Rassegna stampa del 26 febbraio.

http://it.euronews.net/

E’ ricominciato oggi a Gerusalemme il processo contro Ehud Olmert, ex primo ministro di Israele. Il dibattimento riprende dopo una sospensione di 6 mesi. Olmert deve rispondere di diversi reati di corruzione, frode e evasione fiscale e, teoricamente, rischia di finire in prigione.

L’ex dirigente del partito centrista Kadima si è dimesso il 21 settembre del 2008, dopo che era stato rischiesto il suo rinvio a giudizio per le bustarelle che avrebbe ricevuto da un donatore statunitense. Si parla poi di biglietti aerei rimborsati indebitamente e poi di favori concessi a un amico imprenditore.

I fatti contestati riguardano il periodo in cui Olmert è stato sindaco di Gerusalemme e successivamente ministro dell’industria e del commercio, fra il 2003 e il 2006.

 

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Gerusalemme, scoperta la muraglia di re Salomone

Inserita il 26/2/2010 alle 09:31 nella categoria: Rassegna Stampa 

GERUSALEMME – Una sezione di un'antica muraglia della città di Gerusalemme risalente al X secolo a.C., probabilmente costruita al tempo del biblico re Salomone, è stata scoperta durante gli scavi archeologici diretti da Eilat Mazar e condotti sotto gli auspici dell'Università di Gerusalemme.

I resti del possente muro, lungo 70 metri e alto 6, sono emersi nella zona nota come l'area Ophel, tra la città di David e il muro meridionale del Monte del Tempio, e sembrano confermare il racconto che la Bibbia fa delle gesta del leggendario Salomone. Nella stessa area sono stati scoperti un corpo di guardia interno per l'accesso al quartiere reale della città, una struttura reale adiacente al corpo di guardia e una torre d'angolo che si affaccia su una considerevole sezione della vicina valle Kidron.

 

http://www.israele.net/

26-02-2010

Wiesenthal Center: “ipocriti” quelli che si oppongono al nuovo museo a Gerusalemme

 

Il Simon Wiesenthal Center di Los Angeles accusa di “smaccata ipocrisia” gli avversari del progetto di costruzione di un nuovo museo accanto ad un ex cimitero islamico nel centro di Gerusalemme. L’accusa è stata mossa dopo che il Centro è venuto in possesso di informazioni che dimostrano che nel 1945, durante il Mandato Britannico sulla Palestina, il Supremo Consiglio Islamico aveva progettato di costruire un grande centro commerciale esattamente sopra quello stesso ex-cimitero.
Il Wiesenthal Center sta subendo pesanti e prolungati attacchi ad opera degli avversari dei suoi lavori per la costruzione di un nuovo “Museo della Tolleranza” sullo spiazzo di un ex parcheggio municipale, nel centro di Gerusalemme, che confina con il cimitero di Mamilla, un terreno di sepoltura musulmano vecchio di secoli. Un paio di settimane fa gli avversari del museo hanno inoltrato una petizione all’Onu sostenendo che costruire sul sito significherebbe arrecare disturbo alle tombe secolari e profanare il cimitero. Nel 2004, gruppi palestinesi e filo-palestinesi avevano presentato istanza contro la progettata costruzione, e da allora non hanno smesso di contestarla. La Corte Suprema ha studiato per quasi quattro anni gli argomenti delle due parti, e infine nel 2009 ha dato luce verde al progetto.
Ora il Wiesenthal Center rende noto, dopo che è stato “postato” su un blog, un articolo pubblicato il 22 novembre 1945 sul “Palestine Post” (nome del Jerusalem Post prima della nascita dello Stato) che parla dei progetti islamici di costruire direttamente sopra l’ex cimitero (e non accanto, come il previsto museo). Nell’articolo si leggeva che “una superficie di più di 450 dunam nel cuore di Gerusalemme, che oggi costituisce il cimitero Mamilla, verrà trasformata in un centro commerciale” (“an area of over 450 dunams in the heart of Jerusalem, now forming the Mamilla Cemetery, is to be converted into a business centre”). “Il progetto cittadino – continuava l’articolo – verrà realizzato con la supervisione del Supremo Consiglio Islamico, congiuntamente al Consigliere Governativo per la pianificazione urbanistica. Le principali strutture saranno un edificio di sei piani che ospiterà il Supremo Consiglio Islamico e altri uffici, un hotel di quattro piani, una banca e altri edifici annessi, un college, un club e un’officina. Vi sarà anche un parcheggio chiamato Salah ed Din Park, dal nome del guerriero musulmano del tempo delle crociate”.
L’articolo del 1945 descriveva anche il progetto del Consiglio di trasferire i resti sepolti nel cimitero “in un’area separata, cinta da un muro”, e citava le delibere di eminenti chierici islamici del tempo che consentivano l’avanzamento dei progetti di costruzione. “In un’intervista al settimanale di Gerusalemme Al-Wih-da – proseguiva l’articolo del Palestine Post – un membro del Supremo Consiglio Islamico ha affermato che l’uso di cimiteri musulmani per il pubblico interesse ha molti precedenti in Palestina e altrove. Il membro del Consiglio ha aggiunto che il Supremo Consiglio Islamico intende pubblicare una dichiarazione che riporti le dispense da firma di chierici d’Egitto, dell’Hijaz e di Damasco, che convalidano il programma di costruzioni. Il membro del Consiglio ha sottolineato che i lavori verranno compiuti per fasi mediante gare pubbliche d’appalto. Diverse società sono già state formate in anticipo e i fondi abbondano”.
Dice il fondatore e decano del Centro Wiesenthal, Marvin Hier, che la scoperta dell’articolo dimostra la “smaccata ipocrisia” di chi si oppone al progetto del nuovo museo che, Hier tiene a sottolineare, “non viene nemmeno costruito sul cimitero vero e proprio”, ma accanto. “Siamo stati calunniati da giornali in tutto il mondo – continua Hier – e ora vedere questo documento, da cui emerge che un certo numero di eminenti chierici musulmani si erano pronunciati a favore della costruzione addirittura di un centro commerciale proprio sopra al cimitero stesso, dimostra una volta di più il doppio standard che viene applicato. Attendo di vedere se tutti quei giornali europei, che hanno tanto parlato di questa vicenda senza mai riferire la nostra versione, daranno conto ora di questo sviluppo. Ma penso proprio che non avranno il fegato di farlo”.

 

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Palestina: Le “proposte” dell’Anp per favorire Israele

 

     

 

di: Matteo Bernabei

“La situazione politica alla luce degli sviluppi con l’Amministrazione statunitense e il governo israeliano, e il persistente colpo di Stato di Hamas”, è questo il titolo del documento redatto dal mediatore dell’Anp Saeb Erekat, nel quale il diplomatico analizza le possibili soluzioni del conflitto israelo-palestinese. Un testo dove e possibile riscontrare tutta la miopia politica di cui è capace l’Autorità nazionale guidata dal leader di Fatah Mhamud Abbas. Nel documento viene fatto un elenco di tutti i tipi di protesta non violenta possibile da attuare per “costringere” le autorità israeliane a riprendere i negoziati di Pace. Possibilità che prevedono anche la fine della collaborazione in materia di sicurezza, fino al conseguente scioglimento della polizia palestinese.
Difficile quindi non dubitare dell’intelligenza dei vertici dell’Anp se, dopo anni di soprusi, sono ancora convinti che la controparte starà a sentire le loro ragioni grazie alle manifestazioni pacifiste e soprattutto senza approfittare della situazione di fronte la possibilità di prendere il controllo totale della Cisgiordania.
Ma queste menti illuminate si sono spinte ancora oltre, fino alla possibilità di denunciare la mancata realizzazione degli accordi di Oslo, che prevedevano la nascita di uno Stato palestinese al fianco d’Israele, nel tentativo di far leva sulla comunità internazionale per far sì che questo venga riconosciuto immediatamente e senza alcun negoziato. Un’altra ottima idea per non farsi più restituire i territori sottratti nel corso degli anni dall’entità sionista. Infine, ma solo infine, come ultima possibilità, quella che sarebbe invece la più naturale, e cioè l’abbandono della soluzione statunitense “due Stati per due popoli” in favore della creazione di un unico Paese. Come è sottolineato nel documento, però, questa “non è l’opzione preferita dall’Anp”.
Nemmeno se il testo fosse stato redatto dal laico radicale Avigdor Lieberman in persona sarebbe stato più favorevole per Israele. Anche perché, a contorno di tutto ciò, vi è la continua condanna delle azioni di Hamas definito da Erekat “un ostacolo al processo di pace”. Sembra di assistere al manifesto dell’assurdo, dove gli schiavi fanno di tutto per compiacere i padroni convinti di agire per il proprio bene. Qualsiasi altro commento sarebbe superfluo.

Palestina, la menzogna di ”una terra senza popolo”

 

     

 

di: Enea Baldi

La Palestina si trova sulle coste orientali del Mare Mediterraneo quello che veniva definito il Mare Nostrum. Comprende l’attuale Israele e Giordania occidentale. A nord confina con il Libano e a sud con la penisola del Sinai.
Terra di fiorenti città costiere, e di piccoli villaggi interni, la Palestina, fino al 1948, insieme al Libano e la Siria, era tra le regioni costiere più fiorenti del Vicino Oriente; malgrado lo slogan sionista: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, che rappresenta quanto di più falso si sia mai potuto propagandare nel corso della storia. 
La politica israeliana dall’inizio del secolo scorso, ha condotto una azione di immigrazione ebraica, soprattutto dal nord Europa, ripopolando, riedificando e rinominando ogni singolo toponimo delle 531 tra città e villaggi distrutti dal suo esercito, con il palese obiettivo di occultare qualsiasi testimonianza storica che potesse far risalire quelle terre alla civiltà araba di appartenenza. Un occultamento, quello da parte degli israeliani, ottenuto anche in maniera fattiva attraverso il rimboschimento delle macerie, inventando la leggenda che quelle, prima del loro arrivo, fossero aree di natura incontaminata.
Ma oltre alle abitazioni, alle scuole, ai luoghi di culto, ai ministeri, agli aeroporti… bisognava occultare anche la gente. E così ecco spiegato l’esilio forzato a cui è stato sottoposto il popolo palestinese, cacciati dalle loro case tra il 1947 e il ‘48, per fare posto alle comunità ebraiche importate dal nord Europa.
Per una tragica ironia del destino, i palestinesi hanno e stanno ancora subendo, la stessa esperienza vissuta e recriminata dagli ebrei: la “diaspora e il “genocidio”.
E in base a tale recriminazione in Occidente si è forgiato il “pensiero unico comune” che considera oggi l’ebreo come un “perseguitato”, a causa del condizionamento culturale subito fin dal secolo scorso. Gli ebrei, ovviamente i filo-sionisti, non sono affatto perseguitati, anzi… sono solo più intelligenti di quei non ebrei che continuano a difenderne il diritto di esistenza come Stato; e non perché conoscano le origini, i motivi delle rivendicazioni e la loro politica. L’europeo del XXI secolo è un uomo che, generalmente, per formazione culturale si fida e tende a difendere le rimostranze dei deboli, dei poveri, anche di quelli che i media gli propongono come tali. E un uomo che da un lato si commuove quel tanto da renderlo sensibile nei confronti dei bambini del Darfur e dall’altro si esalta per la “vittoria della democrazia sul terrorismo”, quando in diretta tv vede cadere la statua di Saddam Hussein in Iraq… L’uomo dal “pensiero unico comune” non può nemmeno essere considerato un ignorante, poiché è “informato” attraverso tg, giornali e adesso anche internet.
E’ malizioso quel tanto consentitogli dalla “neonata morale europea” ma sempre fedele a chi – lui sì malizioso – gli ha causato quel “malessere da stordimento mediatico” da condizionarlo nel giudizio critico e morale di ogni sua scelta materiale e anche ideologia. E i sionisti, a ben vedere, sono degli abili “condizionatori mediatici”. Questo è uno dei motivi per cui Israele è sempre uscita indenne da ogni accusa mossa dalla comunità internazionale: perché si è servita della giustizia civile e militare, quando ad essere sotto accusa erano entità non sioniste, quali terroristi islamici, stati canaglia… ed ha approfittato della giustizia mediatica, sempre pronta – per condizionamento – all’elogio del “vittimismo“, quando alla berlina invece c’era un giudice, un avvocato o giornalista non prezzolato, pronto a sporgere denunce nei suoi confronti.
Il presupposto di natura vittimistica che accompagna la storia degli ebrei sionisti, è stato determinante per portare avanti quel condizionamento mediatico di strategia globalizzante del dopoguerra che, da una parte bollò il nazismo e il fascismo come i “Mali Assoluti”, da aborrire sia sotto l’aspetto sociale che culturale, e dall’altra, garantì loro una patria come risarcimento dei danni subiti da questi ultimi durante il corso della Seconda Guerra Mondiale.
Le ricorrenti commemorazioni che l’Occidente ripropone annualmente attraverso i media, testimoniano la tesi secondo cui, per ottenere il pieno consenso delle strategie sioniste, sia estremamente necessario che rimanga accesa nella gente la fiamma del ricordo per la Shoah, che giustifichi di volta in volta, la “giusta causa” dell’operato di Israele, anche quando si tratta di crimini contro l’umanità. 
 Se così non fosse, perché delle 72 Risoluzioni Onu comminate ad Israele per i crimini commessi contro i palestinesi, non ne è stata rispettata nemmeno una?
L’entità sionista, non ha radici mistiche, né intenti filantropici, né tanto meno la sua storia è prodiga di esempi di tolleranza e di pace; l’entità sionista è un sistema di potere che ha un enorme consenso popolare, insieme ad un’immensa fortuna economica auto-generantesi dalle speculazioni economiche internazionali degli istituti di credito di cui è proprietaria; un’entità così forte da corrompere chiunque e ovunque. 
Il suo sistema di potere è univoco ed esclusivamente economico, culturalmente mirato al mantenimento del “pensiero unico”, con l’assoggettamento congiunto anche di arte e scienza.

Vicino Oriente: le origini mediatiche dell`aggressione sionista

 

     

 

di: Enea Baldi

Molto spesso le certezze non sono altro che il frutto di un insieme di preconcetti. La scuola, maggiormente, è la fucina in cui vengono forgiate quelle che da adulti, pochi, svilupperanno la tendenza a riconoscere quali idee infondate. Questo meccanismo che in qualche modo tende a “paralizzare” la naturale sensibilità di giudizio dell’infanzia, ha eziogenesi indotte. Per quanto concerne lo studio della storia, ad esempio, “l’induzione”, semplicisticamente, deriva dal fatto che a scriverla – e quindi a tramandarla – siano stati, a turno, i vincitori delle innumerevoli guerre che si sono succedute nell’arco della storia per il dominio e la ricchezza della terra: fondamentalmente gli unici due moventi che hanno da sempre spinto gli uomini a prevalere su altri uomini, con ogni mezzo messo a disposizione delle tecnologie delle epoche.
Uno degli aspetti che è indispensabile considerare quando ci si avvicina a un tema che conosciamo poco o affatto, è quello dell’analisi storiografica, analisi che deve essere condotta secondo un criterio il più possibile pragmatico e giuridico, nonché oggettivamente universale. In poche parole, non tutto ciò che apprendiamo come “esistito” dal punto di vista letterario, ha riscontri storici. Ad esempio un testo che narra di un personaggio, la cui esistenza non è accertata dalla cultura di altri popoli, è molto probabile che sia nato dalla fantasia di un narratore e non di uno storico. L’analisi geo-comparata, nel caso delle verità storiche è fondamentale.
Prendendo come esempio il Cristianesimo, per quanto il suo influsso abbia condizionato le culture di tutto il mondo, dal punto di vista storiografico non esiste alcuna prova dell’esistenza di Cristo. La Bibbia, pur essendo uno tra i testi universalmente più letti, per quanto concerne la valenza del suo contenuto letterario è da considerarsi alla stessa stregua di un romanzo. Cristo, a parte che dagli apostoli, non è menzionato da nessun altro autore, in nessun testo dell’epoca, che possa cronologicamente collegare la sua esistenza a fatti ed episodi storici accertati. Cristo, in definitiva, non è certo che sia esistito, seppure non è certo che non lo sia.
Così come, non esiste alcuna certezza che il cosiddetto “Stato” recriminato ed ottenuto in terra di Palestina, ufficialmente, nel 1967 dall’entità sionista, sia davvero un tempo appartenuto agli ebrei come riportato nella Torah, un testo sacro ma non storico. Perché altrimenti chiunque si potrebbe affidare, per recriminare come propri, benché atavici, i diritti nazionalistici, affidandosi, ad esempio, a testi come il Corano, o ai libri epici dell’antica Grecia. 
Al contrario dell’ebraismo l’Islam non ha mai preteso uno Stato che lo identificasse dal punto di vista religioso: i musulmani, così come i cristiani ma anche gli ebrei non sionisti, vivevano e vivono la loro religiosità, all’interno delle nazioni di origine, rispettandone regole e leggi. Riflettendo meglio, non è sbagliato affermare che gli unici Stati al mondo che siano riusciti a far nascere da un concetto teocratico una nazione, sono quello sionista di Israele e lo Stato della città del Vaticano. 
Detto ciò non possiamo prescindere dal fatto che entrambe le due entità teocratiche, dal punto di vista (questa volta sì storico) siano da identificarsi sotto un aspetto solo apparentemente dualistico.
Ciò che è importante sottolineare a questo punto, è il fatto che, malgrado l’informazione stia spingendo, da oltre mezzo secolo, sul movente religioso o etnico quale causa dei conflitti nel Vicino Oriente, nella realtà dei fatti, più che la religione, è il controllo degli Stati per l’accaparramento delle energie e delle altre preziose materie prime, ad interessare i Signori della guerra; e la nascita dello Stato di Israele è parte integrante di questo progetto. Tutti i conflitti – a differenza di quanto accadeva prima della nascita delle tecnologie audiovisive, in cui il popolo era chiamato nelle piazze a decidere del proprio futuro (attraverso suffragi, proteste, rivoluzioni, ma anche acclamazioni di capi di Stato) – oggi, prevedono un esclusivo riscontro di solidarietà mediatica, affinché il consenso sia tale da giustificare gli orrori anche quando meriterebbero il giudizio di Tribunali civili e militari.
L’arguzia di chi alla fine dell’Ottocento utilizzò il motto, “una terra senza popolo”, confidando nell’ausilio di giornalisti, scrittori, politici e anche di artisti e scienziati, affinché, agli occhi dell’opinione pubblica, le ragioni di un popolo si eclissassero nell’arco di un cinquantennio, è confermata oggi, dall’avallo dell’opinione pubblica europea nei confronti della politica di Israele, malgrado siano sotto gli occhi di tutto il mondo, video, documenti, relazioni, risoluzioni Onu, che confermano – senza ombra di dubbio – le responsabilità criminose dell’entità sionista nei confronti del popolo Palestinese, nonché le reiterate aggressioni e minacce indirizzate a Siria, Libano e Iran che l’informazione embedded è sempre pronta a rettificare come “legittime rimostranze” verso Paesi nemici della “democrazia”. Uno degli aspetti fondamentali che caratterizzano il progetto di “colonizzazione mediatica” di Israele, differenziandolo sostanzialmente, soprattutto da un punto di vista politico, da quello indotto dall’ “evangelizzazione filo-cristiana”, risiede nella sua assoluta contrarietà a strategie di proselitismo, inevitabile crogiuolo di conservatorismo della razza. L’ebreo israeliano, è per sua natura, profondamente razzista, malgrado il governo sionista si sforzi di far apparire il suo Stato come il migliore tra i “democratici”. Tel Aviv è una città blindata dove l’apartheid e le leggi razziali hanno ridotto in minoranza i palestinesi e quelli rimasti sono considerati alla stessa stregua di servi.
Israele ha usato e sta tutt’ora usando ogni strategia bellica, convenzionale e non, contro i palestinesi; e quelli che per il momento non è riuscito a schiavizzare, li tiene prigionieri, da una parte in Cis Giordania e dall’altra nella Striscia di Gaza, un vero e proprio campo di concentramento. Israele paradossalmente sta per portare a compimento quello che è sempre stato il capo di accusa nei confronti del nazismo che ha poi scaturito la sua nascita come Stato, quale risarcimento per i danni subiti: “il programmatico sterminio di una razza”. Ma mentre per il nazismo l’Occidente nutre un atavico sentimento, se non di odio, quantomeno di ostracismo e risentimento, per Israele, manifesta invece la stessa comprensione e tolleranza che si dimostra nei confronti di “un fatto dovuto”.
Insieme agli Stati Uniti, ma anche all’Ue, Israele sta quindi per portare a termine sotto gli occhi della comunità internazionale un genocidio. L’Ue, che commemora e ossequia ogni dettame dell’entità sionista, vittima alla stessa stregua di quei Paesi che ora subiscono l’aggressione dell’imperialismo angloamericano, che chiama “missione umanitaria” l’evidente sostegno bellico alle guerre democratiche di esportazione di Washington, L’Ue che ha abdicato la politica sociale a favore dei popoli a quelle della finanza, dei signori della Guerra e delle Banche… L’Europa, conscia, eppure schiava di un Sistema aberrante le cui responsabilità criminali, impunite e avallate dagli stessi organismi internazionali creati e controllati dal Sistema stesso, ricadranno purtroppo sulle generazioni europee future.

 

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Venerdi, 26 Febbraio 2010

Pellegrinaggi in Terrasanta: è ora di cambiare?



   

Sono stato tre volte nella terra di Gesù. Del primo pellegrinaggio, vissuto con un gruppo di giornalisti, ricordo solo che  fu molto erudito e poco spirituale. Andai poi con Gente Veneta e la diocesi. La nostra guida era un ebreo molto laico, molto arrabbiato con gli arabi e con gli ebrei integralisti, poco desideroso di fare bene il suo lavoro. Tuttavia il clima che si creò e l'accompagnamento spirituale di monsignor Orlando Barbaro resero quell'incontro con la terra del Signore un'esperienza di vera preghiera. Sono stato per la terza volta poche settima nel fa con un gruppo di preti e di laici della diocesi di Milano. Ci ha fatto da guida un ebreo arabo cristiano di Nazaret. Un uomo di fede e di grande equilibrio, che ha permesso a chi partecipava di intuire la tragedia che oggi si consuma nella terra di Gesù, dove due popoli – gli ebrei e i palestinesi – cercano senza riuscire trovarla una via per vivere in pace. 
    Dal primo all'ultimo pellegrinaggio, grazie anche ad altre esperienza di contatto con i cristiani di Terrasanta, il mio desiderio di conoscere la reale situazione di quella terra dove il Figlio di Dio si è fatto uomo è diventato sempre più grande,  ma assieme è cresciuta anche la percezione che probabilmente occorre cambiare qualcosa nel modo consueto di vivere i pellegrinaggi perché non diventino occasioni che rischiano di andare sprecate. 
    Il pellegrino parte dall'Italia pieno di entusiasmo; visita i luoghi santi, le chiese, i monumenti; ritorna carico spiritualmente credendo di essersi immerso per davvero nella terra di Gesù. Ma la vita attuale di quella terra, la tragedia che ogni giorno preme dentro l'apparente calma che la caratterizza, scivola via dai gesti di preghiera e di pietà del pellegrino quasi senza che egli se ne accorga. Anzi, il pellegrinaggio stesso è organizzato in modo tale da evitare il più possibile gli intoppi legati al conflitto israelopalestinese, che farebbero perdere tempo 'prezioso' al pellegrino. 
    Il pellegrino torna credendo di aver conosciuto la terra di Gesù: invece ha fatto un percorso obbligato che gli ha consentito di vedere tante cose… ma non di guardare dentro, almeno un poco, almeno di striscio, al cuore ferito di quella terra. 
    Così si dimenticano, anzi si rimuovono, due cose fondamentali. La prima: dalla pace tra ebrei e palestinesi non dipendono solo le sorti di questi due popoli, dipende il futuro dell'Occidente, per le implicazioni internazionali del conflitto israelopalestinese. La seconda: in Palestina vive una comunità cristiana che è la diretta discendente della prima comunità cristiana. E' costituita per lo più da arabi palestinesi e oggi,  a causa dell'occupazione israeliana, fatica sempre di più a sopravvivere. Se non viene sostenuta con iniziative concrete, c'è il rischio reale che questa comunità scompaia. Per i cristiani di tutto il mondo sarebbe un perdita irreparabile. Come aiutarla?     Un modo molto concreto è, ad esempio, alloggiare durante il pellegrinaggio a Betlemme, dove vive  una grande parte di quei cristiani, invece che a Gerusalemme. Certamente è più scomodo perché ogni giorno bisogna perdere tempo al posto di blocco del muro che divide le due città, ma si dà lavoro ai cristiani di Betlemme. Un altro modo è di creare ponti tra le nostre parrocchie e le parrocchie cristiane di Betlemme, di Gerico ecc., magari evitando di celebrare sempre e solo nella grandi basiliche, per celebrare la Messa con quelle comunità. Un terzo modo è di fare gemellaggi con le comunità cristiane di Terrasanta per rendere più solidi e continui il sostegno e la collaborazione. 

 

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26-02-10

CASO DUBAI: POLIZIA, ABBIAMO IL DNA DI UNO DEI KILLER

 

 

 

(ASCA-AFP) – Dubai, 26 feb – La polizia di Dubai ha affermato oggi di essere in possesso del DNA di almeno uno dei killer del leader di Hamas Mahmud al-Mabhuh, ucciso in un albergo il mese scorso, e le impronte digitali di altri sospettati. Ad annunciarlo alla tv Al-Arabiya e' stato il capo delle forze di sicurezza della citta' degli Emirati Arabi, Dhahi Khalfan, che nei giorni scorsi aveva apertamente accusato il Mossad, il servizio segreto israeliano, di aver organizzato l'omicidio.

Finora la polizia di Dubai ha reso noti i dati relativi a 26 persone sospettate del crimine, tutti in possesso di passaporti europei, probabilmente falsi.

 

 

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AMIRA HASS 26 febbraio 2010

Un testimone poco credibile

Ogni storia ha sempre versioni diverse, racconta Amira Hass.

PsychoActive è un gruppo formato da psicologi israeliani (anche arabi) che cercano di integrare la loro vita professionale con l’opposizione all’occupazione e alla segregazione israeliana dei palestinesi. Il 21 febbraio il gruppo ha organizzato una conferenza sul tema della Nakba (l’esodo dei palestinesi dopo la nascita di Israele nel 1948).

Durante una pausa un ragazzo mi ha fatto alcune domande sull’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Voleva sapere se, secondo me, c’erano stati ordini precisi di colpire dei bersagli civili. Io gli ho fatto alcuni esempi, citando in particolare il bombardamento della scuola americana nel nord della Striscia.

Una guardia in servizio all’ingresso della sala ci ha interrotti. “Non è così”, ha detto con aria solenne. “In quella scuola abbiamo trovato di tutto: i corpi di dodici membri di Hamas, una rete di gallerie e dei cavi collegati a tre chili di esplosivo”. Non sapevo niente dei membri di Hamas uccisi, e non posso escludere che la mia fonte mi abbia mentito o non lo sapesse. Ma i tre chili di esplosivo non mi convincevano. Non mi sembrava granché.

“E voi soldati quanto esplosivo vi portate in battaglia?”, ho chiesto alla guardia. Non più di cinquanta grammi, ha giurato. Allora gli ho chiesto quanti danni aveva provocato l’esplosione. “Sono morti molti soldati”, ha assicurato. Ora, nelle tre settimane dell’offensiva solo sei soldati sono stati uccisi dai palestinesi e non mi risulta che siano morti nella scuola. “Ma i soldati uccisi sono molti di più”, ha detto la guardia con un certo imbarazzo. È stato lì che ho capito che non sarebbe stato certo lui a smentire la mia ricostruzione dei fatti.

 

 

 

 

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