‘Perché il paragone sionismo-nazismo è legittimo’.

Perché il paragone sionismo-nazismo è legittimo

 

Da Palestine.info.co.uk 

 

di Khalid Amayreh

 

Sono fermamente convinto che si deve ricordare costantemente agli ebrei nel mondo, compresi quelli d’Israele, i terribili crimini commessi in Palestina in nome dell’ebraismo quale collettività, e far comprendere a loro la forte somiglianza ideologica tra nazismo e sionismo.

Credo che questa via rappresenta un modo legittimo di convincere gli ebrei, soprattutto quelli che ancora danno valore alla giustizia e all’onestà, di ripensare la loro identificazione ed infatuazione con questa entità malefica, con la sua iniqua ideologia, con le sue azioni.

Semplicemente, mentre sostengono i perversi atti criminali compiuti da Israele contro il popolo palestinese, non è possibile che gli ebrei filoisraeliani si approprino il ruolo di grandi divulgatori, a livello mondiale, di notizie sulle nefandezze del nazismo. Deve prevalere sopra ogni altra considerazione quella della coerenza morale.

Sostenere l’oppressione ed il razzismo è, in molti casi, altrettanto nefasto quanto il metterli in pratica. Infatti, non può durare a lungo l’oppressione e l’occupazione se non c’è quel sostegno materiale e morale che proviene da altri, i quali possono sembrare davvero miti e ragionevoli nei comportamenti e nelle maniere. Molti dei sostenitori dell’apartheid e del nazismo si presentavano così: persone decisamente miti e ragionevoli. E tra loro c’era chi (non tutti) non si rendeva conto di dare man forte ai criminali e ai razzisti che compivano di crimini tremendi contro l’umanità.

Il sionismo (la cui incarnazione centrale è rappresentata dallo Stato israeliano, che si regge sull’apartheid) è nefasto; altrettanto nefasti sono il suo comportamento, le sue azioni, la sua ideologia razzistica, così come si manifestano in Palestina.

Il sionismo dichiara che gli ebrei, senza eccezione, appartengono ad una specifica etnia; altrettanto fecero i nazisti quando rivendicavano la specifica identità etnica di ogni tedesco.

Come fecero i nazisti, i sionisti hanno cercato di creare uno ‘stato’ la cui ‘salvezza’ è garantita dalla purificazione: ottenuta con la violenza diretta, nel caso della Germania nazista, e, nel caso del sionismo israeliano, con la costruzione di un ‘Muro di Ferro’.

In entrambi casi, che si abbia a che fare con ‘inferiori’ o con i ‘portatori di acqua e tagliatori di legna’, lo strumento principale è stato quello della pulizia etnica, europea con le colonie esclusivamente tedesche, in Palestina con le colonie esclusivamente ebraiche.

Francamente, bisogna riconoscere che non c’è alcuna distinzione fondamentale tra il socialismo nazionale ebraico (il sionismo) ed il socialismo nazionale tedesco (il nazismo). Per giustificarsi, i nazisti predicavano il dogma della ‘razza padrona’ mentre gli ebrei, per giustificare il sionismo, hanno adottato l’antico mito del ‘popolo eletto’.

Non possiamo nemmeno ignorare i forti parallelismi tra, da una parte, la conquista etnica della Palestina, compiuta dai sionisti con l’insediamento di ‘coloni ebrei’ in questo territorio, a scapito degli indigeni palestinesi musulmani e cristiani, e, dall’altra, la campagna del ‘Lebensraum’ in Polonia, l’importazione di ‘ariani’, sempre ai danni della popolazione indigena.

In Europa, i nazisti cercavano di appropriarsi della Sudetenland e qui, appunto, in Palestina i sionisti si appropriano della Cisgiordania. Gli argomenti usati sono gli stessi, le falsità anche, e i mezzi adottati si presentano quasi identici.

Dobbiamo porre l’accento su queste assomiglianze, questo ‘terreno comune’, tra il nazismo ed il sionismo. Molte persone potrebbero offendersi, ma ciò è ininfluente. La verità permane come valore irrinunciabile in sé.

Gli orrendi crimini del Terzo Reich che hanno subìto gli ebrei indifesi erano stati compiuti indubbiamente su scala ben maggiore rispetto a quelli compiuti da Israele a danno dei palestinesi, altrettanto indifesi.  Sappiamo tutti di ciò che accadeva ad Auschwitz-Birkenau, a Bergen Belsen, a Treblinka e negli altri campi di sterminio dove i boia nazisti assassinarono molti ebrei, per la maggior parte non-sionisti e antisionisti.

Ma dobbiamo porci la seguente domanda: i nazisti erano ‘nazisti’ solamente perché avevano costruito e utilizzato le camere gas per ridurre in ceneri le loro vittime, ebraiche e non?  Il male rappresentato dal nazismo sarebbe minore, il loro essere ‘nazisti’ in qualche modo sarebbe attenuato, se, invece di forni, avessero adoperato le pallottole o la fame come strumenti della morte, così come fa ora Israele nei confronti dei palestinesi?  D’altronde, se gli ebrei avevano il diritto di chiamare la nave Exodus un’Auschwitz galleggiante, perché i palestinesi non possono descrivere come ‘nazista’ l’estirpazione, il loro allontanamento dalle proprie terre ancestrali? Gli ebrei hanno forse l’esclusiva sull’uso del termine? Si applica esclusivamente ai loro nemici e a chi li critica? Gli altri, gli stessi palestinesi non hanno il diritto di usare questo termine, ‘nazista’, con riferimento ai crimini israeliani e a chi li compie?

Dobbiamo rinunciare a questo paragone di fronte ai criminali razzisti dei nostri tempi, ovunque si trovano nel mondo e quale che sia la loro religione, semplicemente perché non adottano le camere a gas per sterminare le loro vittime?

E ancora, quale ragionamento può giustificare il modo in cui Israele ed i suoi sostenitori usano il ricordo della Seconda Guerra Mondiale (una guerra crudele che ha causato la morte di diversi milioni di ebrei e quasi 50 milioni di non-ebrei) come paraventi e giustificazione delle loro azioni di esproprio, di disumanizzazione, di pulizia etnica contro il popolo indigeno palestinese?

In teoria, gli israeliani potrebbero eliminare la maggior parte dei palestinesi con armi nucleari, chimiche o biologiche, o, in alternativa, con l’uso massiccio dell’artiglieria o dei bombardieri.  E, se lo facessero, sarebbe meno ‘nazista’ un comportamento del genere?

Voglio chiedere a coloro che, di fronte a quanto affermo, vorrebbero gridare allo scandalo:  qual è il punto limite, superato il quale, diventa leggittimo definire Israele uno stato ‘nazista’? Dobbiamo attendere il momento in cui la cifra delle vittime raggiunge il milione? Due milioni? O forse sei?  O il momento in cui i sionisti adottano lo Zyklon B? O in cui i palestinesi si trovano per il 90% radunati in campi di detenzione circondati a muri di cemento alti otto metri sovrastati da torri di guardia occupate dal Gestapo sionista, agenti dal grilletto facile?

So bene che ci sarà qualche difensore del sionismo che vorrà replicare, quasi d’istinto, con l’affermazione che, a differenza di Israele, il Terzo Reich aveva formulato un piano, una soluzione finale, la cui mèta prefissata era quella dello sterminio di tutti gli ebrei europei e nel mondo.

Al di là della questione della veridicità storica di questa affermazione, tuttavia sfiderei i sionisti, i loro sostenitori, gli apologeti del sionismo, a dimostrare che gli israeliani non hanno una soluzione finale per la questione palestinese.

La brutale e quasi completa estirpazione di un popolo dalla loro patria storica non costituisce una sorta di soluzione finale? La pulizia etnica non costituisce una forma di soluzione finale? E come dobbiamo considerare l’imposizione di condizioni di carestia alimentare, l’accerchiamento, la vessazione ininterrotta dei palestinesi? Esiste una differenza fondamentale tra il tentativo di distruggere un popolo intero in base ad un piano e il tentativo di fare invece la stessa cosa senza alcun piano? L’esito finale non sarà forse uguale?

Non parlare di terrorismo. È una calunnia. Voi sapete, come lo sa il mondo intero, che il ‘terrore’, i ‘terroristi’, ‘l’asse del male’, i ‘nemici della libertà’ non sono altro che termini ideologici, che l’uso che ne fanno i potenti, i prepotenti, come Israele e gli Stati Uniti, è tendenzioso, che se lo dicono è per giustificare il loro terrorismo nei confronti dei deboli e degli oppressi. Anche lo stesso Satana definirebbe i suoi nemici terroristi.

In ultima analisi, la guerra dei poveri contro i potenti e i prepotenti diventa ‘terrore’; e il terrore esercitato dai più forti contro i deboli diventa ‘guerra’.

Sì, confrontato all’occupazione criminale della Palestina da parte dei sionisti, l’intento dell’Olocausto del nazismo era più ampio. Ma, per entrambi, la mentalità, la psicologia, la meschinità, l’obbrobrio e, soprattutto, la volontà semplicemente di fare del male avvicina certamente queste due realtà.

Personalmente, non ho alcun dubbio che, in presenza delle ‘circostanze oggettive’, Israele avrebbe sterminato il popolo palestinese molto tempo fa, o almeno avrebbe tentato di farlo. Non occorre sottolineare che si tratterebbe di un avvenimento mondiale di proporzioni gigantesche (come, ad esempio, una guerra nucleare, un disastro nazionale con effetti globali, un avvenimento di enorme portata) in grado di sviare l’attenzione mondiale e di far passare in secondo piano un atto di genocidio del genere.

A dire il vero, Israele preferirebbe ‘risolvere il problema’ senza campagne di assassinio e di terrore di massa; preferirebbe usare le armi della vessazione, del terrore, affinché i palestinesi, o la stragrande maggioranza di loro, si convincessero che fosse arrivato il momento di abbandonare la propria patria ancestrale.

Tuttavia, se i palestinesi rimangono attaccati alla propria patria, se difendono con determinazione le loro case, le loro città, i loro villaggi, Israele indubbiamente ricorrerà all’opzione del ‘worst scenario’ [l’opzione di riserva di fronte alle condizioni ipotizzabili che, per loro, risulterebbero le peggiori].

A pochi giorni dagli avvenimenti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, l’allora Ministro per la difesa israeliano, Benjamin Ben Eliezer, dichiarò con soddisfazione che l’attenzione mediatica rivolta a quanto era accaduto negli Stati Uniti sgomberava il campo per Israele, che ora poteva uccidere un numero maggiore di palestinesi nella Cisgiordania senza dover subire le condanne e critiche della comunità internazionale.

Ragionamenti analoghi sono attribuibili all’ex Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale, nel 1989, ha dichiarato agli studenti dell’università di Bar Ilan che «Israele avrebbe dovuto sfruttare la repressione della manifestazione in Cina (Piazza Tiananmen) per compiere espulsioni di massa di arabi dai territori mentre l’attenzione del mondo era focalizzata su quel paese».

Ancora oggi, ci sono dei leader israeliani che affermano spudoratamente che vorrebbero svegliarsi una mattina per trovarci tutti morti.

Infatti, la méta finale del sionismo è la morte della Palestina quale entità nazionale. Ecco perché, in verità, il sionismo non riconosce la nostra esistenza come popolo; e quando, piegato dalle pressioni esercitate dalla situazione reale, ci riconosce, ribadisce con insistenza che la Palestina è la Giordania e che la capitale di Palestina non è Gerusalemme ma Amman.

Non c’è alcun dubbio che gli omicidi, il terrore, le umiliazioni, i comportamenti selvaggi dei soldati dal grilletto facile che controllano i posti di blocco, trattamenti che i palestinesi devono subire quotidianamente ovunque si trovino nei territori occupati, sono paragonabili per molti versi a quegli atti di terrore e di umiliazione che subivano gli ebrei e i non-ebrei nelle zone occupate dai nazisti in Europa.

I nazisti stampavano numeri sull’avambraccio degli internati ebraici; gli israeliani hanno fatto la stessa cosa ai palestinesi.

Per i nazisti, gli ebrei diventavano numeri, non erano più esseri umani; gli israeliani hanno fatto la stessa cosa con i palestinesi.

Per spezzare la volontà collettiva degli ebrei, il Gestapo si scatenava con violenza contro gli affamati del ghetto di Varsavia; gli israeliani fanno la stessa cosa con i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania.

I nazisti si dimostravano sadici; il loro sadismo assumeva varie forme: costringevano i musicisti ebraici a suonare per le forze del Gestapo e del Wehrmacht; ai posti di blocco della Cisgiordania, gli israeliani hanno fatto la stessa cosa con i palestinesi.

Io non so se gli ebrei sono mai stati costretti a bere l’urina dei soldati tedeschi, ma in molte occasioni i palestinesi hanno dovuto bere l’urina degli agenti israeliani alle postazioni di frontiera.

Durante gli anni dei due Intifada (insurrezioni), ho viaggiato ovunque nella Cisgiordania; ho attraversato i checkpoint e i blocchi stradali, e ho visto come i soldati israeliani, molti dei quali i nipoti dei sopravvissuti dell’Olocausto, si sono resi responsabili di atti bestiali nei confronti dei palestinesi indifesi.

Ho visto i soldati mentre assassinavano, là dove si trovavano, senza alcuna motivazione reale, persone innocenti. Ho visto i soldati costringere dei giovani palestinesi a spogliarsi e a restare in piedi per ore sotto la pioggia torrenziale. Ho visto soldati che si godevano lo spettacolo del dolore e della sofferenza che infliggevano a migliaia di palestinesi, passeggeri, autisti, la cui unica ‘colpa’ è quella di essere palestinesi, inermi.

Sono stato testimone dei comportamenti osceni, sadici, degli ebrei, a danno delle loro vittime indifese. Non parlo di casi isolati. Questo comportamento è la norma; non è l’eccezione.

L’occupazione nazistoide della Palestina non è attribuibile ad un piccolo gruppo di ebrei israeliani. Non si può nemmeno attribuirla alle istituzioni militari. È un atto collettivo, di cui si è resa responsabile una società che ha quasi del tutto perso la propria sensibilità morale, la propria umanità, atterrata da uno stato di psicosi collettiva non dissimile da quella che colpì il popolo tedesco più di sessant’anni fa.

Oggigiorno, la maggior parte degli ebrei, chi con più entusiasmo, chi con meno, incoraggia chi compie, a nome loro, atrocità in Gaza, nella Cisgiordania, nel Libano, mentre altri ebrei tacciono o si rifugiano nell’apatia.

Non credo che sia in verità eccessivo affermare che molti ebrei israeliani, con ogni probabilità la maggioranza, si compiaciono dell’occupazione e ne traggono benefici.

Per certi versi, i palestinesi hanno sofferto di più, molto di più, delle vittime di Hitler, perché la tragedia palestinese non si ferma, e, a differenza degli ebrei, i palestinesi non ricevono compensazioni per la proprietà personale perduta sessant’anni fa; i loro nemici non gliela riconoscono, come non riconoscono le proprie responsabilità al riguardo.

Sessant’anni fa, gli israeliani demolirono 438 villaggi palestinesi. Avvelenarono i pozzi d’acqua, o li distrussero, per impedire il ritorno dei proprietari legali di quelle fonti d’acqua. I sionisti di oggi si comportano grossomodo nella stessa maniera: demoliscono le case, distruggono le fattorie, impongono una vita priva di orizzonti, di prospettive. E lo fanno perché vogliono che si emigri.

Oggigiorno, gli studenti di tutte le scuole medie negli Stati Uniti leggono Anne Frank; nei licei è d’obbligo la lettura di ‘La notte’ di Elie Wiesel. Wiesel rivendica apertamente la pronta adesione ai crimini israeliani; confessa che non troverebbe in sé la forza di criticare Israele.

Le vittime della prima Kristallnacht ricevono il sostegno morale e la compassione del mondo intero, e nello stesso tempo hanno demonizzato un popolo intero la cui Kristallnacht rimane una notte interminabile.

Ma, a differenza dei socialisti nazionali tedeschi, i socialisti nazionali ebraici falsificano la storia e la realtà per giustificare i loro crimini contro l’umanità. La narrativa dell’Olocausto è stata elevata al rango di una religione; essa permette al Yad Vashem, il museo dell’Olocausto a Gerusalemme l’invocazione del mantra «Mai più», ma il museo si trova sulle terre sequestrate del villaggio arabo di Ein Karem, sovrasta le tombe rimaste senza insegne dei palestinesi trucidati dai terroristi giudeonazisti a Deir Yassin.

È triste, veramente triste, vedere come gli ebrei di oggi si dimostrano, per la maggior parte, pienamente consapevoli della situazione in cui si trovano: la stessa goduta in anni passati dai loro oppressori.

Durante gli anni che portarono alla nascita d’Israele, per la precisione nell’anno che l’ha preceduto, Harry Truman scrisse le seguenti parole in una lettera indirizzata ad Eleanor Roosevelt. La lettera era del 23 agosto 1947 e si riferiva, pare, ad un’altra atrocità ebraica in Palestina:

«Temo moltissimo che gli ebrei siano come sono tutte le vittime. Quando si trovano nella posizione del vincitore diventano altrettanto intolleranti e crudeli quanto coloro che li opprimevano quando furono loro a trovarsi nella posizione subalterna. Ciò mi dispiace moltissimo perché ho sempre voluto stare dalla loro parte.»

Oggi, alla luce dei comportamenti nazistoidi degli israeliani in Palestina, è difficile ricordare con indifferenza queste profetiche parole di Truman. Infatti, è un obbligo morale di primissima importanza opporci al sionismo con la stessa forza e determinazione che il mondo ha saputo dimostrare di fronte al nazismo.

Per ignoranza, per lealtà tribale, o per entrambi le cose, alcuni ebrei affermano con insistenza che l’opposizione al sionismo equivale all’antisemitismo. Se l’oppressione ed il razzismo sono comportamenti coerenti con l’essere ebrei, allora, in un certo senso, il mondo  non può sottrarsi all’obbligo di opporsi all’ebraismo. Anzi, se l’antisionismo equivale all’antisemitismo, come ha argomento con molta eloquenza Michael Neumann, professore di filosofia della Trent University di Ontario, Canada, lo stesso antisemitismo diventa per ogni persona coscienziosa un obbligo morale.

«Oggi, quando la pace è a portata di mano per gli israeliani, questi iniziano un’ulteriore stagione di espropriazione. Si agisce deliberatamente e con lentezza, con il risultato di rendere invivibile la Palestina; invivibile per i palestinesi e vivibile per gli ebrei. E lo scopo in questo caso non è quello di assicurarsi la sicurezza, come i propagandisti e gli affabulatori hasbara israeliani vogliono farci credere [il termine hasbara è usato in Israele per descrivere gli sforzi delle autorità per spiegare la propria posizione n.d.t.]. Mirano in verità allo spegnimento di un popolo: quello palestinese.

«E la dimestichezza  d’Israele con i modi delle pubbliche relazioni gli permette di eliminare i palestinesi con livelli di violenza americani, non hitleriani. Si tratta di un genocidio più gentile, più mite (che procede a piccoli passi) che si fa accompagnare dall’immagine del perpetratore in veste di vittima e della vittima in veste di terrorista.

«È palese il modo in cui Israele costruisce uno stato razziale e non religioso. Come i miei genitori, io sono da sempre ateo. Per le mie caratteristiche biologiche, ereditate alla nascità, io ho il diritto alla cittadinanza israeliana; pur essendo forse tra i più fervidi cultori del giudaismo, voi non avete questo diritto. Non per voi i palestinesi vengono stretti nella morsa ed assassinati. Muoiono per me. Saranno trasferiti con la forza in Giordania; moriranno a causa di una guerra civile. E dunque, sparare contro i civili palestinesi non è come sparare contro i civili vietnamiti e ceceni. Le perdite palestinesi non costituiscono il ‘danno collaterale’ di una guerra condotta contro forze bene armate dei comunisti o dei separatisti. Se cadono sotto le pallottole è perché Israele crede che, per dare la possibilità alle persone che hanno un nonno o una nonna ebraica di costruire una dimora sulle macerie delle case di palestinesi, i palestinesi devono sparire o, in alternativa, trovare la morte. Qui non si tratta di errori, con lo spargimento di sangue che ciò comporta; si tratta del male: di malvagità compiute con superficialità, con imperizia, quasi che non fossero altro che fatti casuali, ma facenti parte, invece, di una strategia meditata ed adottata dallo stato per promuovere un unico intento: la costruzione di un nazionalismo etnico sempre più delittuoso. Relativamente parlando, è basso il totale dei cadaveri che questo stato ha al suo attivo, ma le sue armi sono in grado di uccidere forse 25 milioni di persone in poche ore».

Francamente, non credo che i sionisti abbiano i requisiti morali per dare al mondo lezioni nemmeno sui mali del nazismo; non lo dico semplicemente per via dei crimini nazistoidi compiuti a danno del popolo palestinese e di altri popoli del Medio Oriente. Le mie ragioni vanno ben oltre.

Il sionismo ha collaborato anche attivamente con il nazismo. Non lo fece necessariamente per salvare vite ebraiche, come vorrebbero farci credere i falsari più impegnati. Lo fece, invece, per promuovere i fini del sionismo e per realizzare lo stato sionistico. Per realizzare il suo intento malvagio, ha tacitamente permesso l’eliminazione di massa di centinaia di migliaia di ebrei che potevano essere salvati e trasferiti in altre parti del mondo, e soprattutto nell’America del Nord.

Nel 1949, il servizio d’intelligence israeliano ha arruolato Walter Rauff, un ufficiale delle SS che si ritiene fosse il responsabile della soppressione di almeno 100.000 persone. Rauff era ricercato dagli Alleati come criminale di guerra. Invece di consegnarlo alla giustizia, Israele l’ha pagato per i suoi servigi e l’ha aiutato a fuggire nell’America del Sud. Rauff, che aveva elaborato un piano per la distruzione degli ebrei della Palestina, non era assolutamente l’unico criminale nazista che ha trovato in Israele un datore di lavoro.

Non si può certamente incolpare ogni ebreo nel mondo per i crimini compiuti da Israele. Tuttavia, se gli ebrei vogliono che ci sia un qualche cambiamento, devono alzare la voce contro gli atti criminali ed il razzismo d’Israele.

http://www.fisicamente.net/index-375.htm

"Che cos’è l’antisemitismo?"
Un articolo interessante e divertente di Michael Neumann, professore di filosofia alla Trent University, Ontario, Canada, uscito per la prima volta su Counterpunch il 4 giugno 2002.

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