Pchr: ‘Vite sotto occupazione e salute mentale’

Pchr: ‘Vite sotto occupazione e salute mentale’

Pchr. Tra le crisi umanitarie che la popolazione della Striscia di Gaza affronta, c’è n’è una meno nota e di cui meno si parla, ed è la salute mentale.

Il blocco di Gaza imposto da Israele nel 2006 e l’offensiva israeliana del 2008-2009, hanno prodotto, per 1,7milioni di civili, una realtà di isolamento e un contesto di violenza. Questa miscela ha alimentato tra i residenti di Gaza un senso di vulnerabilità, disperazione, prigionìa e perdita di controllo.

Come prevedibile, gli effetti sulla salute mentale sono peggiorati drammaticamente negli ultimi anni. Nel 2010, Médecins Sans Frontières (MsF) dichiarava che oltre la metà dei bambini sotto i 12 anni a Gaza necessitava di interventi per la salute mentale, e che un terzo di questi casi era grave.

Secondo Hussam an-Nunu, direttore delle relazioni pubbliche del programma per la salute mentale della comunità di Gaza (Gcmhp): “La causa principale del peggioramento della situazione mentale è legata alle circostanze politiche e umanitarie che la popolazione si trova ad affrontare: nello specifico, il blocco di Gaza e i continui attacchi israeliani”.

La chiusura illegale di Gaza, dapprima applicata nel 1991, e poi ampiamente inasprita nel 2006, ha comportato una rigida restrizione nel movimento di merci e di persone da e per la Striscia di Gaza. An-Nunu ritiene che ciò abbia portato a un diffuso senso di disperazione e prigionìa tra la
popolazione locale, privata della possibilità di svolgere una vita ordinaria, come fare visita ai familiari all’estero, o viaggiare per motivi di studio, lavorare o consultare un medico.
“L’effetto è sentito soprattutto da coloro che hanno una maggiore necessità di viaggiare, come gli studenti impegnati all’estero, i malati bisognosi di cure non disponibili a Gaza e le persone il cui lavoro richiede di viaggiare, o chi opera nell’import-export”, spiega il responsabile.

L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha dimostrato il legame tra la salute fisica e quella mentale.

“Il blocco – afferma Hussam – ha portato a una drammatica situazione di carenza di cibo, che a sua volta è causa di un apporto nutrizionale scarso e di una salute fisica cagionevole, che si ripercuotono sui problemi di salute mentale”. 

Ciò è ulteriormente aggravato da condizioni di scarsa igiene dovuti agli attacchi operati dalle forze d’occupazione israeliane sugli impianti igienico-sanitari, e dal rifiuto – attuato per mezzo del blocco – di consentire l’importazione dei materiali necessari per le riparazioni.

Hussam indica uno studio, realizzato dal Gcmhp dopo l’inasprimento del blocco del 2006, che evidenzia un aumento del 17,7% dei casi di depressione a partire proprio dai sei mesi successivi all’avvio dell’assedio. Nel sondaggio, il 95% degli interpellati aveva confidato di sentirsi “imprigionato”.

Anche l’offensiva israeliana del 2008-2009 e i quotidiani attacchi militari hanno avuto, e continuano ad avere, impatti significativi sulla salute mentale dei palestinesi di Gaza, soprattutto tra i bambini. Hussam sottolinea che in un rapporto del Gcmhp sulle “Conseguenze psicologiche della guerra israeliana su Gaza”, era risultato che l’82,1% dei bambini di Gaza si sono sentiti in pericolo nel corso dell’offensiva, il 67,6% temeva che potesse accadere di nuovo, e il 40,9% manifestava un desiderio di vendetta.
Gli stessi effetti sono emersi da altre ricerche; in uno studio sull’impatto dell’assalto, condotto per mezzo dell’osservazione dei disegni di bambini, il dottor Jamil Tahrawi, dell’Università Islamica di Gaza, ha osservato che l’82,3% dei disegni analizzati erano correlati all’offensiva. In uno studio delle Nazioni Unite sugli effetti dell’offensiva sulla società di Gaza, i due terzi degli intervistati aveva dichiarato di aver subito conseguenze in termini di salute: conseguenze prevalentemente correlate alla salute mentale.

Husam spiega che “la società di Gaza condivide molte delle tradizioni arabe che considerano i problemi mentali collegati agli effetti di spiriti maligni”.
Una tale prospettiva conduce a un crescente senso di colpevolizzazione tra le persone colpite, le quali tendono ad essere isolate, aggravando in tal modo la loro situazione. Dice Husam: “In special modo le donne tendono a tenere nascosti problemi mentali, poiché potrebbero pregiudicare le possibilità di matrimonio”.
Gli uomini dimostrano invece un’accentuata tendenza alla violenza e all’assunzione di rischio, le cui vittime dirette risultano essere spesso le donne o i bambini della cerchia familiare. Nel caso di bambini, un comportamento violento e un calo di attenzione nei risultati scolastici conducono a una diminuzione di opportunità di vita in età adulta, che alimentano a loro volta la sensazione di sentirsi in trappola.

Il programma per la salute mentale della comunità di Gaza, riconoscendo la mancanza di professionisti qualificati sul territorio – mancanza dovuta alle restrizioni sulle possibilità di viaggiare, studiare o di aggiornamento, di cui sopra – ha avviato un corso post laurea sulle modalità corrette di intervento in materia di salute mentale, destinato a professionisti e consulenti in ambito sanitario. Il corso prevede due anni di studio a tempo pieno, e pone particolare attenzione a una modalità di intervento attenta alla visione tradizionale prevalente tra la popolazione di Gaza.

Tuttavia, secondo Husam la situazione mentale a Gaza rimarrà critica finché non si attueranno dei miglioramenti nel campo dei Diritti Umani: il blocco israeliano su merci e persone dev’essere abolito, per ridurre il senso di intrappolamento e di disperazione.
Le restrizioni sul cibo, medicinali e materiale sanitario devono essere abolite, per consentire un miglioramento delle condizioni fisiche e, di conseguenza, di quelle mentali.
I regolari bombardamenti israeliani, che danno luogo a sentimenti di insicurezza e disperazione di massa, e all’esposizione alla violenza estrema, devono cessare.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice