Regista palestinese: “Sono tutti schiavi, a Gaza”

MEMO. Di Jehan Alfarra. La guerra è un periodo spaventoso per i bambini che continuano a soffrire nelle aree di conflitto, nonostante la protezione offerta dal diritto internazionale. Nel suo primo cortometraggio, “Paper Boat”, il cineasta palestinese laureato in matematica Mahmoud Abu Ghalwa si chiede se è il caso di avere figli in un ambiente così pericoloso come la Striscia di Gaza sotto assedio.

Nato e cresciuto a Gaza, Abu Ghalwa è stato insegnante di matematica e scienze prima di decidere di lasciare il proprio posto per iniziare a scrivere sceneggiature per programmi televisivi per bambini, dove ha conosciuto il mondo delle video produzioni. La nuova passione per il video editing lo ha portato a lavorare come editor di documentari e notiziari per canali locali e internazionali come Al Jazeera e produzioni Unrwa da più di dieci anni.

Avendo vissuto l’assedio e la guerra sotto l’occupazione israeliana, Abu Ghalwa ha scelto di fare un film non sulla guerra in sé, ma sulla psiche di chi vi si trova coinvolto. “Viviamo in un’area geografica unica”, ha egli dichiarato a Memo. “Ogni suo lato è speciale. Ho voluto creare il mio film, qualcosa che desse una direzione artistica ai miei pensieri”.

Il premiato Paper Boat racconta di una giovane coppia che aspetta un bambino, in una stanza claustrofobica a Gaza. Il futuro padre, perso nei suoi ricordi di infanzia, si chiede come sua moglie possa voler mettere al mondo un altro essere umano trovandosi in queste condizioni e riflette sulla sua percezione della libertà, della schiavitù e della resa. Abu Ghalwa è stato egli stesso un padre in attesa durante l’attacco militare israeliano contro Gaza del 2014, l’”Operazione margine di protezione”.

“Sono tutti schiavi, a Gaza”, egli dice. I palestinesi sono costretti a vivere nelle restrizioni del blocco imposto alla Striscia dal 2007, senza un posto dove poter fuggire. “Il film parla di un’idea. I personaggi non hanno nomi perché non voglio che diventi un film su di loro”.

Con l’aiuto di amici che hanno creduto alla sua idea, Mahmoud ha potuto fare il film in completa indipendenza, occupandosi della regia, della produzione, delle riprese, dell’editing e del sonoro.

“Ci ho messo molto tempo a fare le riprese perché non avevo il denaro, né il tempo, né l’elettricità”, egli spiega. I dialoghi sono stati registrati separatamente e sincronizzati in un secondo momento, in quanto il film è stato girato di notte e non si è potuto evitare di registrare il suono dei generatori durante le riprese.

“Fare il film e finanziarlo non è stata la sfida maggiore”, ha detto Abu Ghalwa. “Le difficoltà vere sono iniziate dopo, quando ho deciso di seguire i miei sogni e le mie ambizioni di diventare regista”.

Dopo aver vinto una borsa di studio, alcuni anni fa, dell’El Gouna Film Festival per lo sviluppo di sceneggiature, a causa dell’assedio israeliano su Gaza Abu Ghalwa non poteva viaggiare. Il blocco ha significato sia il superamento degli ostacoli nel girare un film entro l’enclave costiera, sia il dover rinunciare alla borsa di studio e ad altre opportunità utili alla professione.

Ora è riuscito a lasciare la Striscia di Gaza ma non ha una residenza permanente. Al momento vive in Turchia e ritiene che l’impegno e il duro lavoro rendano tutto possibile. Il suo cortometraggio è stato proiettato in più di dieci festival in tutto il mondo.

(Nella foto: Mahmoud Abu Ghalwa (s), al Tawasul 3, Istanbul. Jehan Alfarra/Middle East Monitor).

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice