Sfratti a Gerusalemme est: la storia della famiglia Sub Laban

Bethan StatonMEE. Per la famiglia Sub Laban, la Città Vecchia di Gerusalemme è stata una dimora molto amata per molti anni. In una via laterale nei pressi della moschea di Al-Aqsa e vicino a dove si aggirano i turisti, la loro casa è simile alle altre: una piccola porta sistemata tra le antiche pietre di Gerusalemme, dove Nora e Mustafa vivono con i loro figli e nipoti.

Ma la famiglia potrebbe non avere più  la sua casa. Dato che organizzazioni israeliane si sono mosse nel tentativo di spostare famiglie ebraiche nella Città Vecchia, i Sub Laban hanno ricevuto un ordine di sfratto. Si tratta dell’ultimo – e forse più serio – sviluppo di una lotta durata decenni.

“Mia nonna ha affittato questa casa dal governo giordano nel 1953 e mia madre ha vissuto qui da quando è nata”, racconta a Middle East Eye Ahmad Sub Laban, che lavora anche come ricercatore sul campo per Ir Amim [organizzazione di sinistra che si occupa del conflitto israelo-palestinese a Gerusalemme. N.d.tr.], una ong di Gerusalemme. La minaccia di espulsione, afferma, pende sulla casa dal 1978, ma la famiglia ha ricevuto il suo ultimo ordine di sfratto lo scorso ottobre. Un ricorso contro quest’ordine rimane pendente presso il tribunale, ma ciò non ha impedito alle autorità locali di presentarsi per sloggiare la famiglia tre volte negli ultimi sei mesi.

L’ultima volta che la polizia è arrivata per dirgli che dovevano andarsene è stata il 15 marzo. Da allora, attivisti, Ong e persino delegazioni internazionali si sono riunite nella casa e una procedura legale d’urgenza per il momento ha sospeso lo sfratto. Ma è chiaro che il futuro della famiglia è lungi dall’essere assicurato. Dagli anni ’80 sono state intentate contro di loro cinque azioni legali, mettendo in discussione il loro diritto ad una locazione protetta sostenendo, per esempio, che non hanno vissuto in modo continuativo nella casa. Questo ha voluto dire decenni di tensione e incertezza che hanno caratterizzato l’infanzia dei bambini e che non sembrano destinate a terminare in breve tempo.

“Immaginate una famiglia in cui i genitori debbano andare continuamente al tribunale israeliano, dove devono spendere tutti i loro soldi per pagare un avvocato solo per proteggere la loro proprietà,” dice Ahmad a MEE. “Ricordo quando ero giovane, i miei genitori dovevano sempre andare in tribunale. Era terribile, ogni volta. Ed ora io sto facendo lo stesso.”

Il problema degli sfratti non è raro nella Città Vecchia di Gerusalemme. Molte organizzazioni israeliane, spesso appoggiate da numerosi donatori americani, lavorano per acquisire proprietà occupate da palestinesi nella Città Vecchia per uso di ebrei israeliani, portando avanti azioni legali contro i loro abitanti per sfrattarli.

“E’ un problema in tutta la città. Ci sono circa 16 casi di sfratto pendenti a Gerusalemme, di cui cinque nella Città Vecchia,” racconta a MEE Betty Herschmann, direttrice di Relazioni Internazionali e Difesa presso Ir Amim. “Le organizzazioni [israeliane] lavorano con le autorità per identificare le case a rischio e avviare procedure per sfrattare i palestinesi dalle loro case.”

I gruppi, spiega Herschmann, tendono a lavorare per vie legali per mettere in dubbio la presenza dei palestinesi nelle loro case. La principale accusa contro la famiglia Sub Laban è che non hanno vissuto in permanenza nella casa, ma la messa in discussione contro lo status di affittuario protetto può essere fondata su varie basi: a Sheikh Jarrah – un quartiere a nord della Città Vecchia, molto ambito dalle organizzazioni di coloni – molte famiglie sono state sfrattate in base al fatto di aver effettuato ristrutturazioni illegali nelle loro case o per non aver pagato regolarmente l’affitto.

I casi di sfratto spesso sono piuttosto complessi. Ora i palestinesi a rischio di sfratto generalmente sono in regime di locazione protetta, che gli garantisce di non essere buttati fuori dalle loro case, ma che impone anche vincoli sugli interventi che possono fare negli edifici, e i loro padroni di casa sono cambiati in base allo status politico di Gerusalemme. Dopo il 1948 case di proprietà di ebrei sono state trasferite alla “Custodia Giordana delle Proprietà del Nemico”, poi, quando Israele ha occupato Gerusalemme nel 1967, sono state trasferite alla “Custodia Generale di Israele”. In alcuni casi di sfratti di particolare importanza, il contratto di affitto dell’edificio è stato trasferito di nuovo da organizzazioni di coloni come Ateret Cohanim o Nahalat Shimon.

I dirigenti di questi gruppi inseriscono le loro attività in un quadro religioso, nella prospettiva della restituzione della Città Vecchia al popolo ebraico.

“Noi risultiamo come un’organizzazione no-profit. Parte della nostra attività riguarda il rafforzamento delle radici ebraiche nella Città Vecchia e nelle aree circostanti,” dice a MEE Daniel Luria, il portavoce e direttore di Ateret Cohanim. L’organizzazione, sottolinea, non è coinvolta in questo caso, benché alcuni militanti sostengano che è stata pesantemente impegnata nel tentativo di sfrattare la famiglia.

“Nel 1967 il governo israeliano prese spunto da una vecchia norma della legge inglese chiamata ‘Legge per l’Affitto protetto”, che diceva che un arabo che vivesse in una casa che in precedenza era stata di un ebreo era un affittuario sotto protezione” dice Luria. La legge, spiega, è basata sulla ragione “etica e morale” secondo cui l’attuale residente non può essere sfrattato dalla sua casa, ma assegna anche la proprietà della casa a famiglie ebraiche che, lui dice,  la rivendichino come propria nel passato sia recente che lontano.

Nella sua argomentazione a favore di una richiesta storica e di un diritto religioso- nazionalistico, Luria ripete le opinioni di molte organizzazioni simili. Prima del 1948 molti ebrei vivevano a Gerusalemme, ma quando lo Stato di Israele è stato creato e la città è passata sotto controllo giordano, furono obbligati ad andarsene. Dopo che le forze armate israeliane hanno ripreso la Città Vecchia e i suoi quartieri orientali nel 1967, gruppi ebraici hanno tentato di riprendersi le proprietà che avevano abbandonato decenni prima, spesso come parte di un obiettivo più ampio di fare di Gerusalemme la capitale ebraica unificata di millenni fa.

“Siamo veramente un microcosmo del Sionismo in generale. Quando parliamo di tornare ad Israele nella sua totalità non intendiamo solo ritornare a Haifa e Tel Aviv. Noi pensiamo anche di tornare ai quartieri della Città Vecchia, al Villaggio Yemenita, a quello di  Simone il Giusto. Tutto questo è parte del processo di redenzione, della realizzazione del sogno sionista,” dice Luria a MEE, riferendosi ai quartieri di Gerusalemme est più comunemente chiamati Silwan e Shiekh Jarrah.

“Il popolo ebraico vuole realizzare un sogno. Questo è il cuore di Gerusalemme, non è solo un pezzo qualunque di un patrimonio immobiliare. Posso essere australiano, sono venuto qui quarant’anni fa, ma questa è la mia terra e io appartengo a questa terra,” aggiunge.

Oggi nella città, tuttavia, la narrativa del ritorno non è così semplice. Famiglie come la Sub Laban, ovviamente, ora vivono in quelle proprietà e le considerano casa loro. Come le famiglie ebraiche che una volta vivevano a Gerusalemme est, anche famiglie palestinesi sono state espulse dalla parte occidentale della città e da altre parti di Israele, con scarse speranze di tornare. E con tutta la magniloquente retorica di organizzazioni come Ateret Cohanim, esse non parlano per tutti gli israeliani, molti dei quali vedono la loro attività come molto dannosa.

“La mia critica è che questo tipo di azioni in effetti è contro gli interessi dello Stato di Israele, ” dice a MEE Yitzhar Reiter, un docente di studi mediorientali presso l’Istituto di Gerusalemme per gli Studi Israeliani. “Una volta che tu accogli le richieste di questi gruppi estremisti per la restituzione [delle case], apri una specie di vaso di Pandora di richieste palestinesi per una omologa restituzione a Gerusalemme ovest o in altre parti di Israele, e così via.”

Secondo Reiter, seguono anche le  implicazioni pratiche per lo Stato di Israele, dal problema etico dei rifugiati e delle famiglie espulse al fatto di aggirare i negoziati di pace con la creazione di una realtà “ebreizzata” in aree che i palestinesi considerano parte del loro futuro Stato.

“Ciò vuol dire rifiutare una soluzione che porti ad un compromesso su Gerusalemme est. Se analizzi i fatti sul terreno scopri che è in atto un processo di “israelizzazione” di Gerusalemme est, senza concedere piena cittadinanza ai suoi abitanti,” aggiunge.”E se questa situazione continua vedremo i palestinesi di Gerusalemme est avvantaggiare maggiormente il sistema israeliano, e quante più situazioni di fatto vengono create sul terreno tanto più ci ritroveremo un giorno con una situazione irreversibile.”

La famiglia Sub Laban e quelli che la sostengono vedono anche coloro che vogliono impossessarsi delle case, come quelli contro cui stanno lottando,  come sintomatici delle più complessive ingiustizie contro i palestinesi a Gerusalemme e in Israele. Molti residenti palestinesi, la maggioranza dei quali senza la capacità di competere con il potere politico e finanziario di queste organizzazioni, vedono gli espropri come una minaccia e un’affermazione dei diritti degli ebrei su quelli degli arabi.

“Il punto fondamentale è che, anche se il proprietario fosse stato un ebreo, loro [i palestinesi] se lo sono preso, mentre ci sono proprietà di palestinesi nella parte occidentale della città, che sono registrate in base alla legge sulle ” Proprietà degli assenti”, di cui erano proprietari dei palestinesi, ma di cui i palestinesi non possono neanche sognare di tornare in possesso,” dice a MEE Mohammed Dahleh, l’avvocato della famiglia. La legge sulle “Proprietà degli assenti” è parte della legislazione israeliana che affida alle autorità il controllo delle proprietà che i palestinesi sono stati obbligati a lasciare nel 1948. “E’ un’ipocrisia,” afferma.

Tra le persone che si radunano nella casa dei Sub Laban c’è la forte convinzione che le politiche del governo israeliano agevolino i coloni che vogliono impossessarsi delle proprietà nella Città Vecchia, quando non li appoggiano attivamente. E’ un’opinione che Luria nega risolutamente, insinuando che il governo nei fatti ostacola questa idea del ritorno degli ebrei.  Ma il controllo delle proprietà da parte del governo, per non parlare della sicurezza e della protezione che garantisce ai coloni di Gerusalemme est, solleva serie domande sul suo coinvolgimento in questi sfratti.

“Vedo che il governo non impedisce ad associazioni private di coloni di ottenere la restituzione, il riacquisto o la richiesta di beni che erano di proprietà di ebrei. La posizione del governo è di considerarla una richiesta tra parti private, arabi ed ebrei, come se la questione non fosse di pertinenza delle politiche del governo.” dice Reiter.

“Il ruolo del governo è di garantire la sicurezza e la protezione ai coloni ebrei di Gerusalemme est,” aggiunge, sostenendo che “alcuni elementi del governo” appoggiano il processo di “ebreizzazione” di Gerusalemme est, anche se le autorità non sono attivamente coinvolte nel trasferimento di proprietà delle case.

Per la famiglia Sub Laban il mese scorso è stato un altro capitolo in una lotta che sembra infinita di continue azioni giuridiche, appelli e notifiche di sfratto. Dati i tentativi dei decenni passati, non sembra probabile che la parte che sta dietro le misure di sfratto in questo caso rinunci. Ma la famiglia spera ancora di poter rimanere nella propria casa ed è determinata a continuare a lottare per farlo.

“Consideriamo questa casa come la nostra carta d’identità “dice Ahmad Sub Laban. “E’ nel cuore di Gerusalemme, ci da l’identità di gerosolimitani. E’ vicino ai luoghi sacri. Io lavoro a Gerusalemme, studio a Gerusalemme. E’ il luogo in cui abbiamo vissuto da quando siamo nati”.

(Traduzione di Amedeo Rossi)