Piombo fuso

Riceviamo e pubblichiamo
Piombo fuso
Domenico Savino   
04 gennaio 2009
Un lettore mi scrive chiedendomi se non ho nulla da dire sui fatti di Gaza e perché non scrivo come feci ai tempi della guerra a in Libano. E che debbo dire di un’operazione militare che si chiama «Piombo fuso»? Il nome non basta? Per la guerra che distrusse il Libano i comandi militari delle milizie del «popolo vittima», scelsero il leggiadro nome di «pioggia d’estate»:… l’odore di morte aleggia ancora sul «Giardino dei cedri». «Piombo fuso» non vi basta? Che devo aggiungere?
Che volete che vi dica, se i media di mezzo mondo veicolano la storia che Israele è stato aggredito e che i razzi islamici violano la tranquillità delle cittadine ebraiche del deserto del Neghev? Posso reagire allo squittìre di Fiamma Nirenstein o alle apodittiche dichiarazioni del nostro presidente della Knesset, pardòn della Camera? Posso?
No, e allora muto. Non dico nulla, perché finirei in galera io e ci finirebbe pure il direttore e l’editore del sito. Quindi preferisco tacere. Sono stanco di dover ribattere in privato ad obiezioni cretine sull’antisemitismo, di dover dare conto dei miei sentimenti verso i «fratelli maggiori» e di essere vagliato circa la mia fedeltà ai valori dell’Occidente.
L’unico antisemitismo che nutro è quello verso i governi dei popoli semiti che circondano Israele e che – con qualche lodevole eccezione – usano i palestinesi per i propri loschi interessi, abbandonandoli alla ferocia di Giuda. A partire dalla monarchia ashemita, a quella wahabita e ai vari emirati e colonnelli del petrolio con il loro codazzo di mogli, cortigiane e mignotte di lusso, per tutti auspico senza eccezione, a partire da Rania di Giordania, una rivoluzione popolare che li restituisca ai bucolici piaceri della zappa e del badile.
Circa i Giudei mi rimetto – senza «se» e senza «ma» – alle parole dell’ebreo Saulo di Tarso, con buona pace del cardinale gerosolimitano che lo vorrebbe censurato: «Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso. Quanto a loro, se non persevereranno nell’infedeltà, saranno anch’essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo! […] Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati. Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti in vista della misericordia usata verso di voi, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!».
Circa la mia fedeltà ai valori dell’Occidente, scordatevela. L’Occidente quale!? Io sono fedele ai valori di una Europa che fu cattolica, erede di un impero di civiltà, inclusiva e tollerante davvero e non mi sento affatto prossimo ai valori di una «astrazione geografica» che vorrebbe rendermi sodale di un progetto rivoluzionario che ha squassato il mondo, le identità dei popoli, le coscienze degli individui, che ha annichilito le civiltà preesistenti con una determinazione pari al suo furore giacobino.
Considero l’Atlantico un tratto di mare ben piu vasto che il Danubio o il Don e reputo l’animo slavo meno feroce di quello puritano. Sono renitente alla leva, specie a quella per esportare le democrazie, non considero gli arabi bestie, constato che la fede islamica trova difensori ben più zelanti di quella cristiana, ammiro il coraggio di Hezbollah, la tenacia di Hamas, la pazienza delle donne palestinesi e la loro ostinazione a lasciar generare nel loro grembo figli, laddove l’Occidente opulento e omicida ne massacra a milioni.
Vedo in tutto ciò il persistere di uno spirito indomito, che da noi si trova solo tragicamente e paradossalmente in qualche capomafia, che considera «cosa propria» la terra in cui vive. Così siamo messi. Per il resto siamo servi dei servi.
Posso aggiungere altro? No. Se fossimo in uno Stato libero potrei paragonare Tshal alla Werhmacht, con l’eccezione che allora si rispondeva ad un attentato e ai morti con la rappresaglia di dieci (o diecivirgolaqualcosa) a uno: questi i numeri delle fosse Ardeatine.
Oggi 111 a uno: ovvero se un soldato tedesco valeva dieci civili, un civile israeliano ne vale 110.
Potrei, ho detto, ma non lo faccio. La contabilità dei morti la lascio volentieri all’industria indicata dall’ebreo Finkelstein.
Mi limito, invece, a constatare che oggi non solo la guerra, ma anche la rappresaglia è preventiva. Le vittime palestinesi sono al momento 435 (in crescita costante) e 2.285 i feriti; tra coloro che hanno perso la vita, in particolare, 75 erano bambini e 21 donne. E sta per partire l’«operazione di terra»…
Ci hanno detto che ci sono state cinque vittime israeliane a seguito dei lanci dei missili di Hamas dalla Striscia (sia chiaro tanto deprecabili e omicidi, quanto grotteschi nel loro intento di ferire il Leone di Giuda). Oggi le vittime pare siano scese a quattro (forse uno e risorto?) di cui tre civili e un soldato.
Peccato per esempio che il manovale originario del Negev, morto nell’esplosione di un missile Grad nella città costiera israeliana di Ashkelon, fosse un beduino, quindi un israelo-palestinese arabo, non ebreo. Quando sento che un razzo caduto su Nahal Oz ha gravemente ferito una persona, so che molto probabilmente è un altro arabo e lo stesso dicasi per quell’uomo ucciso da un razzo che ha centrato una casa nella cittadina di Netivot.
I terribili razzi palestinesi talvolta sono così maldestri da colpire solo i propri.
In realtà dei palestinesi a nessuno importa niente e comunque per radio, TV e giornali la colpa è loro. Cosa dobbiamo scrivere: rispetto a Tshal le SS erano dei dilettanti? Non lo scriviamo, perché oltretutto offriremmo un pretesto sciocco per danneggiare il sito e quindi ufficialmente non lo pensiamo neppure e voi fate lo stesso.
Bisognerebbe invece che qualcuno si ricordasse di raccontare la storia, quella vera e di dirci che Gaza per Israele va ripresa, anzitutto per ciò che simbolicamente rappresenta: Gaza era definita Filistia (il nome biblico è Pleshet) la terra dei Filistei, meglio nota per la storia della sconfitta di Golia da parte di Davide. Potrà Israele rinunciare a quella terra, sottratta al faraone (cioè all’Egitto) nella «Guerra dei sei giorni»!?
Senza la mitologia biblica è impossibile spiegare il sionismo e la nascita stessa di Israele. Una lettura solo politica di ciò che vi accade è ontologicamente impossibile, oltrechè fuorviante…
Non mi si obietti che Sharon ordinò lo sgombero di Gaza. L’abbandono di Gaza da parte dei coloni è stata un’operazione di facciata per preparare un nuovo più massiccio insediamento, per fare quello che altrimenti, con degli ebrei a portata di mano della rabbia palestinese, sarebbe stato impossibile: il genocidio dei filistei.
Cinta d’assedio, con la popolazione stremata, bombardata periodicamente, massacrata sistematicamente, stuprata nella psiche, coi bambini cresciuti nel terrore delle bombe e nutriti di psicofarmaci, chiedo agli illuminati e razionali politici e commentatori di casa nostra come si comporterebbero.
Vorrebbe qualcuno mostrare per Gaza gli stessi sentimenti che sente per i tibetani? Dov’è Emma Bonino? Forse la vita dei bambini palestinesi vale quella di un mamser, bastardo in ebraico?
Li si è ridotti così, a sparar razzi a casaccio per poterli ammazzare meglio, si è fatto leva sull’istinto  di sopravvivenza per poterli schiacciare e gettare a mare, ben sapendo che l’orgogliosa follia islamica impedisce loro di fare l’unica cosa possibile: una collettiva protesta di tipo ghandiano, scegliendo di morire, combattendo senza armi.
Questa sarebbe l’unica cosa da fare e queste le uniche verità da dire, oltre a ricordare che, quando Sharon si accinse ad ordinare lo sgombero degli insediamenti sionisti a Gaza, con l’avallo di Bush, l’autorevole voce dell’ex rabbino capo sefardita Ovadia Yossef, leader del partito ortodosso Shas, durante una lezione alla sua sinagoga, parlando dell’uragano Katrina, che aveva distrutto New Orleans, ammoniva: «Qui abbiamo avuto l’espulsione di 15 mila persone dalle loro case; là sono stati espulsi in 150 mila. Il Signore ha voluto punire Bush perché questi ha incoraggiato Sharon ad espellere i coloni di Gush Katif».
E sarebbe il fondamentalismo islamico da temere?
Che posso farci io se Claudio Pagliara, corrispondente RAI da Gerusalemme, che trasmette dal confine di Gaza (perché le televisioni internazionali non sono ammesse nella striscia a documentare la ferocia dei missili di Giuda) ci ripete, circondato dai fantascientifici carri corazzati Merkavà di ultima generazione, che la minaccia per l’esistenza stessa di Israele sono i missili-petardo di Hamas lanciati dagli uliveti?
Già e poi a me quando sento certi nomi fa male… Merkavà è il Carro di fuoco descritto nella visione biblica avuta dal profeta Ezechiele, ovvero il «Cocchio Celeste» della parte più interiore della Qaballà: è lo stato del rapimento mistico nelle sfere superne, fino alle dimore degli angeli più elevati, fino allo stesso Trono di Dio, il luogo della sua dimora: «Non si tratta di un viaggio facile, e spesso si devono confrontare forze terribili quanto mirabili. Solo guardandole dall’alto, molto dall’alto, le faccende delle collettività umane possono venire comprese. E’ solo dall’alto della Merkavà che si vedono le vie di Dio, e come il  male sia in realtà il ‘trono del bene’» (1).
E’ l’idea fondamentale del sabbatianesimo, che trovò proprio a Gaza in Nathan Benjamin Levi, detto appunto Nathan di Gaza, il suo profeta.
I princìpi del sabbatianismo erano fondati su un messianismo estremo, che affermava che il Messia, per realizzare la redenzione, doveva scendere nell’abisso del male, anche per redimere i peccati d’Israele.
Potrà Israele rinunciare a quella terra? No, dovesse renderla un deserto di morte.
Il male come trono del bene: ecco quello che sta accadendo; è il destino di Israele che non si converte.
Che altro posso dire? Niente, quindi taccio. E prego. Prendo «atto che è in atto» l’operazione «piombo fuso».
Però un’’altra cosa, sì… la posso dire, la debbo dire. E’ che quando sento certi nomi, comincio a pensare… Piombo fuso… Che vuol dire, per chi deve capire?
L’ho pensato l’altra sera quando ho visto un soldato di Tshal, con il suo scialle sulla testa, leggere devotamente la Torah, mentre alle spalle la bocca di fuoco di un carro corazzato Merkavà sembrava guardare nell’obiettivo. Allora mi sono alzato da tavola all’improvviso e mi sono messo a cercare affannosamente. Mi è venuto in mente che c’è un termine in ebraico con cui si indica il sudario,  (סןךׇר = sudar, se è scritto correttamente) e che in ebraico moderno significa sciarpa, scialle. E’ un termine che è indicato ben undici volte nella Mishnà, la codificazione della Torah orale, che raccoglie le principali opinioni degli scribi e dei rabbini sui problemi della legge.

Vi si descrive così l’esecuzione capitale per combustione: si mette un sudar duro in uno morbido e si avvolge il collo del condannato. Due boia tirano i due lembi di questa sciarpa in senso contrario, finchè il condannato apre la bocca per poter versare nei suoi visceri piombo fuso… (2).

Il destino di Gaza è scritto.
Domenico Savino
2) «Il titolo della croce di Gesù», Maria-Luisa Rigato, E.P.U.G., 2005, pagina 211

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