Signor Hague, questo è quanto dovrà riuscire a spiegare agli israeliani

Londra – Memo. Se Israele desidera essere accettato come uno Stato normale nella famiglia delle nazioni, allora dovrà abbandonare le politiche d'Apartheid.

Gli scontri di qualche giorno fa ad Umm al-Fahim hanno riportato alla mente cosa vuol dire veramente essere cittadini palestinesi in Israele.

Sebbene il mondo sia distratto dalla controversia che affligge il proseguimento delle attività coloniali nei Territori occupati, il governo britannico non può continuare ad ignorare le pratiche di Israele contro 1,5milione di cittadini palestinesi. Sono 1/5 della popolazione e sono coloro che sopravvissero – restando saldi sulla propria terra – alla Nakba (Catastrofe del '48).

Ufficialmente, la marcia di Umm al-Fahim era stata organizzata da gruppi fondamentalisti israeliani che chiedevano di mettere al bando il Movimento islamico guidato dallo Shaykh Ra'ed Salah, detenuto da Israele.

Anche questa volta, è stato sollevato un pretesto “islamico” per giustificare un clima di intimidazione e di minaccia.

Lo scorso aprile, il centro al-Mosswa, con sede ad Haifa, scriveva in un rapporto: “Umm al-Fahim è obiettivo degli attacchi israeliani da almeno 30 anni”.

Ma Umm al-Faim non è la sola. Questa settimana, medesime provocazioni e tensioni si sono registrate a Safad, altra città a nord.

A preoccupare, non è soltanto il carattere aggressivo dei provocatori quanto il fatto che questi godano della protezione della polizia di Israele. E' sotto gli occhi di tutti la cooperazione tra questi estremisti israeliani e le autorità, che si sono fatte promotrici di una serie di leggi razziste e discriminanti contro coloro che notoriamente vengono chiamati “arabi d'Israele”.

Soltanto nell'ultimo anno, si registrano 21 disegni di legge che legittimano la discriminazione contro i cittadini arabi. Tra le ultime, vi è la proposta di revoca della cittadinanza. Qualora dovesse essere approvata, il ministro Eli Yishai promette che la applicherà immediatamente all'ex deputato palestinese Azmi Bishara e ad altri 34 cittadini arabi.

L'applicazione delle stesse leggi non è prevista per i cittadini israeliani di fede ebraica coinvolti in atti terroristici come furono Yitzhak Rabin e Yigal Amir.

La “legge sulla cittadinanza e d'ingresso in Israele” nega i diritti di cittadinanza e di residenza ai palestinesi dalla Cisgiordania e della Striscia di Gaza, molti dei quali sono sposati con cittadini israeliani.

Il governo di Netanyahu è andato oltre, proibendo qualunque commemorazione della Nakba. Dopo varie obiezioni ministeriali, la legge è passata non come una proibizione diretta della commemorazione ma attraverso la negazione di fondi pubblici nei confronti di quegli istituti finanziati dallo Stato coinvolti in attività legate alla commemorazione della Nakba.

Diventa chiaro di come una simile proposta mini la legittimità della comunità araba in termini di uguaglianza e parità di diritti a privilegio dell'idea  che una maggioranza di cittadini arabi non sia altro che una minaccia allo Stato.

A breve, il ministro degli Esteri britannico, William Hague sarà accolto dalla controparte israeliana, da Avigdor Lieberman.

Hague dovrebbe affrontare questioni che ripercorrono le dichiarazioni rilasciate nel febbraio scorso dal vice di Lieberman, Danny Ayalon, quando affermava che un dialogo tra Israele e i palestinesi avrebbe riguardato esclusivamente uno scambio di popolazioni tra le città arabe e i villaggi a nord di Israele e i blocchi di insediamenti nella Cisgiordania occupata.

Quasi si stesse qui discutendo di pavimenti e decori invece che di una popolazione titolare di diritti nazionali, umanitari e civili.

Gli scontri ad Umm al-Fahim erano inevitabili. Gli israeliani – i quali dimostrano di non aver ancora fatto propri i pensieri del XXI sec. su una condotta civile – sperano sempre che i palestinesi possano essere cacciati seguendo simili procedure, sotto pressioni e minacce.

“Questo non accadrà” precisa il deputato Mohammed Barakat il quale prosegue “I palestinesi all'interno di Israele hanno una relazione con la propria terra immutabile, per essi le alternative sono; continuare a viverci oppure la sepoltura sulla propria terra”.

Senza alcun dubbio, Lieberman e i suoi fedeli solleveranno il caso di giurisdizione universale durante la visita di Hague.

Il ministro degli Esteri non dovrà fare un uso improprio della propria carica, convalidando qualcosa che è universalmente condannato e illegale.

A chi lo ospiterà, Hague dovrebbe semmai rispondere che non esiste alcuna soluzione etnica al conflitto in Palestina.

In conclusione Hague dovrebbe ricordare al ministro degli Esteri di Israele che l'Apartheid, sebbene resti fortemente legata a circostanze razziste che hanno riguardato il Sudafrica fino al 1994, resta una prerogativa della “Convenzione internazionale sulla Soppressione e la punizione del crimine di Apartheid”, in quanto un crimine contro l'umanità.

Nello specifico, dovrebbe leggerne il testo a Lieberman e al suo staff, citando in particolare il passo in cui si dispone che “sono atti disumani quelli commessi di proposito per stabilire e mantenere il dominio di un gruppo razziale su un altro gruppo razziale per l'oppressione del secondo”.

Se William Hague non chiarirà ai suoi interlocutori israeliani che la strada da essi prescelta e già avviata non è soltanto illegale, ma pure immorale, il governo britannico diventerà complice dei reati israeliani contro i palestinesi.

Chissà se il governo di Westminster vorrà davvero correre questo rischio?

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