Report della delegazione del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila.

L’altra metà della Palestina

Report della delegazione del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila

 

Anche quest’anno la delegazione del “Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila” ha portato nei campi profughi palestinesi in Libano, dal 12 al 19 settembre, il sostegno al diritto al ritorno e alla lotta di liberazione del popolo palestinese.

L’accoglienza ricevuta nei campi e il risalto dato dalla stampa libanese alle tappe della delegazione dimostrano quanto importante sia stato il lavoro di solidarietà, analisi e denuncia del nostro compagno Stefano Chiarini, cui circa quaranta tra attivisti di associazioni, comitati, rappresentanti politici e giornalisti hanno garantito la continuità nell’impegno annuale di portare all’attenzione di tutti il tema del diritto al ritorno dei palestinesi della diaspora.  

 

Proprio la foto di Stefano Chiarini, definito da tutti come un “combattente per la causa palestinese”,  apriva il 16 settembre la marcia dei parenti delle vittime del massacro, compiuto 26 anni fa dalle falangi cristiano-maronite e dall’esercito israeliano sotto l’allora Ministro della Difesa Israeliano, il criminale Ariel Sharon, di circa 3.000 palestinesi del Campo profughi di Sabra e Chatila a Beirut. Come ogni anno la manifestazione in ricordo del massacro, ancora impunito, si è conclusa nel piazzale che ospita la fossa comune, dove l’impegno di Stefano e il sostegno del Sindaco del Comune di Gobeiri hanno fatto sì che, da discarica quale era, quel luogo si trasformasse in un Memoriale che oggi restituisce a quelle vittime il rispetto del ricordo.   

 

La visita nel campo di Sabra e Chatila ha permesso anche quest’anno al Comitato di constatare le durissime condizioni in cui versano i profughi. In questo 60° anniversario dalla Naqba, la realtà dei campi profughi in Libano è la testimonianza che la “catastrofe” per i palestinesi non è mai finita, ma anche che la memoria e la lotta per il diritto al ritorno resistono di fronte all’occupazione e alle politiche di apartheid attuate da Israele e dai suoi alleati.

 

Sono 400 mila profughi palestinesi sparsi  nei  circa 16 campi,  di cui 12 ufficiali  e che rappresentano circa il 10% della popolazione libanese. La popolazione vive sostanzialmente delle rimesse dei parenti emigrati, dei fondi dell’UNWRA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) e delle ONG. La  presenza di profughi è stata sempre considerata dalle istituzioni libanesi come una minaccia alla stabilità del fragile stato libanese,  e questo determina che ai palestinesi venga  negato l’accesso ai diritti civili basilari tra cui il permesso a praticare 70 tipologie di lavoro e il diritto alla proprietà. Le condizioni sono rese  ancora più dure dalla crisi economica che ha investito anche il Libano e dal  magro bilancio dell’UNRWA che non riesce (o non vuole)   rispondere all’aumento della popolazione nei campi. Questo porta ad un tasso di disoccupazione del  45%, con un livello di povertà del 60%. A tutto ciò si aggiunge il dato agghiacciante della mortalità infantile pari a 233 ogni 1000 nati, che è  secondo solo all’Africa sub-Sahariana.

Nonostante questo quadro durissimo i rappresentanti delle ONG palestinesi hanno tenuto a segnalarci  i timidi segnali positivi, che,  a loro avviso,  arrivano dal dialogo che i diversi partiti libanesi stanno portando avanti sotto l’egida del Presidente della Repubblica Michelle Suleiman. Secondo le ONG, mantenendo un ruolo neutrale, i palestinesi possono fare pressioni politiche sulle diversi parti affinché siano riconosciuti quei diritti elementari  che permetterebbero una migliore integrazione nella società libanese.

Tra i risultati di questo timido cambiamento di clima le associazioni palestinesi registrano il riconoscimento dello status di profughi ad alcune migliaia di palestinesi  che ne erano privi, l’apertura il 15 maggio 2006 della sede dell’OLP a Beirut e la presa in carico della situazione dei profughi da parte dell’ex Ambasciatore libanese all’ONU, Khalil Makkawi.

 

Ma le condizioni sono quelle di un popolo che lotta per il ritorno ai villaggi distrutti a partire dal ’48, nelle case di cui conservano ancora oggi le chiavi e gli attestati di proprietà. L’ambasciatore dell’OLP a Beirut Abu Meshal ha tenuto a sottolineare che la presenza dei palestinesi in Libano è solo momentanea e che, pur rispettando la sovranità e le leggi libanesi e pur chiedendo il rispetto dei diritti fondamentali, i profughi non chiedono la cittadinanza libanese, ma vogliono che sia garantito loro il diritto al ritorno, che riguarda anche 6 milioni di palestinesi sparsi in tutto il mondo.  

Il diritto al ritorno è stato ricordato da tutti i rappresentanti dei Comitati Popolari che il Comitato ha incontrato nei campi, un diritto sancito dalla Risoluzione 194 dell’ONU, che non è mai stata applicata. 

 

Facendo riferimento alla situazione nei Territori Occupati, Abu Meshal ha affermato che sono in corso in Egitto tentativi di ripresa di un dialogo fra tutti i partiti palestinesi.

E’ certamente visibile che le divisioni politiche interne in Palestina si riflettono e indeboliscono gli equilibri interni anche alla realtà dei palestinesi della diaspora. Gli incontri separati con i diversi partiti hanno fatto emergere come l’unità sia necessaria perché i palestinesi possano costituire un effettivo gruppo di pressione sui temi dei diritti civili e del diritto al ritorno.

 

A minacciare l’unità dei palestinesi dei campi ci sono anche i tentativi di infiltrazioni da parte di gruppi islamici di ispirazione qaedista, da cui i palestinesi prendono ogni distanza. Lo ha ribadito il Comitato Popolare di Nar El Bared che ha definito la battaglia del 2007 tra Fatah Al Islam e l’esercito libanese come una “seconda Naqba” per i palestinesi del campo. A dimostrare che l’influenza dei gruppi qaedisti nei campi aumenta in maniera crescente ci sono anche gli scontri scoppiati nel campo di Eine el Ewe, che non fanno che scuotere gli equilibri interni e dividere i palestinesi fra loro, motivo per cui anche il responsabile in Libano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Marwan Abdulal, ha espresso la preoccupazione per tutti i campi, e affermato che la leadership palestinese sta tentando di evitare le infiltrazioni di gruppi esterni nei campi.

 

Intanto il campo di Nar El Bared attende ancora che il governo di Sinora sblocchi i fondi dei paesi donatori, dopo che all’approvazione del piano per la ricostruzione presentato dagli ingegneri palestinesi non segue ancora l’inizio della ricostruzione stessa. Il risultato è che migliaia di palestinesi che sono tornati al campo sono stipati ancora nei containers dell’UNRWA.

 

Il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila ha incontrato anche i rappresentanti di alcuni partiti libanesi; particolarmente interessante è stato l’incontro con Nawaf Al Massawi, responsabile esteri di Hezbollah, che ha evidenziato gli elementi comuni tra le forze della resistenza libanese e palestinese. Al Massawi ha affrontato nel suo intervento alcuni punti, non ultimo la questione della resistenza armata di fronte all’occupante, che ha permesso a Hezbollah di riportare un successo importante di fronte all’aggressione israeliana del 2006. “La resistenza è l’espressione più alta della lotta di un popolo” ha detto Al Massawi, che ha aggiunto che ogni ordine di privare delle armi la resistenza libanese è un ordine di Israele, che occupa la zona a sud del fiume Litani, quella delle Fattorie di Sheeba. Hezbollah non accetta che l’Amministrazione USA, i governi europei e il governo israeliano si impongano nell’agenda politica libanese. E di fronte a una comunità internazionale che appoggia Israele, e anche di fronte ai negoziati tra ANP e Israele, che hanno sempre portato a un nulla di fatto per i palestinesi, la resistenza è l’unico strumento per la liberazione della Palestina e contro un embargo che ha messo in ginocchio la popolazione di Gaza.

 

Anche nell’incontro con il Partito Comunista Libanese è stata sottolineata la necessità di un piano della sinistra palestinese che faccia pressione per l’unità della resistenza. Alla resistenza libanese il Partito Comunista ha dato un grande contributo, in un quadro particolarmente difficoltoso per una forza laica in un sistema come quello libanese a base confessionale.

 

Sia i comunisti libanesi, sia Hezbollah, sia il deputato del partito nasseriano Osama Saad, che la delegazione ha incontrato a Sidone, hanno affermato la necessità che in Libano sia superato il sistema confessionale, permeabile alle influenze esterne e foriero di accordi fragili.

Perplessità sul “dialogo interlibanese” sono state espresse anche dal direttore del quotidiano As Safir, Talal Salman, che ha espresso l’augurio che il Libano stabilisca finalmente chi è amico e chi nemico del paese, aggiungendo l’auspicio che, finché continuerà a scorrere sangue palestinese, Israele non sarà più alleato del Paese dei Cedri.

 

La delegazione del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila ha costituito un momento importante di denuncia e di solidarietà ai profughi palestinesi in questo 60° anniversario dalla Naqba, in occasione del quale in Italia tanti comitati, associazioni e partiti stanno promuovendo la Campagna 2008 Anno della Palestina, un 2008 che è passato per decine di iniziative territoriali, per il successo del boicottaggio della Fiera del Libro di Torino dedicata a Israele, e che si concluderà con una grande manifestazione nazionale per una pace giusta che porti alla nascita di uno Stato unico, laico e democratico sulla terra di Palestina.

 

La presenza annuale in Libano del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila è la testimonianza, nata dalla felice intuizione del nostro compagno Stefano Chiarini, che finché la Palestina sarà sotto occupazione, e finché i profughi saranno costretti all’esilio, ci sarà qualcuno in Italia e nel mondo che sa di indirizzare la propria solidarietà, il proprio sostegno e il proprio impegno dalla parte giusta.   

 

Il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila

 

 

 

Pubblichiamo di seguito il discorso che la parente di una vittima del massacro di Sabra e Chatila ha fatto in occasione del 26° anniversario del massacro, nel piazzale che ospita la fossa comune.

 

Cari amici ospiti che siete venuti dall’Europa, in particolare dall’Italia, e dalle altre parti del mondo, solidali con le vostre vive coscienze con la nostra causa

Cari familiari che partecipate alla commemorazione di questo terribile massacro commesso nei nostri confronti dai terroristi criminali sionisti nel 1982 questi criminali hanno trasformato le nostre vite, le nostre case, le nostre giornate, le speranze dei nostri bambini, in sangue versato sulle strade, in corpi macellati, in un pianto continuo, in macerie, perché il massacro di Sabra e Chatila diventi testimone della loro aggressione e del loro terrorismo contro i palestinesi e i libanesi, perché la nostra colpa è essere un popolo che vuole vivere sulla sua terra in pace, senza la presenza dell’occupazione, il suo terrorismo, i suoi massacri.

Oggi sono passati 26 anni dal massacro si Sabra e Chatila, e noi affermiamo di essere più determinati a realizzare i nostri legittimi diritti; il nostro grido alla comunità e alla giustizia internazionali, ovunque esse si trovino nel mondo, è di punire i responsabili di questi crimini contro l’umanità.

Oggi esprimiamo il nostro amore e la nostra stima per gli amici che vengono da lontano in questo posto, che accoglie i nostri martiri, perché confermano che le vive coscienze di questo mondo non smetteranno di condannare i criminali sionisti protetti dalle forze egemoniche, che non hanno nessun rimorso, umano o morale.

Da questo luogo salutiamo con tanto amore l’anima di un nostro grande combattente, Stefano Chiarini. La sua memoria rimarrà nei nostri cuori e nelle nostre menti; mai dimenticheremo il suo lavoro per fondare il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila. Stefano ha lottato fino all’ultimo respiro contro l’ingiustizia e lo sfruttamento. Come familiari delle vittime noi diciamo che lui è presente fra di noi, e che la sua anima vola sulle nostre teste.

Noi, familiari delle vittime del massacro di Sabra e Chatila, chiediamo a tutti gli interessati di trasformare questo luogo che abbraccia i nostri martiri in un mausoleo degno di loro e che sia testimone della ferocia dei criminali responsabili del massacro.

Sentiamo il dovere di ringraziare il Comune di Gobeiri e il suo sindaco Abu Said Al Khanza per gli sforzi che ha fatto e sta facendo.

Sabra e Chatila continuano ad aspettare la vittoria del diritto sull’ingiustizia perché sia fatta giustizia contro i criminali, e riconfermiamo la nostra convinzione di essere dalla parte del diritto, della giustizia, della vittoria, per la restituzione dei nostri diritti, malgrado il terrorismo sionista che ci minaccia.

Questo intervento è un ringraziamento per voi, per i nostri amici, con la promessa ai nostri figli che la loro causa e la loro memoria rimarrà con noi, specialmente in queste dure e difficili condizioni che stiamo attraversando. Diciamo a tutti che siamo pieni di sofferenza e di speranza. La causa principale delle nostre sofferenze è l’occupazione. E la nostra speranza si basa sulla legittimità dei nostri diritti, sulla nostra resistenza, e sulla solidarietà.

Quindi un ringraziamento sincero dai nostri cuori ai vostri cuori e alle vostre coscienze, nella speranza che tramite voi sarà trasmessa a quelle coscienze libere e vive in questo mondo questo interrogativo:

se uccidere un uomo è un grave e imperdonabile crimine, uccidere un popolo pacifico è una questione di cui si può discutere?

 

 

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