Opinione: l’eredità terrorista del sionismo

MEMOBradley Burston – Ha’aretz. Il terrorismo è stato non solo presente da prima della fondazione di Israele, esso è stato tollerato, rafforzato e glorificato. Allo stesso tempo i palestinesi venivano condannati per la loro resistenza.
Israele ha un problema di terrorismo del quale non vuole parlare.
Capisco questa riluttanza.
Ogni tanto mi rendo conto di dover dire chiaramente qualcosa di doloroso di cui non mi va di parlare ma che ho bisogno di sentire. Ecco. Noi in Israele dobbiamo affrontare seriamente la nostra storia, le conseguenze e l’eredità del nostro terrorismo.
Due settimane fa, in un’aula di tribunale della città mista arabo-israeliana di Lod, una ventina di giovani ebrei hanno ballato e cantato per festeggiare l’orribile assassinio di un bimbo di 18 mesi, Ali Dawabshe, in seguito al bombardamento dell’abitazione in cui si trovava nel villaggio di Duma, in Cisgiordania.
Anche i genitori di Ali sono morti nel bombardamento, mentre il fratellino di 4 anni ha riportato gravi ustioni.
I festeggianti, con cappellone e riccioli laterali caratteristici dei coloni militanti, hanno circondato il nonno di Ali e Ahmed, Hussein Dawabshe, mentre usciva dal tribunale in cui si trovavano tre ebrei sospettati per l’omicidio.
“Dov’è Ali? È morto! Bruciato! Non c’è più Ali!”, essi urlavano con scherno al nonno, che ha allevato il nipote Ahmed di 4 anni e se ne è preso cura durante l’arduo processo di guarigione seguito all’attacco. “Ali è sul fuoco! Ali è sulla griglia!”
Ynet ha raccontato che “i poliziotti e i funzionari presenti in tribunale hanno scelto di non intervenire, lasciando continuare le dimostrazioni di odio e di razzismo”. La polizia israeliana ha poi spiegato che non c’è stato intervento in quanto “non c’è stato tumulto violento”.
A parte come avrebbe reagito la polizia nel caso in cui i dimostranti fossero stati palestinesi e la vittima un bambino ebreo – un caso recente lascia pochi dubbi su percosse, ingiurie e arresti che ne sarebbero conseguiti – merita fare attenzione alla risposta del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo gabinetto, sempre concordi e solleciti tramite i social media dopo ogni caso di terrorismo palestinese. Il silenzio. 
Il fatto è che Israele ha un problema di terrorismo che è parte del sionismo ancor prima della fondazione dello stato. È un problema presente ogni qual volta  Netanyahu fa la morale dichiarando che i palestinesi erigono monumenti ai propri terroristi, “mentre noi costruiamo la pace”.
Consideriamo un esempio su mille, il video con cui Netanyahu apre l’anno scolastico, nel quale egli stronca i palestinesi affermando che innalzano monumenti per rendere onore ai terroristi uccisori di ebrei.
“Ai bambini va insegnato l’amore e il rispetto, non l’odio e l’assassinio”, egli intona con gesti di sincerità.
“Ci sono molti difensori della pace ai quali dedicare delle statue. Perché i palestinesi scelgono sempre di onorare chi fa stragi di massa?”
Ciò che Netanyahu non ha ricordato sono le insegne e i monumenti eretti negli ultimi anni in onore dei bombardamenti e di altri attacchi omicidi commessi dai membri del gruppo paramilitare sionista Irgun Zvai Leumi, e dal gruppo paramilitare Lehi, precedenti lo stato di Israele – senza nominare le autostrade, i viali, le scuole e le piazze cittadine dedicate ai comandanti di bande armate quali i primi ministri israeliani Menachem Begin e Yitzhak Shamir.
Nella colonia di Kiryat Arba, in Cisgiordania, si trova poi la lapide, meta di pellegrinaggio, in onore di Baruch Goldstein, che chiuse i festeggiamenti del Purim, nel 1994, ammazzando a colpi di fucile 29 palestinesi inginocchiati in adorazione della tomba dei patriarchi a Hebron. Solo pochi anni fa, nel 2010, residenti ebrei del quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, furono filmati durante i festeggiamenti per il Purim, mentre cantavano: “Dott. Goldstein, non c’è nessuno al mondo come te. Dott. Goldstein, tutti ti amiamo, hai mirato alla testa dei terroristi, premuto forte il grilletto, sparato e sparato e sparato…”.
Il nostro problema di terrorismo edulcorato è cresciuto ed è diventato invisibile. È nascosto ma è davanti a tutti. Era presente all’apertura della storica visita ufficiale del principe britannico William. Era presente nel disinvolto dispaccio del corrispondente del canale televisivo Israel 10, Akiva Novick, che si è riferito all’Irgun dell’ex primo ministro israeliano Menachem Begin dicendo: “Si ha per la prima volta in assoluto una visita ufficiale di un membro della famiglia reale, nel luogo in cui l’Irgun Zvai Leumi fece esplodere, 72 anni fa, il King David Hotel, nell’operazione che pose fine al mandato britannico. Ci sono voluti molti anni agli inglesi per reprimere o per assorbire questo insulto”.
Questo insulto. 
“L’attacco terroristico al King David Hotel di Gerusalemme è stato a suo tempo l’equivalente delle Twin Towers”, ha scritto lo storico Tom Segev nel 2006, dopo l’intervento di Netanyahu alla cerimonia commemorativa per il 60° anniversario dall’attacco. Anni dopo, Segev lo ha definito: “All’epoca, il più letale attacco terroristico della storia”.
L’esplosione rase al suolo i sei piani di un’ala dell’hotel con 350 chili di esplosivo, uccidendo 91 persone – di cui 85 civili -. La maggior parte dei morti erano impiegati del governo britannico o impiegati dell’albergo. 41 erano arabi, 28 cittadini britannici, 17 ebrei, 2 armeni, 1 riso, 1 greco e 1 egiziano.
All’evento di 2 giorni per il 60° anniversario presso il Menachem Begin Heritage Center, Netanyahu si unì a veterani dell’Irgun e ad accademici per provare una volta per tutte che gli assalitori dell’Irgun di Begin e il gruppo Lehi del primo ministro Itzhak Shamir – che hanno attuato assassinii politici di alto livello – erano combattenti per la libertà, non terroristi.
In quell’occasione si è ripetuto che agli occupanti del King David era stato dato un ampio preavviso, affermazione contestata dalle autorità britanniche.
Hanno parlato del bombardamento come dell’evento più significativo nell’espulsione degli inglesi dalla Palestina, che ha spianato la strada all’indipendenza di Israele. Affermazione ampiamente contestata dagli storici ma significativa nelle sue implicazioni – che cioè il terrorismo, alla fine, paga.
L’apice delle celebrazioni per il 60° fu la presentazione di una grande targa, vicino all’hotel, commemorativa dell’attentato.
All’epoca Simon Macdonald, ambasciatore britannico in Israele, insieme al console generale John Jenkins, scrisse al sindaco di Gerusalemme per protestare contro la targa. “Non consideriamo sia giusto commemorare un atto di terrorismo”, scrissero. L’ambasciata britannica aggiunse: “Non ci sono prove credibili riguardo un avvertimento che avrebbe raggiunto le autorità britanniche”.
Il testo della targa è stato leggermente modificato, ma il monumento è rimasto.
Intanto Netanyahu, che aveva appena subito una sconfitta schiacciante alle elezioni del 2006, con il suo Likud a un triste quarto posto, con solo 12 seggi alla Knesset e meno del 9 % dei voti, stava preparando il proprio ritorno.
Tra i capisaldi della sua campagna c’era – e ancora c’è – la condanna dei palestinesi per aver reso onore a dei terroristi. Ma i riferimenti al terrorismo ebraico continuano. Il britannico Jewish Chronicle nel 2016, a proposito della più eminente vittima ebrea dell’attentato al King David hotel, l’uomo di Manchester che ricopriva l’incarico di sottosegretario al Tesoro palestinese, scrisse: “Lo scherzo della storia è che la casa di Julius Jacob a Gerusalemme divenne la residenza ufficiale del primo ministro per 20 anni. Il suo ultimo occupante è stato Yitzhak Rabin, che poi si trasferì nella nuova residenza di via Smoleskin. Al signor Begin, primo ministro successore, è stato così risparmiato di dover affrontare quotidianamente i fantasmi del passato e di dover ricordare un ebreo britannico morto inutilmente in circostanze così tragiche”.
Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice