Storie dall’assedio: si muore aspettando una casa

Gaza – Pchr. Dall’inizio della seconda intifada, nel settembre 2000, le forze di occupazione israeliane hanno parzialmente o completamente demolito 12mila case palestinesi, allontanando circa 124mila persone, tra cui 60mila bambini.

Ahmad ‘Abdallah Youssef al-Afifi, 32 anni, ha perso la sua casa di Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale, in una demolizione avvenuta nel 2003.

“Vivevo in quella casa con mia madre e mio fratello, poi dovemmo abbandonare la zona per 4 mesi, a causa degli spari che rendevano pericolosa la nostra permanenza”, ricorda Ahmad.

“Una volta la nostra casa venne colpita dagli israeliani verso le 3 del mattino. Eravamo in casa, ma fortunatamente non venne ferito nessuno. Riuscimmo a scappare. L’Unrwa riparò i danni, ma gli israeliani attaccarono la nostra casa nuovamente. Il fuoco venne aperto intensamente, e fummo costretti a dormire a casa di mia sorella. Soffrimmo molto durante quei mesi: si ruppero le finestre, vennero attaccate le cisterne d’acqua e il tetto in amianto venne distrutto.

Dopo quattro mesi di attacchi venni ferito. L’esercito israeliano si era spostato nel nostro quartiere, così portai mia madre a casa di un vicino, per maggior sicurezza. Quando lasciai la casa del vicino incappai in un carro armato e per reazione saltai dietro il muro di una scuola lì vicina: il carro armato sfondò il muro, che mi cadde addosso ferendomi alla schiena. Non potei camminare per tre mesi e dovetti restare a casa di mio fratello. In seguito a quell’incidente decidemmo di andarcene.

Affittammo un appartamento nelle vicinanze per due anni, ma la nostra intenzione era di ritornare a casa. In quel periodo mi sposai e nacque la nostra primogenita, Hala’a.

Un giorno i miei vicini mi cercarono, per dirmi che la nostra casa era stata distrutta, come anche una casa della famiglia Abu Shamallah. Le Forze israeliane di stanza nella zona, durante il loro ritiro fecero saltare in aria la nostra abitazione con l’esplosivo”.

Essendo Ahmad un rifugiato iscritto all’Unrwa, l’agenzia si interessò del destino della sua famiglia in seguito alla demolizione. “L’Unrwa si accertò della nostra situazione, e da allora ci ha elargito 100 dollari al mese per far fronte alle spese di affitto, insufficienti per un appartamento. Dovremmo spostarci ora in una nuova casa del progetto saudita, nella zona di Tel as-Sultan”.

Ahmad, sua moglie e i loro quattro bambini vivono ora in un campo profughi a Rafah, sempre in attesa di potersi trasferire in una casa da poter definire propria. Ahmad racconta che gli è stata promessa una casa nuova l’anno seguente la demolizione: “Abbiamo atteso 8 anni, e l’anno scorso hanno iniziato il progetto: prima non sarebbe stato possibile a causa del blocco. Il prossimo dicembre dovremmo trasferirci. Il progetto è lontano da qui, così i bambini dovranno cambiare scuola, e frequentarla lì nel progetto”.

La famiglia si aspetta però di dover affrontare dei problemi quando si trasferirà nella nuova casa. “Certo, siamo contenti di trasferirci in una casa che abbiamo aspettato per così tanto tempo; ma c’è un problema. Quando l’Unrwa ci ha fatto visita per accertarsi della nostra situazione eravamo solo in tre. Ora abbiamo tre bambini in più, e l’appartamento sarà troppo piccolo. Ci sono solo due stanze: poco spazio e nessuna privacy”.

Inoltre, durante gli accertamenti dell’Unrwa mio fratello non c’era, così non è stato incluso. Ora lui si è sposato e non ha una casa: abbiamo inviato un reclamo all’Unrwa, dicendo che non possiamo vivere tutti insieme, ma non abbiamo ricevuto risposta.

Siamo stati in appartamenti in affitto per quasi dieci anni, in attesa di una nuova casa. Dal giorno della demolizione ci siamo trasferiti tre volte. L’attesa è stata difficile. C’è chi muore mentre aspetta una nuova casa. Mia madre, ad esempio, è morta prima di poter vedere la nuova casa tanto attesa.

Il progetto edilizio saudita, dopo anni di attesa per le imposizioni dovute al blocco della Striscia, è finalmente stato avviato. Ma ciò sarebbe dovuto accadere anni prima, quando l’Arabia Saudita ha promesso il finanziamento”.

Ahmad non ripone alcuna fiducia nel sistema legale israeliano: “Non ho intrapreso azioni legali in seguito alla demolizione in quanto le Forze israeliane hanno distrutto molte abitazioni nella zona, senza subire conseguenza alcuna. Ci vorrebbe uno sforzo collettivo maggiore per opporsi a tutto questo. Se anche avessi presentato un reclamo so che non avrei ottenuto alcun compenso, né mi sarebbero stati resi i diritti. Spero che qualcuno riesca a presentare un reclamo contro Israele per tutte le case che ha demolito, e che la questione venga affrontata a livello internazionale”.

Ahmad spiega che subire una demolizione comporta delle conseguenze irreversibili che non possono risolversi con un compenso: “A qualcuno sono state assegnate case nuove, ma nessuno può restituirci i ricordi che abbiamo vissuto nelle nostre vecchie case. Spero che questo non succeda più, a nessuno”.

Le demolizioni massicce di abitazioni nella Striscia di Gaza attuate come misura di punizione collettiva e per imporre una “zona cuscinetto” unilaterale nelle aree di confine, violano il diritto umanitario, che proibisce il trasferimento forzato di civili e l’ingiustificata distruzione di proprietà private civili da parte della potenza occupante, come codificato negli articoli 49 e 53 della Quarta convenzione di Ginevra. La demolizione israeliana di abitazioni rappresenta una forma di punizione collettiva contro la popolazione civile, che è una violazione dell’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra.

Inoltre, l’articolo 11 (1) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr) riconosce il diritto di ciascuno a un adeguato standard di vita, che comprende una situazione abitativa adeguata. In quanto potenza occupante e firmatario del Patto, Israele è tenuto a “prendere provvedimenti adeguati per la realizzazione di tale diritto”. Inoltre, in base all’articolo 27 (3) della Convenzione sui diritti dei bambini (Crc), Israele ha il dovere di fornire assistenza materiale e programmi di supporto ai genitori nel procurare una casa ai loro bambini.

Infine, la demolizione illegale di abitazioni interferisce illegalmente con la privacy delle persone e delle loro vite familiari, in violazione con l’articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), e con l’articolo 16 (1) della Convenzione sui diritti dei bambini (Crc).

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice