Il nuovo piano di “pace” di Netanyahu viene direttamente dall’apartheid del Sudafrica

E.I. Di Ali Abunimah. Benjamin Netanyahu propone che i cittadini palestinesi di Israele vengano privati della loro cittadinanza secondo un accordo di pace che li inserirebbe in una futura entità palestinese.

Di recente il primo ministro di Israele ha riferito ai funzionari americani, secondo un’inchiesta riportata su Haaretz, che “le comunità arabo-israeliane potrebbero spostarsi sotto il controllo palestinese” come parte di un accordo sullo status definitivo.

“In cambio – ha scritto il quotidiano di Tel Aviv – Israele annetterebbe alcuni insediamenti in Cisgiordania”.

Comunemente chiamato trasferimento, questa proposta equivale a una pulizia etnica. Non è una nuova idea, ma l’annuncio di Netanyahu rappresenta un ulteriore passo nell’adozione ufficiale da parte del governo di Israele di politiche un tempo considerate tabù persino da molti israeliani.

L’area che Netanyahu ha in mente – almeno all’inizio – è Wadi Ara, una regione a nord, inclusa la citta principale di Umm al-Fahm.

Circa 1,5 milioni di palestinesi hanno la cittadinanza israeliana. Sono i sopravvissuti e i loro discendenti della Nakba, la pulizia etnica da parte dei sionisti della stragrande maggioranza della popolazione palestinese da quello che divenne Israele prima e dopo l’indipendenza del 1948.

L’idea che questo sarebbe stato uno “scambio” è chiaramente assurdo dal momento che niente di ciò che Netanyahu ha proposto di scambiare è israeliano per cominciare: i colonizzatori della Cisgiordania vivono su una terra rubata dai palestinesi in piena violazione del diritto internazionale.

Nel frattempo, i diritti dei cittadini palestinesi di Israele – che con una mossa del genere sarebbero stati privati del diritto di decidere il proprio destino sulla terra che è loro per nascita – non sono un regalo di Israele, che è stato istituito con la forza e la conquista nel paese a loro spese.

I cosiddetti scambi di popolazione hanno una brutta storia: erano praticati prima dell’era moderna, quando era ammesso che i governanti trattassero le persone come proprietà.

La Dichiarazione universale dei diritti umani e altre norme sancite dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale hanno garantito diritti agli individui e hanno vietato la deportazione e l’arbitraria rimozione della cittadinanza e della nazionalità.

Ma come ho affermato nel mio libro del 2014 La Battaglia per la giustizia in Palestina, la pretesa di Israele di avere “il diritto di esistere come uno stato ebraico” non può essere realizzata senza l’enorme e continua violazione dei principi fondamentali dei diritti umani, dell’uguaglianza e dell’antirazzismo.

Logica dell’apartheid.

Può essere capita seguendo la logica della proposta di Netanyahu. Lui parla di trasferimento come parte di un accordo sullo status definitivo.

Ma che genere di pace immaginerebbe Netanyahu? Durante la sua prima riunione in febbraio alla Casa Bianca con il presidente degli Usa Donald Trump, il leader israeliano non si sarebbe impegnato esplicitamente in alcun tipo di “soluzione bilaterale”.

Eppure in ogni accordo ha chiesto che i palestinesi devono riconoscere Israele come uno “stato ebraico” e Israele “deve mantenere un controllo di sicurezza prioritario sull’intera area ovest del fiume Giordano”.

Sommando così tutti gli elementi insieme, il piano di Netanyahu porterebbe i palestinesi in Israele, i quali attualmente hanno dei diritti come cittadini – anche se limitati dalla legge e inferiori a quelli degli ebrei – e li sposta in una situazione in cui essi non hanno affatto alcun diritto, come il resto dei palestinesi sotto il continuo controllo militare israeliano.

In marzo, uno storico rapporto delle Nazioni Unite concludeva che “Israele ha istituito un regime di apartheid che domina nel complesso il popolo palestinese”.

“La missione di preservare Israele come stato ebraico lo ha influenzato o perfino costretto a perseguire diverse politiche razziali generali”, dichiara il rapporto. Questo include “ingegneria demografica, con lo scopo di stabilire e mantenere un’enorme maggioranza ebrea in Israele”.

L’ultima proposta di Netanyahu si adatta a questo modello, e perciò è un’ulteriore conferma che Israele pratica l’apartheid.

Il rapporto delle Nazioni Unite evidenzia anche che mentre Israele mantiene un regolare sistema democratico per i cittadini dello Stato, proibisce chiunque dall’usare questo sistema per sfidare l’organizzazione fondamentalmente razzista del regime: “La legge israeliana vieta l’organizzata opposizione palestinese al dominio ebreo, rendendo ciò illegale e perfino eversivo”.

Netanyahu avrebbe eliminato la minima minaccia dei cittadini palestinesi di Israele che usavano i loro voti per sfidare questo dominio privandoli della loro cittadinanza.

Bantustan.

Il rapporto delle Nazioni Unite, subito occultato dal segretario generale dell’Onu su ordini americani, sottolinea che non è chiaramente paragonabile Israele all’apartheid del Sudafrica.

Confronta piuttosto Israele con la definizione del reato di apartheid nel diritto internazionale, che è incluso nel fondamento giuridico del Tribunale penale internazionale.

Tuttavia la proposta di Netanyahu sicuramente segue moltissimo il precedente stabilito dall’apartheid del Sudafrica.

Mentre quel regime razzista è classificato con una sempre maggiore pressione per porre fine alla regola della supremazia bianca alla fine del ventesimo secolo, Israele ha creato un sistema di “bantustan” – per titolo stati indipendenti governati da neri.

Se le persone di colore volevano votare, il regime dell’apartheid diceva che loro erano i benvenuti a prendere la cittadinanza in uno dei bantustan – strisce impoverite di terra che si estendevano oltre le zone isolate del Sudafrica.

Ma l’indipendenza di questi stati – non riconosciuta da qualunque paese – è stata del tutto una finzione. Sono state mediocri dittature gestite da collaboratori del regime razzista bianco.

I bantustan sono stati un modo per eliminare le persone di colore fisicamente – incoraggiandoli o forzandoli a emigrare – e politicamente dal Sudafrica, intanto che non provvedevano ad alcun diritto reale.

È difficile trovare qualche differenza con quanto Netanyahu – il quale aveva reso evidente la sua avversione nel vedere votare i cittadini palestinesi di Israele – propone.

C’è una sostanziale differenza: diversamente dall’apartheid del Sudafrica i cui bantustan hanno conosciuto un rifiuto universale, molti nella cosiddetta comunità internazionale, compreso Barack Obama quand’era presidente, hanno approvato con entusiasmo il razzista israeliano e la concezione segregazionista all’insegna dello slogan “due stati per due popoli”.

Garantire la supremazia.

L’idea del broglio razziale ha trovato il favore di qualcuno degli ammiratori israeliani più intensi.

Henry Kissinger, il primo segretario di stato degli Stati Uniti che ha una lunga lista di crimini di guerra sulla sua fedina, incluso l’uccisione di milioni di persone nel sud-est dell’Asia, nel 2004 ha consigliato a Israele di “trasferire il territorio con una considerevole popolazione araba dalla parte settentrionale per migliorare il bilancio demografico”.

Negli ultimi anni ci sono stati due principali sostenitori israeliani dell’idea di un’ulteriore pulizia etnica dei palestinesi, indicata come “scambi di terre”.

Avigdor Lieberman, il colonizzatore della Cisgiordania che è l’attuale ministro della Difesa di Israele, ha a lungo sostenuto questo approccio.

Un decennio fa Lieberman disse che lui avrebbe appoggiato una soluzione bilaterale purché si provvedesse a una vera segregazione sbarazzandosi dei cittadini palestinesi di Israele.

“Il principio guida deve essere uno scambio di territori e popolazioni”, aveva detto. “Non è che noi siamo contro la soluzione di due stati per due popoli”, aveva aggiunto Lieberman. “Al contrario, noi lo appoggiamo: due stati per due popoli, non uno stato e mezzo per un popolo e mezzo stato per un altro”.

Secondo Lieberman, il rischio di una soluzione fondata sulla coesistenza di due stati senza un trasferimento era che Israele avrebbe finito per essere “mezzo stato” – ovvero che gli Ebrei non avrebbero potuto garantire il loro dominio in uno spazio con più di 1,5 milioni cittadini non ebrei che si aspettano pari opportunità e diritti civili.

Lieberman recentemente ha ribadito in un post su Facebook che lo stato ebraico dovrebbe essere finalmente pulito etnicamente di quasi tutti i palestinesi.

“Non c’è ragione per cui Sheikh Raed Salah, Ayman Odeh, Basel Ghattas o Haneen Zoabi dovrebbero continuare a essere cittadini israeliani”, ha detto in riferimento ai noti politici palestinesi, a quell’epoca tre di loro membri del parlamento di Israele, la Knesset.

Una Terza Nakba?

L’altro principale sostenitore è Tzipi Livni, il primo ministro degli Esteri apparentemente pacifista che è ricercato in molti paesi dai pubblici ministeri nell’ambito delle indagini sui crimini di guerra.

Nel 2007, Livni disse: “L’istituzione dello Stato palestinese non sarà una soluzione solo per i palestinesi che vivono in Giudea e Samaria (La Cisgiordania). È progettato per provvedere a una soluzione nazionale globale – per quelli che vivono in Giudea e Samaria, per i rifugiati e anche per i cittadini arabi di Israele”.

Lo stesso anno come parte del governo di Ehud Olmert, Livni ha ufficialmente sollevato l’idea di trasferimento con i negoziatori della Palestina, spiegando: “La nostra idea è di ricorrere a due stati per due popoli. O due stati nazione, la Palestina e Israele che vivono l’uno accanto all’altro in pace e nella sicurezza con ogni stato che costituisce la terra natia per il suo popolo e la realizzazione delle loro aspirazioni nazionali e dell’autodeterminazione dei popoli”.

Dal momento che nessun leader israeliano ha mai seriamente proposto di dare allo Stato palestinese gli stessi diritti e la sovranità che Israele rivendica per sé, queste dichiarazioni sono inviti quasi falsi per continuare lo storico processo sionista di espropriazione dei palestinesi, chiamandola “pace”.

Pochi giorni fa, il ministro israeliano più anziano Tzachi Hanegbi ha perfino minacciato i palestinesi con una “terza Nakba” – in riferimento alla pulizia etnica dei palestinesi di Israele del 1948 e del 1967.

C’è da chiedersi se l’ultima proposta di Netanyahu è quanto volesse dire.

(Nella foto: cittadini palestinesi di Israele marciano contro le demolizioni delle case ad Arara, un paese nella regione di Wadi Ara che Netanyahu vuole che venga trasferito a un’entità palestinese, gennaio 2017).

Traduzione di Daniela Caruso