Perché Israele demolisce: Khan Al-Ahmar come rappresentazione di un genocidio più vasto

Ramzy Baroud. Palestine Chronicle. Da Zeitun.info. Come avvoltoi, i soldati israeliani sono calati su Khan Al-Ahmar il 14 settembre, ricreando una scena sinistra con la quale gli abitanti di questo piccolo villaggio palestinese, situato a est di Gerusalemme, sono fin troppo familiari.

La posizione strategica di Khan Al-Ahmar fa sì che la storia che sta alle spalle dell’imminente demolizione israeliana del pacifico villaggio sia unica fra le distruzioni di case e vite palestinesi in tutta Gaza assediata e nella Cisgiordania occupata.

Nel corso degli anni, Khan Al-Ahmar, una volta parte di un vasto e continuo paesaggio palestinese, è risultato sempre più isolato. Decenni di colonizzazione israeliana di Gerusalemme Est e della Cisgiordania hanno lasciato Khan Al-Ahmar intrappolato tra massicci progetti coloniali israeliani in grande espansione: tra gli altri Ma’ale Adumim e Kfar Adumin.

Lo sfortunato villaggio, l’adiacente scuola e i suoi 173 residenti sono l’ultimo ostacolo al progetto ‘E1 Zone’, un piano israeliano che mira a collegare le colonie ebraiche illegali della Gerusalemme Est occupata con Gerusalemme Ovest, tagliando così del tutto fuori Gerusalemme Est dalle adiacenti aree palestinesi in Cisgiordania.

Come il villaggio di Al-Araqib nel Neqab (Negev), demolito da Israele e ricostruito 133 volte dai suoi residenti, gli abitanti di Khan Al-Ahmar stanno affrontando soldati armati e bulldozer militari a petto nudo e con tutta la solidarietà locale e internazionale che possono ottenere.

Tuttavia, nonostante le circostanze particolari e il contesto storico unico di Khan Al-Ahmar, la storia di questo villaggio non è che un capitolo nella lunga narrativa di una tragedia che si è protratta nel corso di settanta anni.

Sarebbe un errore parlare della distruzione di Khan Al-Ahmar o di qualsiasi altro villaggio palestinese al di fuori del più ampio contesto di demolizione che è al cuore della particolare specie di colonialismo di insediamento israeliano.

È vero che altre potenze coloniali usarono la distruzione di case e proprietà e l’esilio di intere comunità come tattica per soggiogare le popolazioni ribelli. Il governo del mandato britannico in Palestina usò la demolizione delle case come tattica di “deterrenza” contro i palestinesi che osarono ribellarsi all’ingiustizia durante gli anni ’20, ’30 e ’40, fino a quando Israele lo rimpiazzò nel 1948.

La strategia israeliana è ben più complicata di una semplice “deterrenza”. Ormai è inciso nella psiche israeliana che la Palestina debba essere distrutta perché Israele possa esistere. Pertanto, Israele sta conducendo una campagna apparentemente infinita per cancellare tutto ciò che c’è di palestinese perché, dal punto di vista israeliano, rappresenta una minaccia esistenziale.

Questo è l’esatto motivo per cui Israele vede la naturale crescita demografica palestinese come una “minaccia esistenziale” per l’ “identità ebraica” di Israele.

La cosa può essere giustificata solo da un grado irrazionale di odio e paura accumulatisi attraverso le generazioni, al punto da rappresentare ora una psicosi collettiva degli israeliani che i palestinesi continuano a pagare a caro prezzo.

La ricorrente distruzione di Gaza è sintomatica di questa psicosi israeliana.

Israele è un “paese che quando spari ai suoi cittadini, risponde con ferocia – e questa è una buona cosa”, è stata la spiegazione ufficiale offerta da Tzipi Livni, il ministro degli Esteri israeliano nel gennaio 2009, per giustificare la guerra del suo paese alla Striscia di Gaza già bloccata. La strategia “feroce” di Israele ha portato alla distruzione di 22.000 case, scuole e altre strutture durante una delle più letali guerre di Israele nella Striscia.

Alcuni anni dopo, nell’estate del 2014, Israele è diventato di nuovo “feroce”, portando a distruzioni e perdita di vite umane ancora maggiori.

La massiccia demolizione israeliana di case palestinesi a Gaza e in ogni altro luogo è iniziata decenni prima di Hamas. Non ha nulla a che fare con i metodi di resistenza che i palestinesi usano nella loro lotta contro Israele. La demolizione israeliana della Palestina, che si tratti di strutture fisiche reali o dell’idea, della storia, della narrativa e persino dei nomi delle strade, è una decisione in tutto e per tutto profondamente israeliana.

Una rapida analisi degli eventi storici dimostra che Israele ha demolito case e comunità palestinesi in diversi contesti politici e storici, in cui la “sicurezza” di Israele non era affatto in gioco.

Circa 600 città, villaggi e luoghi palestinesi sono stati distrutti tra il 1947 e il 1948 e circa 800.000 palestinesi sono stati esiliati per far spazio alla creazione di Israele.

Secondo il Land Research Centre (LRC), Israele aveva già distrutto 5.000 case palestinesi a Gerusalemme quando occupò la città nel 1967, portando all’esilio permanente circa 70.000 persone. Insieme al fatto che quasi 200.000 gerosolimitani furono cacciati durante la Nakba, la Catastrofe del 1948, e alla lenta e continua pulizia etnica, la Città Santa è stata costantemente distrutta fin dalla fondazione di Israele.

In effetti, tra il 2000 e il 2017 oltre 1.700 case palestinesi sono state demolite, spostando circa 10.000 persone. Questa non è una politica di “deterrenza” ma di cancellazione – lo sradicamento della stessa cultura palestinese.

Gaza e Gerusalemme non sono nemmeno esempi unici. Secondo il rapporto dello scorso dicembre del comitato israeliano contro le demolizioni di case (ICAHD), dal 1967 “sono state demolite circa 50.000 case e strutture palestinesi, espellendo centinaia di migliaia di palestinesi e incidendo sui mezzi di sostentamento di migliaia di altri”.

Mettendo insieme la distruzione dei villaggi palestinesi con la creazione di Israele e la demolizione di case palestinesi all’interno dello stesso Israele, l’ICAHD computa il numero totale di case distrutte dal 1948 a oltre 100.000.

Di fatto, come riconosce il gruppo stesso, questa stima è piuttosto prudente. Certo che lo è! Solo a Gaza e negli ultimi dieci anni, in cui abbiamo assistito a tre importanti guerre israeliane, sarebbero state distrutte circa 50.000 case e strutture.

Quindi, perché Israele distrugge implacabilmente, impunemente e senza rimorsi?

Per la stessa ragione per cui ha approvato delle leggi per cambiare i nomi storici delle strade dall’arabo all’ebraico. Per lo stesso motivo, ha recentemente approvato la legge razziale dello stato nazione, glorificando tutto ciò che è ebraico e ignorando e declassando completamente l’esistenza degli indigeni palestinesi, la loro lingua e la loro cultura – che risalgono a millenni.

Israele demolisce, distrugge e riduce in polvere perché, nella mentalità razzista dei governanti israeliani, non ci può essere spazio tra il Mare e il Fiume se non per gli ebrei; i palestinesi – oppressi, colonizzati e disumanizzati – non fanno minimamente parte dei calcoli spietati di Israele.

Non è solo questione di Khan Al-Ahmar. Si tratta della stessa sopravvivenza del popolo palestinese, minacciato da uno stato razzista che è stato autorizzato a “essere feroce” per 70 anni, senza controllo e senza ripercussioni.

– Ramzy Baroud è giornalista, autore e editore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story (Pluto Press, Londra). Baroud ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è studioso non residente presso il Centro Orfalea per gli Studi Globali e Internazionali, Università della California a Santa Barbara. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net.

Traduzione per Zeitun.info di Luciana Galliano.