Occupazione israeliana e crisi economica: bambini costretti a scavare tra i rifiuti.

PNN – Quest’estate vede le strade delle città di Nablus e di Gerusalemme piene zeppe di bambini palestinesi che tentano disperatamente di aiutare le loro famiglie bisognose. Quello che fanno è raccogliere bottiglie vuote e computer abbandonati ai bordi delle vie, e quindi rivenderli per guadagnare un po’ di soldi.

Com’è ovvio, le implicazioni economiche di un simile lavoro sono molto tristi, poiché, secondo alcuni esperti, incoraggiano lo sfruttamento del lavoro minorile ed accrescono la disoccupazione tra gli adulti, che hanno anch’essi il bisogno disperato di trovare un impiego.

I palestinesi sostengono che questo tipo di commercio attrae centinaia di bambini, specialmente a partire da giugno, quando iniziano le vacanze estive. I piccoli si affollano così negli incroci trafficati, dove la spazzatura viene gettata dalle abitazioni più ricche. Le strade principali, le piazze e i centri delle città sono altri luoghi considerati favorevoli per la ricerca.

Le entrate extra generate dalla vendita di questi articoli rappresentano un aiuto per le famiglie che soffrono della perdita del lavoro e della crisi economicata causata dall’occupazione israeliana. I checkpoint e la costruzione di muri in aree strategiche hanno tagliato fuori molti individui dai posti di lavoro e dai terreni che utilizzavano per mantenere il proprio nucleo familiare – e li hanno isolati in zone con poche opportunità economiche.

‘Imad Ramiz, 12 anni, di Gerusalemme, afferma di passare circa 4 ore al giorno lungo le strade nei pressi di casa sua a raccogliere bottiglie e altri rifiuti, per poi vendere il suo bottino a un negozio locale. ‘Imad preferisce questo lavoro piuttosto di vendere frutta e verdura nell’attività di suo padre, che lo pagherebbe solo 10 shekel. Dopo 10 ore di lavoro, ‘Imad guadagna invece il triplo per quello che ha trovato tra l’immondizia.

Jamal ‘Abd al-Qader, un ragazzo di 13 anni che sogna di passare le vacanze in un campo estivo, spiega invece che suo padre lo ha costretto a smettere di raccogliere spazzatura. “Bisogna essere dei ragazzi forti per vivere la mia vita”, ha dichiarato.

Da parte sua, un operaio vetraio di Nablus sostiene che si è avuta una netta crescita del numero di bambini che vendono oggetti alla sua fabbrica – un segno del duro periodo che sta affrontando l’economia dei palestinesi.

Nafez Abu Bakr, professore del Dipartimento di Scienze economiche e amministrative all’Università nazionale di an-Najah a Nablus, conferma che il fenomeno ha un impatto negativo sul tasso di disoccupazione e sull’economia in generale, poiché i datori di lavoro sfruttano i minori pagandoli meno degli adulti, anch’essi disoccupati.

“In una famiglia povera alla ricerca costante di una fonte di guadagno – sostiene Abu Bakr – , questa situazione da una parte fa sì che i bambini vengano usati, ma dall’altra non permette guadagni sufficienti a condurre una vita decente. Alla fine, tutto questo sfocia in un’economia distorta”.

Dal punto di vista di un operatore sociale locale, il diffuso fenomeno, riscontrabile soprattutto nelle aree più povere dei Territori, ha serie implicazioni per il futuro dello sviluppo sociale, culturale ed economico. Per questo motivo, sostiene l’operatore, occorrerebbe uno studio che non solo analizzasse il problema, ma esplorasse anche i vari modi possibili per risolverlo, come ad esempio dei provvedimenti ufficiali che impedissero lo sfruttamento dei minori a scopi lavorativi.

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