OCHA: a settembre, Israele ha demolito o sequestrato 76 edifici palestinesi, dislocando 136 persone e danneggiandone altre 300

Gerusalemme-Wafa. Nel mese di settembre le autorità israeliane hanno demolito, obbligato la gente a demolire o sequestrato 76 edifici di proprietà palestinese, tutti per mancanza di permessi edilizi che, per i Palestinesi, é quasi impossibile ottenere, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) nei Territori Palestinesi Occupati (TPO).

In conseguenza di ciò, un totale di 136 persone sono state dislocate, e quasi altre 300 sono state danneggiate nei loro mezzi di sostentamento o di accesso ai servizi, ha dichiarato l’OCHA nel suo aggiornamento mensile sulle demolizioni e gli sfollamenti in Cisgiordania, per il mese di settembre.

Da quando è stata dichiarata l’emergenza per il COVID-19, il 5 marzo 2020, 461 edifici di proprietà palestinese sono stati presi di mira e 572 persone sfollate, che costituiscono un incremento del 31% (per entrambe le cifre) rispetto al periodo equivalente del 2019, e le percentuali più alte in quattro anni.

In una dichiarazione pubblica del 10 settembre, il Coordinatore Umanitario dei TPO, James McGoldrick, ha chiesto alle autorità israeliane di fermare immediatamente le demolizioni illegali che hanno “aumentato le necessità e le vulnerabilità dei Palestinesi, già intrappolati nell’anormalità di una prolungata occupazione militare”.

Delle strutture colpite in settembre, 21 erano state fornite come aiuti umanitari per un valore di oltre 30.000 euro; si tratta, finora, del maggior numero di strutture di aiuto demolite o sequestrate in un solo mese, nel 2020. Per altri cinque edifici finanziati da donatori, che valgono oltre 40.000 euro, sono state consegnate ordinanze di demolizione o di interruzione lavori.

Oltre il 30 percento delle strutture prese di mira a settembre sono state distrutte o sequestrate, ha rivelato l’OCHA. Questa pratica, aumentata nel corso degli ultimi anni, si basa su regolamenti militari che permettono una requisizione sommaria (senza preavviso) di edifici “appena costruiti” definiti “semoventi” da un ispettore dell’Amministrazione Civile Israeliana (ACI). Tali regolamenti sono stati modificati ad agosto del 2020, allo scopo di estendere il termine, per poter effettuare tale richiesta, a 90 giorni dall’installazione della struttura (rispetto ai 60 giorni che erano richiesti in precedenza).

Altre nove strutture sono state demolite in base all’Ordine Militare 1797, che consente la rimozione degli edifici privi di licenza ritenuti “nuovi”, entro 96 ore dall’emissione dell’”ordine di rimozione”. Questi strumenti legali e le relative procedure sono motivo di enorme preoccupazione in quanto impediscono o riducono in modo drastico la possibilità delle persone colpite di essere ascoltate dinanzi ad un organo giudiziario.

Quindi, tutte le strutture colpite durante il mese (abitazioni, impianti idrici ed igienico-sanitari e ricoveri per gli animali), tra cui otto fornite dagli aiuti umanitari, si trovavano nella zona di Massafer Yatta nel governatorato di Hebron, che é stato dichiarato chiuso per l’addestramento militare israeliano (“Firing zone 918”). Al riguardo, le autorità israeliane stanno cercando da anni di espellere i 1.400 Palestinesi residenti nelle 14 comunità di pastori presenti in questa zona.

Anche la comunità di Beduini palestinesi di Ras at-Tin (composta da circa 200 persone), nel governatorato di Ramallah, si trova in una “firing zone” e deve affrontare tutta una serie di pressioni che, combinate l’una con l’altra, creano un ambiente coercitivo ed un rischio di trasferimento forzato per i residenti. Per due volte, questo mese, le autorità di Israele hanno distrutto e sequestrato il soffitto di una scuola che si trova in questa comunità, finanziata da donatori, assieme a materiali da costruzione, sedie e tavoli. La scuola ha cominciato a funzionare il 6 settembre, frequentata da 50 bambini palestinesi, che prima dovevano camminare per cinque chilometri per raggiungere la scuola più vicina. L’intero edificio dovrebbe essere demolito a breve, in seguito al via libera dato recentemente in tal senso da un tribunale israeliano. Attualmente vi sono 52 scuole nell’Area C della Cisgiordania e a Gerusalemme Est, con ordinanze di demolizione o di interruzione lavori sospese.

Preoccupante anche il fatto che, a settembre, il governo israeliano abbia stanziato circa 6 milioni di dollari a favore del “Ministero per le Questioni degli Insediamenti”, di recente costituzione, allo scopo di sorvegliare le costruzioni palestinesi non autorizzate nell’Area C, secondo quanto rivelato da un rapporto dei media israeliani. L’autorità per il monitoraggio e l’applicazione della legge in questa materia, tuttavia, é con l’ACI, che riceve finanziamenti separati. Circa lo 0,6 % dell’Area C ha un piano regolatore approvato dall’ACI, secondo il quale i Palestinesi hanno il permesso di costruire legalmente, la maggior parte del quale però é già costruito.

A Gerusalemme Est 15 strutture sono state demolite nel corso del mese, otto delle quali direttamente dai loro proprietari, a seguito dell’emissione di ordinanze di demolizione. L’auto-demolizione é notevolmente aumentata durante l’anno in corso, rappresentando la metà di tutte le strutture prese di mira a Gerusalemme Est. Ciò é attribuibile ad un emendamento legislativo che impone multe per ogni giorno in più di utilizzo di una struttura prevista per la demolizione.

Il primo ottobre, in risposta all’azione legale intrapresa da una organizzazione per i diritti umani, le autorità israeliane hanno avvertito che avrebbero fermato la demolizione di case disabitate a Gerusalemme Est per la situazione della pandemia in corso. Tuttavia, in assenza di un blocco simultaneo dell’accumulo di multe, le auto-demolizioni probabilmente continueranno.

Anche a Gerusalemme Est, in tre sentenze emesse separatamente a settembre, i tribunali israeliani hanno ordinato lo sfratto di 12 famiglie palestinesi dalle loro case situate nei quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, e la consegna delle proprietà alle organizzazioni di coloni israeliani. Uno degli sgomberi é previsto entro il 5 novembre e gli altri nel corso del 2021. Oltre 200 famiglie a Gerusalemme Est sono a rischio di sfratto a causa di procedimenti giudiziari simili presentati contro di loro.

Per molte comunità palestinesi della Cisgiordania l’ambiente coercitivo che devono affrontare implica anche la distruzione di proprietà da parte dei coloni israeliani. Durante un grave incidente accaduto il 17 settembre vicino al villaggio di Biddya (Salfit), i coloni israeliani hanno demolito una struttura agricola appartenente a contadini palestinesi ed hanno sradicato 445 alberi da frutto. Secondo fonti israeliane, i coloni reclamano la proprietà del terreno ed hanno intenzione di stabilirvi una nuova colonia, nonostante la mancanza di permessi edilizi o l’approvazione ufficiale.

Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi