Scacco matto all'America, di Luca Lauriola.

SCACCO MATTO ALL' AMERICA E A ISRAELE
Fine dell'ultimo Impero
di Luca Lauriola
Edizioni Palomar, Bari 2007

 

Il fine di questa interessante ricerca storico-politica è quello di dimostrare che gli Stati Uniti non sono più la maggiore potenza militare, economica e scientifica del mondo, nonostante quanto politici e intellettuali continuino a sostenere. L'intesa strategica raggiunta tra Russia, Cina e India configura una nuova area geopolitica alternativa in grado di scalzare economicamente, scientificamente e militarmente l'attuale dominio politico dell'asse Usa-Israele.

 

Da www.eurasia-rivista.org

Luca Lauriola è stato inviato speciale e vicedirettore del “Popolo”, quotidiano della Democrazia Cristiana. Ha visitato numerosi paesi, tra cui URSS, India, Stati Uniti e Cina. Alcuni suoi articoli sono stati pubblicati sul “Quotidiano del Popolo” di Pechino. E’ stato membro della Consulta Nazionale per l’economia e per la ricerca scientifica della DC; ha curato per la RAI alcuni programmi di divulgazione scientifica. Nel 1976 il Centro Europeo per il Progresso Economico e Sociale gli ha assegnato il Premio Europeo di Leader d’Opinione.

In questo libro Lauriola intende dimostrare alcune tesi che possono essere schematicamente riassunte nei termini seguenti:

1) gli USA non sono più la maggiore potenza mondiale;
2) la potenza tecnologica russa supera oggi quella statunitense;
3) l'intesa strategica tra Russia, Cina e India configura un'area geopolitica alternativa a quella statunitense;
4) gli USA si trovano in una gravissima crisi finanziaria ed economica che prelude ad un vero e proprio crollo;
5) in tale situazione, la potenza statunitense è “smarrita e impazzita”, sicché Mosca, Pechino e Nuova Delhi la trattano cercando di non provocare reazioni che potrebbero causare catastrofi mondiali;
6) l'amministrazione Bush prosegue imperterrita verso il precipizio, inventando continuamente menzogne che giustifichino la funzione mondiale degli USA;
7) le condizioni di vita di gran parte della popolazione statunitense sono simili a quelle di molti paesi sottosviluppati;
8) l'immagine odierna degli USA non è un'eccezione della loro storia, ma riproduce fedelmente quella di sempre (dal genocidio dei Pellirosse al terrorismo praticato in Vietnam);
9) negli USA, un ruolo politico eminente viene svolto da quella medesima lobby messianica che aveva primeggiato nella nomenklatura sovietica.

Lauriola fa notare come nei rapporti di forza internazionali si sia verificata, negli ultimi dieci anni, una situazione nuova: gli USA sono avviati verso un declino irreversibile, mentre la Russia non è più sola ad opporsi alla potenza statunitense, ma è fiancheggiata dalla Cina e, secondo modalità diverse, anche dall'India. “Mosca, avendo da sempre mirato a raggiungere unacapacità di difesa superiore alla capacità di attacco del suo storico rivale, ha potuto e saputo concentrare le risorse finanziarie e umane disponibili in pochi ma fondamentali settori di valenza strategica. Le industrie militari e le scuole di ingegneria russe sono organizzate con criteri di efficienza superiori a quelli adottati negli analoghi settori privati americani. (…) L'insieme tecnico-industriale della produzione bellica americana sta rivelando invece limiti gravi, insuperabili, connessi con la natura stessa del sistema produttivo statunitense” (p. 16).

L'Autore passa quindi a trattare della forza militare russa, suddividendo l'argomento in tre parti: 1) il confronto delle armi russe con quelle statunitensi nella situazione attuale, 2) i rispettivi mezzi bellici di offesa e difesa di imminente introduzione (pp. 16-27), 3) i cosiddetti “scudi spaziali” (pp. 42-77). Per quanto riguarda la potenza militare strategica cinese, l'Autore, basandosi sia su analisi di diversa provenienza, giunge alla conclusione che la Cina “potrebbe difendersi anche a colpi di bombe nucleari se investita da tutta la potenza classica e atomica americana, non potendo l'America mai combattere sul territorio cinese con le sole sue armi convenzionali” (p. 33). In ogni caso, il sistema antimissilistico statunitense potrebbe trovare una adeguata risposta nell'alleanza russo-cinese. Questa alleanza si è espressa in maniera eloquente nelle esercitazioni congiunte russo-cinesi, ufficialmente motivate dall'esigenza di fronteggiare eventuali minacce terroristiche, ma in realtà “finalizzate all'addestramento di gruppi avanzati dei due eserciti in contrapposizione alle forze militari americane e giapponesi, che aumentano la pressione sulla Cina facendo perno su Taiwan” (p. 37).

L'alleanza instauratasi tra Russia e Cina “investe l'intero orizzonte scientifico, tecnologico e industriale dei due Paesi, nel comune intento di rendere la potenza complessiva dei loro sistemi capace di fronteggiare e vincere, nei prossimi anni, la sfida globale dell'America nei loro confronti senza rischio di guerra” (p. 35). Nel quadro dell'alleanza tra potenze eurasiatiche si inseriscono le relazioni tra Cina e India. L'India attribuisce grande importanza all'accordo strategico russo-cino-indiano che è stato stretto fra le tre potenze nel vertice di Vladivostok del giugno 2005.

Questa intesa mira a costruire una gigantesca area produttiva alternativa alla supremazia americana. In altre parole, Russia, Cina e India si preparano per realizzare un sistema alternativo a quello americano, spostando nel continente eurasiatico il baricentro geopolitico del mondo. Scartata l'ipotesi di uno scontro nucleare tra gli Stati Uniti e il fronte russo-cinese, che si concluderebbe con la distruzione reciproca di entrambi gli schieramenti, l'Autore prende in considerazione il più realistico scenario di guerre regionali, combattute con armi convenzionali, in aree “teoricamente conflittuali” come la costa asiatica del Pacifico (Corea e Taiwan), l'Asia Centrale e soprattutto il Vicino Oriente. Egli si dichiara certo che, “al momento in cui Russia e Cina lo ritenessero opportuno, doterebbero dei loro migliori vettori antiaerei qualsiasi paese musulmano che, nemico degli USA e di Israele, non intendesse cedere alle minacce statunitensi” (p. 91), sicché sarebbe proprio il Vicino Oriente a costituire lo scenario della sconfitta di Washington e a vedere la nascita dell'unico Stato in Palestina.

Persuaso che gli USA stiano perdendo la loro superiorità anche nel campo economico, l'Autore passa quindi ad analizzare la strategia che ha consentito al supercapitalismo americano di controllare gran parte dell'economia mondiale, individuando i passaggi fondamentali di tale strategia nei punti seguenti.
1) Attraverso la privatizzazione delle strutture economiche pubbliche, presentata come indispensabile per ottenere gli aiuti dal FMI, dalla Banca Mondiale e dall'Organizzazione Mondiale del Commercio, agli Stati viene imposto di rinunciare all'autonomia nella gestione del settore economico.
2) Attraverso l'apertura delle frontiere al “libero commercio mondiale”, le multinazionali ottengono la possibilità di investire nelle nuove “colonie” e di immettere sul mercato prodotti a prezzi competitivi.
3) Grazie alla liberalizzazione dell'economia, garantita dalle istituzioni internazionali, vengono acquistate quote azionarie di maggioranza e si acquisisce il controllo dei sistemi finanziari nello Stato ospitante.
4) Attraverso l'acquisizione del cont
rollo dell'informazione in un determinato paese, si impedisce che la cosiddetta opinione pubblica possa essere informata di quanto sta avvenendo.
5) Attraverso procedure di corruzione e di ricatto nei confronti dei dirigenti dei più importanti gruppi politici e imprenditoriali, viene agevolato l'ingresso dei gruppi economici statunitensi.
6) Vengono promosse produzioni televisive, cinematografiche, musicali ecc. idonee ad americanizzare la mentalità e i costumi del paese e a diffondere la mitologia della superiorità militare ed economica statunitense.
7) Alle forze armate del paese viene assegnata una funzione subalterna nel quadro delle strutture militari statunitensi, al fine di impedire ogni tentativo di uscita da sotto il controllo straniero.
8) Il paese colonizzato viene indotto ad estendere le privatizzazioni anche alla sanità, alla scuola e alle infrastrutture. Caso esemplare citato dall'Autore è quello dell'Italia, dove è stato privatizzato il settore delle Partecipazioni Statali.
9) I partiti di sinistra vengono trasformati in partiti riformisti che operano nella stessa logica delle forze politiche di orientamento liberale.

Questa strategia, ideata dagli USA per il controllo dell'economia mondiale, non impedisce tuttavia che alcune potenze stiano preparando la disfatta economica statunitense. La Cina è una di queste. Questa tesi potrà sembrare strana, qualora ci si limiti a constatare che la Cina ha aperto le proprie frontiere ai capitali stranieri. Secondo l'Autore, si è trattato di un intelligente compromesso, inteso ad accelerare la crescita economica e l'innovazione tecnologica senza che la guida politica perdesse il controllo del sistema. “Poiché le multinazionali erano ansiose di operare in Cina, – scrive Lauriola – Pechino ha dato loro il benvenuto, nella certezza di non diventarne vittima, ma di utilizzarle a proprio vantaggio inserendo nei processi innovativi l'immenso patrimonio umano e di capacità lavorative, scientifiche, tecnologiche e 'morali' ereditato dalla precedente gestione maoista” (p. 115).

L'Autore individua il senso dell'attuale politica cinese nel perseguimento di una strategia di sviluppo che accetta sì la sfida della globalizzazione, “ma in uno spirito e secondo una 'morale politica' completamente diversi da quelli americani” (pp. 115-116). Per quanto riguarda l'altra grande potenza asiatica, l'India, quest'ultima non solo ha superato ogni diffidenza nei confronti della Cina, accordandosi con essa nel 2005 per rafforzare la collaborazione in campo economico, militare e tecnologico, ma ha anche firmati importanti accordi strategici di natura militare con la Russia. E' vero che Washington vorrebbe coinvolgere l'India nel disegno di isolare la Russia e la Cina nei settori economico e militare, ma secondo l'Autore “si tratta di iniziative destinate al fallimento” (p. 139). L'accordo stipulato fra USA e India nel settore nucleare, egli scrive, “è certamente un buon affare sia per l'America (…) sia per l'India (…), ma non smuove di un passo la posizione internazionale di Nuova Delhi” (ibidem), che conserva la propria totale indipendenza politica e rifiuta di farsi coinvolgere nelle manovre statunitensi. D'altronde l'India, che partecipa alle esercitazioni militari con gli eserciti dell'Est e del Nord asiatico, ha partecipato alla riunione dell'Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, “strumento strategico, economico e militare per sfrattare l'America dal continente asiatico” (p. 142) e si propone, assieme alla Russia e alla Cina, di realizzare la transizione verso un mondo multipolare.

Per la Russia, per la Cina e in parte anche per l'India, riveste un'importanza strategica enorme l'area centroasiatica. Nel 2007 è stato stipulato un accordo tra la Russia, il Kazakistan e il Turkmenistan, “tre paesi che assommano un potenziale energetico pari a quello mediorientale” (p. 144), in grado di soddisfare il fabbisogno dell'Europa. Ma ancor più importante di questo accordo è stata, per quanto riguarda l'Asia Centrale, la nascita dell'Organizzazione per Cooperazione di Shanghai, della quale fanno parte come membri i paesi centroasiatici e, come osservatori, anche la Mongolia, l'Iran, il Pakistan e l'India. Come ci ricorda Lauriola, l'Organizzazione di Shanghai ha già inferto “un primo pesante ridimensionamento alle ambizionidegli Stati Uniti” (p. 146), ottenendo lo smantellamento delle basi militari americane in Uzbekistan e in Kirghizistan.

L'obiettivo di fondo dell'Organizzazione di Shanghai, spiega Lauriola, è di “valorizzare le risorse umane e naturali dell'intera regione centrasiatica, accelerandone l'inserimento nel vasto scenario geografico che comprende da un lato Russia, Cina e India e dall'altra l'Iran e l'intero Medio Oriente, e bloccare il proposito di Washington di portarla sotto il controllo politico ed economico americano e israeliano” (p. 147). Un altro paese che in Asia occupa una posizione di rilevanza strategica è l'Iran. “Soggetto di primo piano della rivoluzione geopolitica in atto tra la piattaforma persiana e l'Asia centrale” (p. 148), l'Iran punta a diventare inattaccabile attraverso uno sviluppo scientifico e tecnologico che comporta anche la realizzazione di un'industria nucleare autonoma. L'Iran, infatti, intende pagare le importazioni dei prodotti necessari al proprio sviluppo vendendo all'estero la maggior quantità possibile di petrolio e di gas; è per questo che esso mira a progettare e costruire i reattori nucleari. Gli Stati Uniti, come è noto, vogliono che l'Iran rinunci totalmente all'arricchimento dell'uranio. Il desiderio degli USA sarebbe quello “di condizionare l'intera politica economica dell'Iran, di tenerlo al guinzaglio e di impedirgli ogni influenza nelle battaglie che palestinesi e libanesi sostengono per liberarsi dall'oppressione e dalle minacce e di Israele” (p. 150). Se Ahmadinejad osa opporsi alle ingiunzioni americane, argomenta Lauriola, è perché ritiene di avere delle buone carte da giocare. Decisivo è il fatto che Mosca abbia già cominciato a consegnare all'Iran il sistema di difesa antiaerea Tor M1 ed abbia anche deciso di fornire i primi due missili SAM 300, capaci di abbattere aerei a 300 km di distanza. Per quanto riguarda l'apporto strategico dell'Iran nel Vicino Oriente, Lauriola ipotizza che il ruolo di questo paese possa convergere con quello della Turchia, che sta dando segnali crescenti di raffreddamento nei confronti degli USA e di Israele, mentre una più stretta collaborazione dell'Iran con la Siria e perfino con l'Arabia Saudita, in concomitanza con l'espulsione degli USA dall'Iraq, costituirebbe il nucleo centrale dell'integrazione, se non della fascia geopolitica islamica, almeno di una rilevante parte di essa. Lauriola si dice certo che “Mosca e Pechino non permetteranno mai che il Medio Oriente cada sotto il dominio statunitense” (p. 164).

Dall'osservazione di questo quadro complessivo, caratterizzato essenzialmente dallo sviluppo della Cina e dell'India e dal ruolo di protagonista della nuova Russia, Lauriola deduce che “il baricentro della potenza politica ed economica mondiale si [è] spostato dall'area euroamericana a quella eurasiatica” (p. 179) e che “è cominciata l'era in cui la dinamica economica del mondo sarà sempre più controllata da Mosca, Pechino e Nuova Delhi” (p. 181).

Nell'ultima parte del libro vengono ricostruite le tappe fondamentali dell'espansione imperialistica statunitense, a partire dalla guerra contro il Messico per il possesso del Texas. Fino al 1846, scrive Lauriola, “la logica m
ilitare americana è ancora di tipo espansionistico, ma la brama di dominio e di nuove conquiste nel gruppo dirigente dello Stato più forte del nuovo mondo si è già 'intellettualmente' ben delineata e formata” (p. 188). A riprova di ciò, l'Autore cita una illuminante frase di Herman Melville, nella quale troviamo sintetizzata quell'ideologia del “destino manifesto” che presiede oggi più che mai alla politica statunitense di “esportazione della democrazia” e di imposizione dei “diritti umani”. “Noi americani – dice Melville in un empito di ispirazione biblica – siamo il popolo eletto, l'Israele del nostro tempo. Portiamo l'arca della libertà nel mondo” (p. 188).

Dopo aver ricordato le due maggiori imprese militari condotte sull'attuale territorio statunitense – la guerra contro la secessione degli Stati del Sud e lo sterminio delle popolazioni autoctone, “il più grande genocidio conosciuto della storia” (p. 198) – l'Autore effettua la rassegna delle più rilevanti guerre d'aggressione statunitensi. Decisi ad applicare concretamente la dottrina enunciata nel 1823 dal presidente Monroe (quella dottrina dell'”America agli Americani” che, mirando ad estromettere ogni presenza europea nel nuovo continente, rivendicava agli Stati Uniti il diritto di organizzarlo e dominarlo a loro piacimento), nel 1898 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Spagna, addebitandole l'affondamento di una corazzata che in realtà si era autoaffondata per procurare un opportuno casus belli, e si impadroniscono di Cuba, di Guam, di Portorico e delle Filippine. In tal modo la potenza statunitense “si proiettava per la prima volta non solo oltre l'America settentrionale, in direzione sud, ma anche nel Pacifico” (p. 200), verso l'Asia.

A questo punto il lettore si aspetterebbe che l'Autore si occupasse della partecipazione americana alle due guerre mondiali, ovvero dei due episodi storici che hanno consentito agli USA di diventare, in seguito alla conquista militare di mezza Europa, una superpotenza mondiale. Invece Lauriola ritiene opportuno passare direttamente alle imprese militari compiute dagli USA dopo il 1945; e questo per motivi puramente moralistici, che egli espone in questi termini: “Si può confrontare la 'statura morale' degli Stati Uniti con quelle di Germania e Russia (…) solo dopo aver completato la descrizione dell'espansione imperiale americana fino ai giorni nostri” (p. 202). Viene così ripercorsa la sequela delle guerre di conquista intraprese dagli USA nella seconda metà del Novecento. Si comincia con la guerra di Corea, nella quale “l'Asia cominciò a far capire agli americani (…) che le capacità strategiche e militari dell'America sono grandi, ma limitate se confrontate con le dimensioni demografiche, economiche e militari del più grande continente del mondo” (p. 207). Nel quadro di una strategia che mira a costruire una cortina di ferro attorno alla Cina, si prosegue con la guerra del Vietnam, che però si risolve “nella più sonora sconfitta di tutta la storia degli Stati Uniti” (p. 208). Il campo successivo dell'offensiva americana in Asia è l'Indonesia, un paese a guida nazionalista che ha buoni rapporti con la Cina e con l'URSS ed è schierato coi paesi non allineati del Terzo Mondo. Grazie al regime militare di Suharto, responsabile dello sterminio di oltre mezzo milione di indonesiani, gli USA si impadroniscono dell'economia del paese, che viene sottoposto alle cure del FMI e paurosamente impoverito. L'attenzione dell'Autore si sposta poi sull'America latina. Per esemplificare le tecniche applicate dagli USA al continente latinoamericano, Lauriola sceglie di occuparsi del Guatemala. Qui Washington intervenne nel 1951 contro il legittimo governo di Arbenz, il quale “rappresentava una minaccia potenziale per il capitalismo americano presente nel paese, in particolare per United Fruit” (p. 223), la multinazionale che si era impadronita del Guatemala. Nel corso del mezzo secolo successivo, in questo paese di dieci milioni di abitanti furono sterminate oltre 200.000 persone. Metodi analoghi a quelli ampiamente descritti per il Guatemala sono stati usati in quasi tutti i paesi dell'America latina ed hanno causato oltre un milione di morti in un cinquantennio.

Per quanto concerne il tentativo statunitense di dominare il Vicino e Medio Oriente, l'autore inizia con l'esporre i motivi che già nel 1951, all'epoca di Mossadeq, indussero gli USA a ingerirsi nelle faccende interne dell'Iran. Gli scopi principali dell'intervento statunitense nell'area erano già allora i seguenti: “porre sotto controllo il petrolio iraniano, assieme a quello saudita e iracheno; prepararsi, dopo la creazione nel 1948 dello Stato di Israele, a estendere il dominio politico su tutta la vasta area che va dalle coste mediterranee della Palestina fino all'India. E, oltre l'India, che inglesi e americani sapevano ormai essere diventata ingovernabile da Londra e Washington dopo Gandhi, all'Indocina, al Giappone, alla Corea del Sud, per completare quello che Mosca aveva definito fin dall'inizio della Rivoluzione sovietica la determinazione imperialista di tenere l'URSS, come poi anche la Cina comunista, sotto 'accerchiamento capitalistico' ” (p. 241).

Anche l'attacco contro l'Afghanistan seguito all'11 settembre, al di là del ridicolo pretesto accampato dagli aggressori, viene spiegato da Lauriola con il progetto degli USA di instaurare il loro dominio sull'Asia centrale. Tuttavia, egli scrive, “dopo che Russia e Cina si sono organizzati politicamente, economicamente e militarmente per impedire un accesso americano negli Stati dell'Asia centrale, l'America non ha le forze militari, i soldi e il consenso di Mosca e Pechino per battere talebani e alleati e installarsi permanentemente in quel paese” (p. 251). A questo punto l'Autore si chiede quali intese si siano instaurate, dopo l'aggressione americana all'Afghanistan, tra Cina, India e Pakistan.

Per quanto riguarda in particolare quest'ultimo, egli si chiede se Musharraf, accusato da Washington di essere troppo tollerante con le milizie talebane che si addestrano e si armano in territorio pakistano, sia “disposto a regalare il suo paese all'America, sapendo che una volta servita sarebbe fatto fuori” (p. 251) e arriva addirittura a ipotizzare una rottura dei rapporti di Islamabad con gli Stati Uniti. La rassegna delle aggressioni statunitensi si conclude con quella che ha avuto direttamente come obiettivo l'Europa, con la distruzione della Federazione Jugoslava e i bombardamenti “umanitari” della NATO, un'impresa criminale che si è avvalsa della complicità del Vaticano e dell'attiva connivenza del governo collaborazionista di Roma, presieduto all'epoca da Massimo D'Alema.

Per quanto concerne l'Italia, “misera gioiosa” colonia americana, il lettore non potrà non sottoscrivere gli auspici formulati dall'Autore: “che si rifiuti di restare al servizio di Washington e Londra, di fungere da difensore a oltranza di Israele, massacratore con Washington e Londra di Palestinesi e di centinaia di migliaia di Arabi e musulmani” (p. 285). Purtroppo però la realtà attuale è quella che abbiamo sotto gli occhi e che Lauriola riassume in questi termini: “Con il corteo di quasi tutti i partiti che formano l'attuale schieramento politico del Paese, da AN ai DS, l'Italia non solo ha assistito silente a tutti i massacri anglo-americani, ma ha anche accettato senza renitenze una radicale involuzione della funzione della NATO di cui fa parte, dall'America trasformata in una struttura militare di mercenari al servizio permanente dei suoi interessi imperiali” (p. 283). E vorrei terminare, a proposito di “i
nteressi imperiali” con un'osservazione sul termine “impero”, che in tutto il libro (significativamente sottotitolato Fine dell'ultimo impero) viene usato per indicare l'egemonia mondiale della superpotenza statunitense. L’impero, come insegna Carl Schmitt, “non è semplicemente uno Stato più grande”; e, se è vero che ad ogni impero corrisponde un grande spazio, è anche vero che non ad ogni grande spazio corrisponde un impero.

Per quanto riguarda la sua essenza, l’impero è propriamente un ordinamento giuridico-politico che, ponendosi al di sopra di una pluralità di gruppi nazionali e confessionali, svolge una funzione regolatrice, garantendo l’armonia e l’equilibrio delle diverse parti dell’organismo imperiale; animato da una sacralità trascendente che si riflette nella visione spirituale comune ai popoli della comunità imperiale, l'impero adempie ad un compito anagogico, in quanto agisce come guida verso il bene e la felicità; è garanzia di ordine e di pace, in quanto è sua la forza “che trattiene” (katéchon) la manifestazione apocalittica del caos e dell’iniquità. Se l’idea di impero corrisponde a tali caratteristiche essenziali, è evidente che il sistema egemonico statunitense non ha proprio nulla di imperiale.

Se mai, il potere esplicato dagli Stati Uniti costituisce una contraffazione parodistica dell’impero, poiché, mentre scimmiotta e sfigura alcuni esteriori aspetti formali di quest'ultimo, per quanto concerne la propria essenza rivela invece un orientamento diametralmente opposto a quello imperiale. Confrontato con la realtà dell’impero, quale essa emerge dalla fenomenologia storica, il concetto di “impero americano” appare dunque come un vero e proprio ossimoro. La fine del potere mondiale statunitense annunciata dal libro di Lauriola non è dunque la fine di un impero, ma, più propriamente, la fine di un imperialismo.

Luca Lauriola, Scacco matto all'America e a Israele. Fine dell'ultimo Impero, Palomar, Bari 2007

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