Palestina, in classe sotto assedio.

Da www.ilmanifesto.it del 1° settembre

Riaprono le scuole, tra i problemi dell’occupazione israeliana e lo scontro Hamas-Fatah
Palestina, in classe sotto assedio
Studenti a Gaza senza libri di testo: Israele aveva bloccato anche l’accesso della carta nella striscia. «Non si tratta di aiuti umanitari». La situazione si è sbloccata solo l’altroieri, dopo le proteste dell’Onu
Michele Giorgio
Gerusalemme

Centinaia di migliaia di bambini e ragazzi palestinesi torneranno oggi a scuola consapevoli di dover superare, assieme ai loro insegnanti, non solo i gravi ostacoli posti dalle forze di occupazione israeliane, a cominciare dalla libertà di movimento, ma anche le conseguenze dello scontro tra il governo di Hamas che controlla Gaza e quello di Fatah al potere in Cisgiordania. Le due parti continuano, con le loro decisioni, ad approfondire la spaccatura tra palestinesi. Il primo ministro islamista, Ismail Haniyeh, ieri di fatto ha annunciato la creazione a Gaza di un sistema educativo in apparenza alternativo a quello del ministero dell’istruzione dell’Anp, promettendo che con l’amministrazione di Hamas tutte le scuole materne e una parte di quelle elementari saranno gratuite e che gli insegnanti avranno uno stipendio di 2000 shekel (circa 350 euro), più alto di quello che, mediamente, ricevono i loro colleghi in Cisgiordania.
Da parte sua il governo rivale di Salam Fayyad, nei giorni scorsi aveva disposto la fine della settimana corta nelle scuole e ordinato agli insegnanti di Gaza di rispettare solo le disposizioni ricevute dalla Cisgiordania. Il governo Fayyad, peraltro, non ha ancora deciso se approvare o meno i risultati degli esami di maturità tenuti a Gaza dopo la presa del potere da parte del movimento islamico, lasciando nell’angoscia migliaia di studenti e le loro famiglie.
I problemi sono enormi ma sulla scena è sempre l’occupazione israeliana a recitare il ruolo da protagonista. Oggi a Gaza metà dei 200mila scolari delle scuole elementari e media inferiori gestite dall’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, non avranno negli zaini i libri di testo. Israele infatti ha consentito appena due giorni fa a cinque autocarri carichi di carta di poter entrare nella Striscia di Gaza e solo dopo le proteste del direttore locale dell’Unrwa, John Ging.
Motivo del blocco? Secondo Israele la carta e, di conseguenza, libri e quaderni, non sarebbero «aiuti umanitari». «Per le Nazioni Unite l’istruzione e lo svolgimento regolare dell’anno scolastico, sono un bene primario. Secondo Tel Aviv invece sono aiuti essenziali solo cibo, medicine e carburante», ha detto al manifesto Jamal Hamad, un portavoce dell’Unrwa. «La carta è finalmente giunta a Gaza ma per stampare i libri ci vorranno tra i 30 e i 40 giorni e ciò significa che 100mila studenti per almeno un mese dovranno andare a scuola senza libri», ha aggiunto.
Non solo l’istruzione ma anche altri settori stanno affrontando difficoltà enormi. Da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza, Israele ha bloccato tutti i valichi, anche quelli commerciali, e permette l’ingresso nella Striscia solo ad un limitato flusso di prodotti di prima necessità. Sebastien Kuster, di «Care France», ha riferito che la sua organizzazione ha invano cercato di far entrare a Gaza i materiali da costruzione necessari per progetti di sanità pubblica. «L’igiene, la sanità, la salute, sono problemi importanti quando si parla di una popolazione (1,4 milioni) costretta a vivere in condizioni molto precarie, in poche centinaia di chilometri quadrati», si è lamentato Kuster. «Sanità pubblica – ha proseguito – vuole dire evitare infezioni e malattie, pertanto i nostri progetti dovrebbero essere automaticamente considerati di tipo umanitario e invece i materiali che stiamo aspettando rimangono bloccati». Problemi analoghi sta affrontando anche l’Unrwa. «Il cemento e tutto il resto ci servono per costruire scuole e ripararne altre, per dare un tetto a chi ha perduto la casa», ha detto John Ging. Un portavoce militare israeliano ha ribattuto che la priorità deve essere data a cibo e medicine.
Immensi inoltre sono i problemi alla popolazione che sta causando la chiusura, da oltre due mesi, del transito di frontiera di Rafah con l’Egitto, imposta da Israele con il tacito assenso del governo Fayyad che in questo modo crede di poter ottenere una rapida «resa» di Hamas. Tel Aviv ha consentito negli ultimi giorni a circa 300 palestinesi (in gran parte studenti universitari e malati gravi) di poter andare in Egitto, passando prima per Erez e poi per il valico di Al-Awja, ma almeno 4mila palestinesi con permessi di soggiorno di altri paesi rimangono bloccati a Gaza. Non solo, ma le procedure di uscita sono lunghissime. Ne sanno qualcosa i genitori del bimbo, nato con una malformazione cardiaca, morto qualche giorno fa al valico di Erez dopo tre ore di attesa nonostante avesse l’autorizzazione al ricovero in un ospedale israeliano. La sua morte, assieme all’uccisione di altri bambini palestinesi da parte dell’esercito, è stata condannata dal quotidiano Ha’aretz che ieri in un editoriale ha puntato l’indice contro l’indifferenza dell’opinione pubblica israeliana verso lo stillicidio quotidiano di vite palestinesi.
Eppure Hamas e Fatah continuano a darsi battaglia. Ieri, dopo le preghiere islamiche, la Forza esecutiva del movimento islamico ha usato il pugno di ferro per disperdere manifestazioni di migliaia di sostenitori di Fatah a Gaza city e a Rafah. Almeno venti persone sono rimaste ferite, tra cui lievemente due reporter francesi e due bambini colpiti da schegge di una bomba a mano artigianale lanciata da un militante di Fatah. La milizia di Hamas ha anche cercato d’impedire ai giornalisti presenti di filmare o fotografare.

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