alienare queste iniziative dal sentimento generale della popolazione,  permettendo così l’agevole smarcarsi dei politici di governo, che così platealmente stanno venendo meno ai loro impegni precedentemente assunti.  Di sicuro, la Palestina non ha evitato il destino di diventare vittima di un silenzio ignavo da parte degli ambienti ufficiali.
 
E’ bene cominciare a prendere atto che l’agenda politica si struttura in base a pressanti e ben definite richieste che provengono dal basso, e fanno leva più sugli istinti di sopravvivenza del personale politico professionale, che sulle sue personali convinzioni e sui suoi principi, sui quali è bene non indagare troppo da vicino.
 
Quando un politico di sinistra (magari di "sinistra radicale") afferma solennemente "siamo per uno stato indipendente palestinese che viva a fianco di Israele, nella pace e nella sicurezza" occorrerebbe prendere questa frase per quello che è: un espediente retorico che si rifugia nella banalità per non impegnarsi ad affrontare la cruenta realtà che si sta dispiegando oranella Striscia di Gaza. E andrebbe denunciata come una dimostrazione di ipocrisia.
 
Per quanto limitati siano i mezzi a disposizione dell’attivismo filopalestinese, vale comunque il detto che se si hanno pochi denti bisogna mordere con quelli. E il principio nuovo a cui occorerebbe attenersi è che i politici — come singoli individui, e non come parte di una astratta corporazione — hanno goduto troppo a lungo di una colpevole distrazione da parte di tutti noi. Le lettere inviate ai parlamentari che non vengono degnate di una risposta, le banalità dette in televisione nei rari casi in cui si pronuncia la parola Palestina, il pavido silenzio quando nelle nostre istituzioni le politiche israeliane ricevono un premio e un riconoscimento unilaterale ed incondizionato, gli atteggiamenti di oggetiva complicità con un sistema di Apartheid a base razziale nei Territori Occupati, sono episodi che dovrebbero essere portati alla luce ed ai quali andrebbe data la massima diffusione, almeno sui media alternativi. Con indicazione di nomi e cognomi, azioni ed omissioni. In maniera organizzata e sistematica.
 
Il movimento di solidarietà alla causa palestinese deve riuscire a compiere il balzo dalla documentazione sull’oppressione della Palestina — su cui fino ad oggi si è svolto un lavoro straordinario — alla documentazione dettagliata dei meccanismi reali di una democrazia come la nostra che consentono la sua uccisione etica e simbolica. Per far uscire la Palestina dal silenzio è necessario che essa cessi di essere un tema di interesse marginale e diventi un elemento essenziale e vincolante del patto democratico tra cittadini e rappresentanti. Se gli attivisti italiani ed europei non riescono a farla diventare una variante ineludibile dello scontro politico generale che si svolge a casa nostra, allora è bene che i Palestinesi non si aspettino troppo da noi.
 
 
 
 

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