Occupazione israeliana, torture contro i minorenni palestinesi.

Rapporto dell’ISM – International Solidarity Movement -sull’uso di torture contro minorenni da parte dell’esercito israeliano.

 

In occasione dell’ultima invasione delle forze israeliane, che ha visto nel ruolo di vittime i residenti del villaggio di Azzun, dei poliziotti in borghese hanno rapito un ragazzo di sedici anni per sottoporlo a un lungo interrogatorio corredato da violenze fisiche.

 

Il giovane palestinese, Mahmud Radwan, era in viaggio sull’autostrada 55 appena fuori da Izbat at-Tabib e si stava dirigendo verso il terreno di un suo amico a bordo del carro di questi, quando i poliziotti, vestiti con abiti civili palestinesi e guidando ciò che appariva essere un taxi palestinese, hanno fermato i due ragazzi puntando loro una pistola e costringendoli a sedersi per terra di fianco al guardrail. Dopo circa mezz’ora, l’amico di Mahmud è stato rilasciato, ma lui è stato trattenuto, sentendosi dire, come ci è stato riportato: “Abbiamo qualcosa da dirti; sappiamo che crei problemi.”

Il successivo interrogatorio, svoltosi prima nel taxi e poi alla centrale di polizia di Ariel, dov’è stato condotto il ragazzo, è ruotato intorno all’accusa di aver scagliato pietre contro le macchine in autostrada e contro jeep della polizia e dell’esercito al momento dell’irruzione nel villaggio di Azzun. Mahmud è stato ripetutamente minacciato dai poliziotti che lo interrogavano, che gli hanno ingiunto di confessare di aver lanciato le pietre se voleva tornare a casa, altrimenti l’avrebbero portato in tribunale e multato. Le minacce insistevano sul fatto che la polizia israeliana avrebbe potuto “creare guai” a lui e alla sua famiglia. È stato poi insultato più volte, e fatto oggetto di bestemmie e “nomi femminili”.

Gli inquisitori hanno avvolto la testa di Mahmud nella sua giacca, legandogli le maniche attorno al collo e stringendole per soffocarlo. È stato quindi preso ripetutamente a pugni nell’addome, nei fianchi e sulla testa e colpito alla gamba col calcio di un M16. In questo modo l’interrogatorio si è protratto per due ore, con Mahmud che veniva picchiato ogni qualvolta negava le loro affermazioni. Nonostante il pestaggio, Mahmud ha continuato a proclamarsi innocente, dichiarando di non aver partecipato ad alcun lancio di sassi.

Gli inquisitori hanno allora proseguito nel loro sforzo di far confessare Mahmud con la forza minacciando di rinchiuderlo in cella d’isolamento, e quindi di legarlo e appenderlo al soffitto e farlo torturare da quattro uomini.

Alla fine, fallito il tentativo di strappargli una confessione, Mahmud è stato portato in un corridoio, dove è stato fatto sedere con una gamba legata a una panchina di metallo, il tutto per circa quattro ore. Intorno alle 10 di sera, Mahmud è stato portato via in un veicolo militare e abbandonato nei pressi del villaggio di Harris, lontano da Azzun. Dopo un’ora di attesa sulla strada vicino a Harris, gli abitanti del luogo gli hanno prestato un telefono con cui chiamare la famiglia. Dieci minuti più tardi, Mahmud è stato in grado di fermare un taxi diretto ad Azzun, arrivando finalmente poco prima di mezzanotte. Il travaglio, inferto sulla base di accuse infondate, è durato quasi dieci ore ed esemplifica ciò che subiscono i giovani palestinesi come risultato della politica israeliana, che li prende di mira senza portare alcuna prova contro di loro.

Non era la prima volta che Mahmud veniva ingiustamente soggetto a pestaggi e ad interrogatori. Solo un anno fa, Mahmud, che aveva allora quindici anni, fu arrestato nella sua abitazione all’una di notte. Le forze israeliane si fecero aprire la porta di casa, chiedendo inizialmente di suo fratello, Mohammed, ma ritornando quindici minuti più tardi per prendere Mahmud e portarlo alla centrale di polizia della colonia di Ma’ale Shamron, dove l’avrebbero poi interrogato. Altri due ragazzi di Azzun, entrambi quattordicenni, furono condotti alla centrale insieme a lui. A Ma’ale Shamron, la polizia schedò i tre ragazzi, e quindi li portò ad Ariel. Durante il viaggio, lungo quasi un’ora, i soldati picchiarono Mahmud sulla testa e sul corpo con i manganelli, insultando la sua famiglia e accusandolo anche allora di aver lanciato delle pietre.

Ad Ariel, Mahmud fu condotto sul tetto, dove due poliziotti israeliani gli misero una busta di plastica in testa, lo spinsero a terra ammanettandogli le mani dietro la schiena e legandogli insieme i piedi; poi, lo presero a pugni e calci a più riprese per circa venti minuti. Nel frattempo, come durante il viaggio, i due uomini continuavano a lanciare contro di lui le stesse accuse e gli stessi insulti.

Alla fine, il giovane fu fatto sedere su una panchina, ancora ammanettato e legato, dalle 3 alle 6 del mattino. Quando si assopiva, i poliziotti che passavano di lì lo malmenavano per svegliarlo.

Dopo le 6 del mattino, quando arrivarono in centrale, gli ufficiali dell’intelligence israeliana iniziarono ad interrogare i tre ragazzi separatamente. Mahmud fu interrogato tre volte, ogni volta per mezz’ora. Durante l’interrogatorio, i poliziotti gli chiedevano sempre le stesse cose, accusandolo per gli stessi identici motivi e cercando di costringerlo a confessare: “Tu lanci pietre! Dov’è la tua pistola? Il tuo amico ha detto che lanci pietre”. Queste stesse illazioni venivano probabilmente indirizzate anche agli altri due, nel tentativo di far loro confessare con l’inganno azioni che negavano di aver commesso.

Intorno alle 4 del mattino, Mahmud fu portato alla sede di Qedumim per altri venti minuti, prima di essere finalmente rilasciato vicino al villaggio di Jinsafut, a circa 8 km a est di Azzun.

I due incidenti di Mahmud non sono un caso isolato, ma piuttosto illustrano le politiche e le pratiche sistematiche e tuttora in corso che vengono utilizzate al fine di avvilire e terrorizzare i giovani palestinesi. I residenti sospettano che, congiuntamente all’attuale imposizione di coprifuoco e blocchi stradali nei confronti del villaggio di Azzun, interrogatori violenti come questo rappresentino un altro elemento della strategia di lungo termine, adottata dalle autorità israeliane, che ha l’obiettivo di creare nell’area precedenti che giustifichino la costruzione di una barriera di separazione per bloccare l’entrata principale di Azzun e tagliare l’accesso all’autostrada 55.

Traduzione a cura della redazione di Infopal

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