Per sfuggire all’assedio. I pescatori di Gaza raggiungono le coste egiziane

pescherecciGaza-Quds Press. Insieme ai suoi sei figli, Jamal Basle percorre 40 chilometri al giorno a bordo della sua piccola imbarcazione, partendo dalla città palestinese di Rafah fino alla città egiziana di al-Arish, nel sud, per esercitare il suo mestiere, la pesca.

Il viaggio di questa famiglia inizia alle prime ore del tramonto e finisce la mattina seguente. Dall’inizio di marzo scorso, Basle, insieme a decine di altri palestinesi, è stato costretto a percorrere questa distanza, in seguito alla decisione israeliana di ridurre lo spazio a disposizione dei pescatori da sei a tre miglia nautiche.

Lo scorso autunno, nel mese di novembre, dopo un’offensiva aerea durata otto giorni, conclusasi con una  tregua siglata tra le fazioni palestinesi e Israele, con la mediazione dell’Egitto, le autorità di occupazione avevano esteso la zona di pesca.

Viaggio giornaliero. Ogni giorno, Jamal, i suoi figli e altri pescatori, salpano, a bordo di piccole imbarcazioni, e attraversano il confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, sotto agli occhi dell’occupazione israeliana, che a volte attacca i pescherecci.

Dall’inizio di aprile, circa 35 palestinesi si sono diretti nell’area di al-Muhsin, all’estremità della città di al-Arish, capitale del Sinai del Nord, per pescare liberamente, lontani dal fuoco della Marina israeliana.

Secondo quanto riferito dai pescatori, l’autorità marittima palestinese permette loro di entrare nelle acque egiziane, effettuando dei controlli sulle imbarcazione, al loro ritorno.

Alla luce delle frequenti aggressioni israeliane contro di loro, i pescatori di Gaza vivono ancora condizioni drammatiche, vedendosi vittime di attacchi, a volte mortali, compiuti dagli israeliani.

Dopo lo scoppio dell’Intifada di al-Aqsa, a settembre 2000, Israele decise di non rispettare più gli accordi di Oslo, imponendo ai palestinesi un limite di tre miglia nautiche (un miglio nautico= 1882 metri) invece delle venti, accordate ad Oslo.

Dallo scoppio dell’Intifada di Al-Aqsa, secondo quanto documentato dalle organizzazioni palestinesi per i diritti umani, decine di pescatori palestinesi sono rimasti uccisi o feriti, per mano della Marina israeliana, nel mare di Gaza, di conseguenza, i loro colleghi ancora in vita non osano superare il limite imposto dall’occupazione.

La stagione delle sardine. Con il viso segnato dall’evidente stanchezza, dopo due settimane di lavoro, ma allo stesso tempo, rallegrato per l’abbondanza del raccolto, Basle esclama: “Finalmente si torna a mangiare il pesce”, mentre chiede ai suoi figli di svuotare le reti al porto di Rafah.

Mentre i primi raggi di sole illuminano le sabbie del porto vecchio, il pescatore aggiunge: “Ho finito il mio turno con le sardine, abbiamo gettato le reti di notte, e siamo tornati qui, senza correre alcun rischio, per oggi”.

Secondo lo stesso pescatore, esiste un concreto rischio di essere fermati e detenuti da parte della Marina israeliana, durante l’attraversamento del confine marittimo tra Palestina e Egitto.

Questo periodo è quello di punta per i pescatori palestinesi, perché inizia la stagione delle sardine, che è una delle migliori durante l’anno.

Mentre si prepara a partire per un nuovo viaggio, con i suoi tre figli, il pescatore Mohamed al-Bardawil dichiara: “Tutti i pescatori aspettano la stagione sulle spine. Avremmo voluto pescare nel mare della Palestina, ma le pratiche dell’occupazione hanno fatto svanire i nostri sogni”.

E aggiunge con rabbia: “I pescatori pagano un prezzo doppio per esercitare il loro mestiere: siamo costretti a percorrere una lunga distanza, fino a raggiungere la costa egiziana, per poter lavorare al riparo dalle aggressioni israeliane”.

Durante la stagione delle sardine, al largo delle coste del Mediterraneo, i pescatori riescono a trovare altre varietà di pesce, che rappresentano una risorsa preziosa per al-Bardawil e i suoi colleghi.

Pesce importato. In ogni caso, i pescatori palestinesi (circa 3500 con 40 mila persone a carico) non sono in grado di coprire tutto il fabbisogno della Striscia di Gaza, con i suoi 1,7 milioni di abitanti.

I palestinesi importano container contenenti diversi tipi di pesce, provenienti dall’Egitto, attraverso i tunnel sotterranei, per compensare la penuria. La merce viene commercializzata nella piazza di al-Auda, al centro di Rafah.

Molte persone riferiscono che nella piazza, che non è adatta alla vendita del pesce, si sentono degli sgradevoli odori nelle prime ore del mattino.

Oltre ad aumentare la sofferenza dei pescatori in modo diretto, le restrizioni israeliane acuiscono, indirettamente, quella della popolazione, costretta ad acquistare il pesce pagando prezzi più alti e, a volte, senza conoscere nemmeno l’origine della merce.

Secondo le stime della Commissione per le risorse ittiche del ministero dell’Agricoltura palestinese, nella Striscia di Gaza, prima dello scoppio dell’Intifada di al-Aqsa, circa 2500 tonnellate di sardine venivano pescate in una sola stagione, mentre quest’anno, riferisce Adel Atallah, direttore della Commissione di risorse ittiche, la produzione non supererà le mille tonnellate, visto l’assedio e le restrizioni israeliane.

Atallah ha spiegato che ciò avrà delle ripercussioni negative sul consumo di pesce tra i cittadini della Striscia di Gaza, uno dei territori con minor consumo pro capite nel mondo, con i suoi 3-4 chili all’anno, di fronte ai 13 raccomandati dalla FAO (Organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura).

Miglioramento solo se cambiano le condizioni. Atallah ha sottolineato che nel 1994, la produzione ittica di Gaza si assestò a 1500 tonnellate, tra il 1995 e il 2000, ha raggiunto quattro mila tonnellate, mentre durante l’intifada e fino al 2007, essa ha subito una flessione, raggiungendo le due mila tonnellate nel 2008, calando di nuovo fino 1.600 nel 2010.

Egli ha spiegato che l’assedio imposto sulla Striscia e l’imposizione di un’area di pesca di sole tre miglia nautiche, hanno portato alla completa disfatta del settore ittico, in quanto pescare a meno di otto miglia dal largo della costa è inutile, a causa della scarsità di pesce.

Atallah ha dichiarato che il blocco israeliano e l’incapacità soddisfare le esigenze della popolazione hanno spinto il suo ministero ad importare circa 10 mila tonnellate di pesce. Ha anche osservato che quello della pesca è tra i settori che necessitano più finanziamenti consistenti, per coprire gli alti costi dovuti alla sistematica distruzione da parte israeliana.

Il funzionario palestinese ha ribadito che se le condizioni politiche dovessero migliorare durante l’anno in corso, la situazione del settore migliorerà, diversamente, esso tornerà ai livelli di sei anni fa.