Palestina 2007: Genocidio a Gaza, Pulizia Etnica in Cisgiordania.

Palestina 2007: Genocidio a Gaza, Pulizia Etnica in Cisgiordania

di Ilan Pappe*

Pubblicato su
Electronic Intifadah l’11 gennaio 2007

*Ilan Pappe è lettore all’Università di Haifa, Dipartimento di Scienza Politiche e direttore dell’Emil Touma Institute for Palestinian Studies in Haifa. Tra i libri pubblicati, tra gli altri, Il Conflitto Arabo-Israeliano (1992, London & New York); Storia della Palestina Moderna (2003, Cambridge; Italia, Einaudi, 2005) e il suo ultimo Pulizia Etnica della Palestina (2006)

Su http://electronicintifada.net, non molto tempo fa, ho dichiarato che Israele sta conducendo politiche di genocidio nella Striscia di Gaza. Avevo esitato a lungo prima di adottare un termine così carico e tuttavia ho deciso di usarlo. Veramente, le risposte che ho ricevuto, incluse quelle di alcuni attivisti per i diritti umani di spicco, indicavano un certo disagio nell’uso di un tale termine. Per un momento, sono stato tentato di ripensare il termine, ma poi sono tornato a riutilizzarlo oggi con convinzione anche maggiore: è l’unico modo appropriato di descrivere quello che l’esercito israeliano sta facendo nella Striscia di Gaza.

Il 28 Dicembre 2006, l’organizzazione per i diritti umani B’Tselem ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle atrocità israeliane nei territori occupati. Le forze armate israeliane hanno ucciso nell’ultimo anno, 660 cittadini. Il numero dei palestinesi uccisi da Israele lo scorso anno è stato triplo rispetto all’anno precedente (che era di circa 200). Secondo B’Tselem, gli israeliani hanno ucciso 141 bambini lo scorso anno. La maggior parte degli uccisi sono della Striscia di Gaza dove l’esercito israeliane ha demolito quasi 300 case e trucidato intere famiglie. Questo significa che dal 2000, le forze israeliane hanno ucciso quasi 4000 palestinesi, metà dei quali erano bambini (ndt, minori); oltre 22.000 sono stati feriti.

B’Tselem è una organizzazione cauta e le cifre potrebbero essere più elevate. Ma il punto non è l’intensificazione delle uccisioni deliberate, ma si tratta di una tendenza, di una strategia. All’inizio del 2007, i politici israeliani si trovano ad affrontare due realtà molto diverse in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nel primo caso, sono vicini più che mai a completare la costruzione del confine est. Il loro dibattito ideologico interno è finito e il loro piano principale per annettere la metà della Cisgiordania sta per essere realizzato a una velocità mai vista prima.
L’ultima fase è stata ritardata a causa delle promesse fatte da Israele, nella Road Map, di non costruire nuove colonie. Israele ha trovato due modi per ovviare questi divieti menzionati. Primo, ha definito un terzo della Cisgiordania come Grande Gerusalemme, il che gli ha permesso di costruire all’interno di questa nuova area neo-annessa città e centri comunitari.
Secondo, ha espanso le vecchie colonie a proporzioni tali che non c’è stata alcuna necessità di costruirne di nuove. Questa tendenza ha ricevuto un ulteriore impulso nel 2006 (centinaia di case-prefabbricate sono state installate per segnare i confini dell’espansione, i piani disegnati per le nuove città e sobborghi sono stati portati a termine e le strade dell’apartheid con il sistema di autostrade sono state completate). Complessivamente, le colonie, le basi militari, le strade e il muro permetteranno ad Israele di annettere oltre la metà della Cisgiordania entro il 2010.
All’interno di questi territori ci sarà un considerevole numero di palestinesi contro i quali le autorità israeliane continueranno ad applicare lente e striscianti politiche di trasferimento – troppo noiose come soggetto che possa interessare i media occidentali e troppo elusive perché le organizzazioni dei diritti umani possano farci caso. Non c’è alcuna fretta; per quanto gli israeliani siano preoccupati, hanno il coltello dalla parte del manico: il meccanismo giornaliero di de-umanizzazione e di abusi, sia militari che burocratici, sono molto più efficaci che in passato nel contribuire e fare la loro parte nel processo di spodestamento.
Il pensiero strategico di Ariel Sharon secondo cui questa politica è migliore di quella offerta dai bruschi sostenitori del "trasferimento" o di quella dei sostenitori della pulizia etnica, come quella sostenuta da Avigdor Lieberman, è accettata da tutti nel governo, dai Laburisti a Kadima. I "petit" crimini del terrorismo di stato sono egualmente efficaci dal momento che permettono ai Sionisti liberali in giro per il mondo di condannare in modo leggero Israele ed invece etichettano qualsiasi genuina critica alle politiche criminali di Israele come anti-semitismo.

Da un altro lato, non esiste finora una strategia israeliana chiara per la Striscia di Gaza; ma compiono esperimenti su base giornaliera con essa. Gaza, agli occhi degli israeliani, è una entità geopolitica molto diversa da quella della Cisgiordania. Hamas controlla Gaza mentre Abu Mazen sembra guidare la frammentata Cisgiordania con la benedizione americana e Israeliana. Non c’è nessun pezzo di terra a Gaza che Israele brami e non esiste nessun hinterland come può essere la Giordania, dove i palestinesi possano venire espulsi. La pulizia etnica qui non funziona.

La prima strategia a Gaza è stata la ghettizzazione dei palestinesi, ma questo non sta funzionando. La comunità ghettizzata continua ad esprimere la propria volontà di vita sparando razzi primitivi su Israele. Ghettizzando o mettendo in quarantena le comunità indesiderate, anche quando sono viste come sub-umane o pericolose, non ha mai prodotto risultati nella storia che fossero soluzioni. Gli ebrei lo sanno bene dalla loro stessa storia. I passi successivi contro comunità come queste nel passato sono stati anche più orrende e barbariche. E’ difficile raccontare che cosa il futuro riserva per la popolazione di Gaza, ghettizzata, messa in quarantena, non voluta e demonizzata. Si tratterà della ripetizione dei funesti esempi storici o ancora un destino migliore è possibile?

Dare vita a una prigione e buttare la chiave in mare, come ha messo in rilievo l’inviato speciale delle Nazioni Unite John Dugard, ha costituito una opzione alla quale i palestinesi di Gaza hanno reagito con la forza subito a iniziare dal Settembre del 2005. Erano determinati a far vedere fino alla fine che erano ancora parte della Cisgiordania e della Palestina. In quel mese hanno lanciato il primo significativo, per numero e non per qualità, fuoco di missili a ovest del deserto del Negev. Il bombardamento era una risposta a una campagna israeliana di arresti di massa di attivisti di Hamas e della Jihad islamica nell’area di Tulkarem. Gli israeliani risposero con l’operazione "Prima Pioggia". E’ necessario soffermarsi un attimo sulla natura di questa operazione. Si era ispirata alle misure punitive inflitte per la prima volta dai poteri coloniali, e dopo dai regimi dittatoriali, contro comunità ribelli imprigionate e messe al bando. Una spaventosa esibizione del potere intimidatorio dell’oppressore precedeva ogni genere di punizioni brutali e collettive, concludendosi con un ampio numero di vittime tra morti e feriti. Durante "Prima Pioggia", aerei supersonici venivano fatti volare su Gaza per terrorizzare un’intera popolazione, seguiti da intensi bombardamenti di vaste aree dal mare, dal cielo e da terra. La logica, spiegata dall’esercito israeliano, era quella di esercitare pressione in modo tale da indebolire le comunità di Gaza dissuadendole dal sostenere i lanciatori di razzi. Come c’era da aspettarsi, anche da parte israeliana, l’operazione servì solo a incrementare il sostegno per i lanciatori di razzi e dare nuovo impulso al loro successivo tentativo. Il reale obiettivo di questa particolare operazione era di sperimentare. I generali israeliani volevano sapere come operazioni di questo tipo venivano recepite in casa, nella regione e nel mondo. E sembrò che la risposta immediata sia stata "molto bene"; per non fare nomi, nessuno si interessò al numero di morti e alle centinaia di feriti tra i palestinesi che "Prima Pioggia" si lasciò dietro quando si calmò.

E da allora, fin da "Prima Pioggia" e fino al Giugno 2006, tutte le successive operazioni vennero modellate in modo simile. La differenza stava nel loro intensificarsi: molta più potenza di fuoco, molte più vittime e molti danni collaterali e, come c’era da aspettarsi, molti missili Qassam in risposta. Accompagnate nel 2006 da ulteriori misure, dai risvolti molto più sinistri, per assicurarsi il totale imprigionamento della popolazione di Gaza attraverso il boicottaggio e il blocco, con cui l’Unione Europea sta ancora collaborando in modo vergognoso.

La cattura di Gilad Shalit nel Giugno del 2006 era irrilevante nello schema generale delle cose, ma non di meno produsse agli israeliani una opportunità per aumentare ancora gli ingredienti delle così dette missioni tattiche e punitive. Dopo tutto, non c’era stata alcuna strategia dopo la decisione di Ariel Sharon di ritirare 8.000 coloni la cui presenza complicava le missione "punitive" e il cui sfratto lo fece quasi un candidato per il Premio Nobel per la Pace. Da allora, le missioni "punitive" continuano e si tramutano in una strategia.

L’esercito israeliano ama il dramma e dunque ha peggiorato anche il linguaggio. "Prima Pioggia" è stata replicata in "Pioggia d’Estate", un nome qualsiasi dato alle operazioni "punitive" dal Giugno 2006 (in un paese dove non ci sono precipitazioni estive, le uniche precipitazioni che uno può aspettarsi sono le piogge di bombe degli F-16 e i colpi di artiglieria che colpiscono la gente di Gaza).

"Pioggia d’Estate" ha portato un nuovo elemento: l’invasione da terra che ha diviso in porzioni la Striscia di Gaza. Questo ha permesso all’esercito di uccidere i civili in modo ancora più efficace e di presentarlo come l’esito di un pesante bombardamento in aree densamente popolate, una risultante inevitabile dipendente dalle circostanze e non dalle politiche israeliane. Con la fine dell’Estate è arrivata l’operazione "Nuvole d’Autunno" che è stata ancora più efficiente: il 1 Novembre del 2006, in meno di 48 ore, gli israeliani hanno ucciso 70 civili; alla fine del mese, con altre mini operazioni di accompagnamento, circa 200 civili erano stati uccisi, metà dei quali bambini e donne. Come si può vedere dalle date, alcune attività sono parallele all’attacco israeliano in Libano, che ha reso più facile completare le operazioni senza troppa attenzione esterna, salvo qualche critica.

Da "Prima Pioggia" a "Nuvole d’Autunno" è possibile vedere una escalation in tutti gli aspetti. Il primo è la scomparsa della distinzione tra obiettivi civili e non: uccidere senza senso ha tramutato la popolazione nel suo complesso ad essere il principale obiettivo delle operazioni militari. Il secondo è il significato dell’intensificarsi dei mezzi: l’impiego di tutto l’armamentario disponibile per uccidere che l’esercito israeliano possiede. Terzo, l’escalation è notevole per numero di vittime: in ogni operazione, e in tutte quelle future, un numero sempre crescente di persone verranno uccise e ferite. Infine, cosa più importante, le operazioni diventano una strategia – il modo in cui Israele intende risolvere i problemi della Striscia di Gaza.

Una strisciante politica di trasferimento nella Cisgiordania e misurate politiche di genocidio nella Striscia di Gaza sono le due strategie che Israele impiega oggi. Da un punto di vista elettorale, quello usato a Gaza è problematico dal momento che non raggiunge nessun risultato tangibile; la Cisgiordania sotto Abu Mazen sta cedendo alle pressioni israeliane, e non c’è alcuna forza significativa che arresti la strategia israeliana di annessione e di espropriazione. Ma Gaza continua a rispondere. Da un lato, questo potrebbe portare l’esercito israeliano a dare il via a operazioni molto più massicce di genocidio di massa in futuro. Ma c’è anche il pericolo ancora maggiore, da un altro lato, come avvenne nel 1948, che l’esercito possa chiedere una più drastica, sistematica e collaterale azione "punitiva" contro la popolazione sotto assedio nella Striscia di Gaza.

Ironicamente, le macchine di morte israeliane si sono fermate di rencente. Anche un numero relativamente alto di missili Qassam, inclusi uno o due mortali, non hanno provocano l’azione dell’esercito. Sebbene il portavoce dell’esercito dice di aver osservato "restraint" (ndt, auto-limitazione), non è mai accaduto in passato e non avverrà lo stesso in futuro. L’esercito si riposa, intanto che i generali sono contenti per le uccisioni interne che infuriano a Gaza e che non sono affar loro.
Guardano con soddisfazione l’emergere della guerra civile a Gaza che Israele fomenta e incoraggia. Dal punto di vista israeliano non si tratta per davvero di come eventualmente Gaza verrà ridimensionata demograficamente, se da uccisioni interne o da quelle israeliane.
La responsabilità della fine dello scontro interno ricade certamente sugli stessi gruppi palestinesi, ma l’interferenza americana e israeliana, il continuo imprigionamento, lo strangolamento e la riduzione alla fame di Gaza, sono tutti fattori che rendono questo processo di pace interna molto difficile. Ma avverrà presto e allora al primo segnale di ritorno alla calma, le "Piogge d’Estate" israeliane cadranno di nuovo sulla gente di Gaza, causando caos e morte.

E non ci si dovrebbe mai stancare di trarre le inevitabili conclusioni politiche dalla triste realtà dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle e a fronte di un altro che ci attende. Non c’è alcun’altra strada per fermare Israele a parte il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni.
Dobbiamo sostenerlo tutti in maniera chiara, aperta, incondizionata, senza preoccuparci di quello che i guru del nostro mondo ci dicono circa i risultati o la raison d’etre di tali atti. Le Nazioni Unite non interverranno a Gaza come hanno fatto in Africa; i laureati al Nobel per la Pace non si metteranno in lista in sua difesa come hanno fatto per la causa del Sudest Asiatico. Il numero di persone uccise non sbalordiscono come quelle causate da altre calamità e non è una cosa nuova – è pericolosamente vecchia e preoccupante. L’unico punto debole di questa macchina di morte è l’ossigeno che riceve dal trovarsi sulla stessa linea della civiltà "occidentale" e l’opinione pubblica. E’ ancora possibile aprire un varco e rendere alla fine molto più difficile per gli israeliani la messa in opera della loro futura strategia di eliminazione del popolo palestinese sia attraverso la pulizia etnica in Cisgiordania o col genocidio nella Striscia di Gaza.

Traduzione a cura di Patrizia Viglino, www.informationguerrilla.org 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.