Soluzione due-Stati un corno. L’occupazione è per sempre

Di Evan Jones. August 08, 2014 “ICH” – “Counterpunch” –  La soluzione dei “due Stati” viene perennemente fraintesa. La soluzione che ci si immagina non abbia niente a che fare con una possibile divisione politico-territoriale di Israele e Palestina alla fine dell’Occupazione. Piuttosto, è uno strumento di pubblica relazione per calmare le preoccupazioni di quei cuori sanguinanti, che trovano sgradevole l’attuale impasse, negando la necessità (o meglio l’inevitabilità) di una soluzione di “uno Stato” e in ultimo per assicurare la continuazione dell’Occupazione.

Idem il “processo di pace”. C’è una gerarchia di gruppi dietro questa frode di vecchia data. Ci sono le retroguardie, cioè quelli che fanno i galoppini per i furfanti (l’esecrabile emissario del Quartetto Tony Blair come numero uno) o che chiudono la fila con vigliaccheria (Europa), cui si aggiungono i media. E ci sono gli ingenui che portano il messaggio nei loro cuori, privandosi di qualsiasi interesse informato e  coinvolgimento nel cambiamento dello status quo.

C’è un esiguo numero di persone che ricade al di fuori di tale gerarchia. Sono tipicamente consulenti/negoziatori/burocrati che hanno partecipato ai negoziati per porre fine a questa situazione di stallo. C’è il diplomatico “raro”. Ha buoni principi, è esperto e bene intenzionato. Ma ultimamente i loro sforzi sono stati vani, vani perché hanno preso sul serio il “processo di pace” e sono stati ostacolati da un ariete di canaglie.

È sorprendente come non si sia sentito parlare di individui così meritevoli (salvo Richard Falk), che si sono confrontati da vicino con l’intransigenza, la belligeranza e la mendacia israeliana, durante il massacro che si sta svolgendo ora a Gaza. È istruttivo recuperare report (attuali e che si rafforzano reciprocamente) da due individui come loro, report che forniscono un contesto ed una prospettiva su questo ultimo oltraggio. Gli autori sono Alvaro de Soto, membro dello staff ONU da molto tempo e Yeshid Sayigh, negoziatore consulente da molti anni per le autorità palestinesi. Il rapporto di maggio 2007 di de Soto fu scritto al culmine di un periodo di due anni come rappresentante del Segretario Generale dell’ONU, durante i negoziati del Quartetto “sulla mappa”.
Il report di Sayigh, “Indurre uno stato fallito in Palestina”, fu pubblicato nell’autunno 2007. I dettagli forniscono una profonda analisi dello stato delle cose, sette anni prima dell’attuale imbroglio, un’analisi rappresentativa che è stata dimenticata nei reportage attuali, come se l’intero conflitto fosse cominciato solo l’altro ieri.  Entrambi i report sono dettagliati e sobri, come si addice al ruolo formale, allo status e all’esperienza degli autori. Ampie citazioni da tali report sono appropriate.

“Il tentativo della Comunità Internazionale (attraverso il Quartetto e la sua “mappa”) alla fine del 2005 di promuovere la ripresa economica della Palestina riflette una supposizione di lunga data, secondo la quale lo sviluppo economica è cruciale per il processo di pace e per evitare la ricaduta del conflitto”. Cominciando dalla prima Conferenza Internazionale per la Raccolta Fondi nell’ottobre 1993, l’aiuto straniero avrebbe dovuto mostrare vantaggi tangibili per la pace ai Palestinesi e garantire ricostruzione economica e sviluppo al fine di costruire un supporto della popolazione per una diplomazia continuativa. L’accordo di Oslo rappresenta un finale aperto, un processo di incremento senza un precedente accorto sullo stato palestinese, lasciando perdere le cosiddette questioni di “status permanente”: gli insediamenti israeliani, Gerusalemme, confini, rifugiati, sicurezza e acqua. “Più che far leva sulle parti perché accettassero risultati finali specifici, la Comunità Internazionale ha rifiutato un intervento politico diretto, al contrario, ha facilitato il processo assicurando senso pratico, fornendo aiuti e altri incentivi”. [Sayigh, 9]

“La mappa, ancora l’unico strumento diplomatico riconosciuto dal Quartetto, era al meglio “nato morto”, al peggio “un modo per consolidare il nuovo status quo di nessuna trattativa”  [citazione da Barnea & Kastner, 2006].  Nelle sue dichiarazioni del 20 settembre 2005, commentando il recente ritiro di Israele da Gaza, il Quartetto promise di “supportare la crescita sostenibile dell’economia palestinese e di rinforzare le capacità generali dell’AP (Autorità Palestinese) di assumersi le proprie responsabilità attraverso un energico perseguimento della costruzione di uno stato e attraverso sforzi per una riforma democratica”. Il Quartetto ha fallito in tutto ciò, se non addirittura causato il contrario. [Sayigh, 28]

“Il Quartetto ha designato James Wolfensohn come inviato speciale del Quartetto per il ritiro da Gaza… la missione di Wolfensohn cominciò ad arenarsi dopo che i suoi tentativi di negoziare un accordo sull’accesso e la circolazione furono intercettati, alcuni direbbero deviati, all’ultimo minuto dai delegati USA e in ultimo dalla stessa [Segretario di Stato Condoleeza] Rice. Mentre l’Accordo sulla circolazione e l’accesso del 15 novembre 2005 veniva faticosamente messo insieme da Wolfensohn e dal suo potente team nei mesi precedenti, furono apportate modifiche sostanziali dell’ultimo minuto e venne virtualmente messo da parte al momento cruciale”. [de Soto, par.9/13]
“La Comunità Internazionale ha cercato di costruire sull’onda del ritiro di Israele da Gaza, ricreando la condizioni per una crescita economica accelerate nei territori Occupati, ma ha poi permesso che questa strategia venisse vanificata dal rifiuto del governo israeliano di implementare le sue iniziative formali, un fallimento per omissione. Al contrario, gli Stati Uniti hanno cercato attivamente di indurre un fallimento “controllato” dello stato, l’incapacità dell’autorità centrale di svolgere le funzioni base e di fornire i servizi essenziali, sicurezza inclusa, in un’Autorità Palestinese guidata da Hamas dopo [la vittoria alle elezioni] a gennaio 2006”.  (Sayigh, 8/9)

“… perciò lo sgradito tono punitivo (dettato dagli USA) delle dichiarazioni del 30 gennaio (Hamas deve rinunciare alla violenza, nessuna richiesta simile ad Israele; Hamas deve riconoscere Israele, con confini indefiniti) dalle quali non siamo riusciti a prendere le distanze, fino ad oggi,  e che hanno trasformato efficacemente il Quartetto da un gruppo promotore dei negoziati, guidato da un documento comune (la “Road Map”), in un organismo che non ha fatto altro se non imporre sanzioni ad un governo liberamente eletto da un popolo sotto occupazione, inoltre ha impostato presupposti inaccettabili per il dialogo”. [de Soto, par.50]
“Il fallimento di queste due risposte (l’intransigenza di Israele e Stati Uniti) è parte integrante del più ampio contesto in cui la Comunità Internazionale ha il ruolo di supervisionare il possibile fallimento dello Stato e la crisi umanitaria”. [Sayigh, 9]
“ (citazione dalla World Bank, 2004] … il fattore che ha accelerato questa crisi economica è stata la “chiusura”, uno sfaccettato sistema di restrizioni nello spostamento di beni e persone, per proteggere gli israeliani in Israele  e negli insediamenti. Le chiusure si sono diffuse nella rete delle transazioni economiche palestinesi, facendo aumentare i costi degli affari e interrompendo la prevedibilità necessaria alla vita economica regolare. Qualsiasi sostegno ala ripresa economica palestinese richiederà in definitiva la fine del sistema di chiusura. (Sayigh, 9)

“Nell’Accordo sull’Accesso e lo Spostamento, il governo di Israele si è impegnato in una serie di misure (aperture di attraversamento continuo, semplificazione degli spostamenti di convogli per materiali di scambio e da costruzione, ecc )… A luglio 2007  niente di tutto ciò era accaduto. A dire il vero l’accordo è rimasto lettera morta da gennaio 2006 ”. (Sayigh, 10/11)

“Il fallimento della strategia di cambiamento del regime e la continua incapacità della Comunità Internazionale di assicurare l’implementazione, da parte di Israele, dell’Accordo sull’Accesso e lo Spostamento rivela il suo profondo insuccesso  nel definire obiettivi strategici realistici o nell’anticipare le conseguenze a lungo termine delle sue scelte politiche. Questo è evidente nella risposta della comunità alle due sfide principali: le politiche e le misure di Israele che hanno costantemente creato nuove realtà e, di conseguenza, alterato i parametri per ogni eventuale soluzione del conflitto.”
“In primo luogo la Comunità Internazionale ha ripetutamente evitato il confronto con Israele, figuriamoci sanzionarlo, per le misure unilaterali che hanno trasformato il paesaggio dei territori occupati dal 2000, se non dal 1993. Questo è per lo più evidente in relazione alla continua espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella Gerusalemme est e delle strutture ad essi associate, più di 1200 km di strade sono state totalmente, o parzialmente, riservate all’uso esclusivo degli Israeliani, nonostante le intese di Oslo e l’esplicita richiesta di un “congelamento degli insediamenti” nella Mappa del quartetto.

Parallelamente, la Comunità Internazionale si è continuamente adattata al costante cambiamento fisico e amministrativo delle restrizioni imposte dal Governo Militare Israeliano, e la connessa Amministrazione Civile, per quanto riguarda l’accesso e lo spostamento nei territori occupati.
“Tali restrizioni si applicano non solo ai Palestinesi (che sono oltretutto circoscritti da ordini militari, regole di permessi e requisiti di residenza, che spesso variano senza che nessuno se ne accorga o senza spiegazione, oppure con annunci verbali), ma anche al personale diplomatico e umanitario, tecnici esperti e personale assunto in loco”. (Sayigh, 21/22)
“Dall’autunno (2006) era evidente che gli impatti cumulativi stavano rendendo Gaza ingovernabile, spingendo il coordinatore dell’unità di emergenza umanitaria dell’ONU Jan Egeland a descriverla come “una bomba ad orologeria … il risultato è stato un forte incremento del numero di Palestinesi che soffrono una povertà estrema … da maggio 2007, l’ONU stava fornendo aiuti alimentari a 1.1 milione di persone a Gaza

(Sayigh, 26)
“Le conseguenze devastanti della posizione del Quartetto sono state ben documentate, anche nei rapporti del Consiglio di Sicurezza ONU … “il drammatico declino degli standard di qualità della vita dei Palestinesi, in particolare, ma non esclusivamente, a Gaza, è stato disastroso, sia in termini umanitari che per quanto riguarda il pericoloso indebolimento delle istituzioni palestinesi. L’assistenza internazionale, che si è gradualmente spostata allo sviluppo e alla riforma istituzionale, è largamente ritornata sull’aspetto umanitario. … Perciò i progress fatti dalla comunità internazionale per quanto riguarda il presunto scopo di creare una entità palestinese che vivrebbe in pace con il suo vicino Israele hanno esattamente ottenuto l’effetto contrario”. (de Soto, par.51)

“Inoltre, l’economia palestinese si è adattata a condizioni di assedio ristrutturandosi in modo incerto. Frammentarietà interna e compressione dello spazio socio-economico in Cisgiordania, dal 2001, hanno interrotto le relazioni economiche tra aree geografiche ed i loro attori (tra distretti, comunità rurali ed urbane, datori di lavoro ed impiegati, produttori e mercati) aumentando gravemente le disparità sociali.
… La suddivisione, la localizzazione e la deformazione dell’economia palestinese, a partire dal 2000, sono tendenze di lungo termine, in quanto i produttori si sono adattati alla frammentarietà del territorio e alla compressione del mercato confinandosi in aree geografiche ristrette, abbandonando artigianato ed agricoltura e spostandosi verso manodopera familiare gratuita o pagata in natura”. (Sayigh, 26/28)

“Al di là del danno provocato in termini di assistenza internazionale… c’è quello inflitto da Israele, malgrado le sue responsabilità verso la popolazione, ai sensi delle leggi internazionali, in quanto Potenza occupanti: non solo le uccisioni di centinaia di civili in prolungate e pesanti incursione; anche la cessazione di trasferimenti all’Autorità Palestinese, da febbraio 2006, dell’IVA e dei dazi doganali che Israele incassa, a nome dei Palestinesi, secondo il Protocollo di Parigi firmato con l’OLP a seguito degli Accordi di Oslo. Questi sono soldi versati dagli importatori ed esportatori Palestinesi. Sono soldi palestinesi. In circostanze normali sarebbe un terzo del reddito palestinese. …
“Ci si chiede se sia credibile giudicare la capacità di un governo di deliberare, quando sta venendo privato della sua fonte di guadagno più grande, alla quale ha indubbiamente diritto in forza di un accordo approvato dal Consiglio di Sicurezza e dallo Stato che controlla largamente la capacità di quel governo e del suo popolo di generare reddito. Infatti, ci si aspetta che l’Autorità Palestinese deliberi senza elementi di sovranità “o la va o la spacca”, come ad esempio il controllo dei suoi confini, il monopolio sull’uso della forza o sull’uso delle risorse naturali, lasciamo perdere il regolare incasso delle imposte”. (de Soto, pars.52/53)
“Dovrei precisare che non condono, neanche per un secondo, i fallimenti dal lato palestinese, specialmente la sua incapacità o riluttanza a rispettare i suoi obblighi secondo la Road Map. … ma è anche vero che le politiche di Israele, volontariamente o no, sembrano di frequente perversamente articolate per incoraggiare la continua azione dei militanti palestinesi. ” (de Soto, pars.74/75)

“In verità, l’OLP ha il diritto di chiedere se Israele sia un partner, così come Israele chiede dell’OLP o dell’Autorità Palestinese.” (de Soto, pars.21/22)

“Vale la pena essere consapevoli che la combinazione del declino istituzionale dell’AP e l’espansione degli insediamenti israeliani sta creando una crescente convinzione tra i Palestinesi e gli Arabi Israeliani, anche tra alcuni Ebrei alla periferia di Israele, che i migliori giorni per la soluzione dei due stati siano passati. Posto che uno Stato Palestinese richiede sia un territorio che un governo e dato che la base per entrambi viene costantemente minata, credono che l’unica via a lungo termine per porre fine al conflitto sia di abbandonare l’idea di dividere la terra e, invece, insistere semplicemente sul rispetto dei diritti civili, politici e nazionali dei due popoli, Ebrei ed Arabi, che popolano il territorio, in uno Stato. La cosiddetta “soluzione di un unico stato” sta guadagnando terreno. … nel frattempo, Israele ha cercato rifugio, è si è chiuso, in un atteggiamento di sostanziale rifiuto del trattare con i Palestinesi, insistendo sui prerequisiti che, devono sapere, sono irraggiungibili”. (de Soto, pars.128/131)

Sayigh e de Soto dimostrano che la Mappa del Quartetto è sata una farsa. Elaborate nella struttura e vuota nella sostanza. Israele non avrebbe mai fatto delle concessioni (coerente con la sua intransigenza dagli Accordi di Oslo del 1993). Inoltre gli USA si stavano assicurando che l’intransigenza di Israele avesse successo.  Sayigh  allude diplomaticamente alla “comunità internazionale”, ma gli USA imponeva e impone asservimento all’agenda di Israele. L’Europa è rimasta e rimane miserabilmente ubbidiente e la Russia, formalmente poco coinvolta, è rimasta indifferente e si è preoccupata di altro. Ma dietro il linguaggio burocratico di de Soto e Sayigh vi è il fatto che Israele, USA e i loro satrapi siano stati strategicamente impegnati per un lungo periodo nella pulizia etnica di un popolo subordinato. Questo è un crimine indicibile, ora tutte le organizzazioni autorevoli non direttamente responsabili del crimine, senza eccezione, incolpano le vittime o guardano dall’altra parte.
L’ONU stessa e le sue organizzazioni hanno de facto legittimato il crimine in corso. Questo, nonostante il fatto che miliardi di dollari di fondi ONU siano stati dedicati alla compensazione per la devastazione inflitta da Israele, sorreggendo istituzioni palestinesi menomate, rifornendo le popolazioni disperate e ricostruendo le infrastrutture (incluse quelle ONU), mentre Israele ha continuato a trattare l’ONU con spregio.

Confrontiamo cosa le grandi potenze e gli organismi internazionali stavano chiedendo alla leadership palestinese nella mappa del Quartetto.
La leadership palestinese, cioè al Fatah, essendo Hamas esclusa per decreto, voleva ripulire la propria struttura amministrativa, inefficiente e corrotta, per far rispettare la sicurezza contro la violenza nei confronti di Israele. In cambio, i fondi sarebbero stanziati con la speranza di migliorare l’economia palestinese, la quale a sua volta avrebbe dovuto generare civiltà e pacifismo tra i “nativi”.

L’Occupazione, apparentemente condannata dalle leggi internazionali, è legittimata. I sostanziali errori di Oslo, nessun precedente accordo sul fatto che la Palestina sia uno stato, per non parlare le cosiddette questioni sullo status permanente, sono reiterati. Viene chiesto alle vittime di degradarsi ulteriormente. E ad Israele viene lasciata carta bianca per sfuggire ad obblighi minori e per gioire dei crimini sistematici contro i Palestinesi.
Come Sayigh (23) fa notare:

“La comunità internazionale ha costantemente giudicato male il punto fino a cui l’Autorità Palestinesi sia “meno di uno stato, ma ci si aspetta che agisca come tale”. … all’autorità manca il controllo effettivo, per non parlare di sovranità, delle leve e degli strumenti politici necessari per assolvere a tale compito”. 

Elementare, mio caro Watson. Chi ha proposto l’assurdità non se la può perdere. Non da meno Israele che si impegna perennemente in arresti a tappeto di coloro che cercano di esercitare l’autorità, come ha fatto durante questo vitale periodo: 2005-2006.

Sia Sayigh e de Soto criticano i palesi fallimenti delle fazioni che controllano e competono per controllare la leadership palestinese. Ma anche le strutture politiche ed il relativo personale negli stati nazione con sovranità e apparati governativi funzionanti sono inclini all’incompetenza e alla corruzione. Qui, è richiesto che coloro i quali sono alla ricerca di ruoli gi governo si comportino come se ricoprissero tali ruoli, avessero tali diritti e capacità istituzionali, mentre sono forzati, attraverso la privazioni di tali poteri e capacità, a rimanere dei traditori. Quando non stanno marcendo in una prigione israeliana.

Il copione è godibile, rozzo materiale per l’Opera buffa. Ma è stato scritto da sadisti, razzisti impenitenti in un’era in cui il razzismo è stato rinnegato e considerato passato, le sue conseguenze sono state diaboliche. Niente di ciò che è stato chiesto ai Palestinesi ci si può aspettare che funzioni nel loro interesse. Perciò abbiamo l’esperimento da laboratorio mendeliano che sostiene la privazione della libertà, sostentamento e umanità. Perciò abbiamo omicidi di massa a Gaza (ho dimenticato qualcosa?) del 2006, 2008-2009, 2012 e del giorno d’oggi. Ce ne saranno di più ad ogni alba. Questa è la vendetta di Israele contro i Palestinesi per aver continuato audacemente ad abitare la terra destinata solamente agli abitanti di diritto privati del suo possesso in toto.

Il report di de Soto ha attirato qualche attenzione dai media all’epoca. Tale report fu menzionato dal britannico Guardian, 13 giugno 2007. L’autore osserva: “L’ufficiale ONU di rango maggiore in Israele ha avvertito che la pressione americana ha “preso a pugni fino alla sottomissione” il ruolo dell’ONU come negoziatore imparziale in Medio Oriente in una relazione confidenziale”. Abbastanza, anche se l’articolo trascura di portare alla luce la condanna implicita di de Soto della complicità Occidentale e protezione dei crimini di Israele. In ogni caso un articolo del 15 giugno su Inter Press Service, spiega accuratamente il tono dell’articolo di de Soto e le sue implicazioni. Non solo Soto ha condannato la partigianeria degli USA (che includeva il finanziamento della sconfitta Fatah perché fosse coinvolta militarmente con personaggi di Hamas), ma ha accusato il Segretario Generale, Kofi Annan, di aver fallito nell’assicurare l’imparzialità e l’influenza del personale ONU nel tentativo di perseguire le giuste risoluzioni. E, fa notare l’articolo, il nuovo Segretario Generale, Ban Ki-moon ha dato prova di essere più preoccupato per la divulgazione di quella relazione confidenziale che per le scioccanti implicazioni dei suoi contenuti.

I significativi report di de Soto e Sayigh sono svaniti nell’aria. Nel giro di un anno la Striscia di Gaza è stata completamente e indefinitamente chiusa, costringendo gli abitanti di Gaza ad una dieta da fame che hanno sopportato fino ad oggi. Le canaglie hanno debitamente predisposto una cosiddetta rinascita della Roadmap ad Annapolis nel novembre 2007, alla quale lo sfortunato Abu Mazen ha presentato la sua lista dei desideri con ambizioni per una celere risoluzione entro un anno. Le preoccupazioni di sicurezza di Israele sono lo spazio vitale di Israele, il suo chiodo fisso. Israele comanda il ciclo di repressione e uccisione come un’integrazione nell’accaparramento delle terre, che naturalmente invita alla resistenza, che minaccia la sicurezza di Israele, che dà origine ad ulteriore repressione ed omicidi ed ulteriore accaparramento di terre.
Soluzione due-Stati, un corno. C’è una ragione per cui ci si può aspettare che Israele ponga fine alle sue preoccupazioni sulla sicurezza finché i Palestinesi vengono estinti dal territorio?Assolutamente no. Quindi  Israele può iniziare a lavorare a tempo pieno sui suoi vicini.
Evan Jones è un economista politico in pensione, ha lavorato all’Università di Sidney. Può essere contattato all’indirizzo: evan.jones@sydney.edu.au

Traduzione di Cinzia Trivini Bellini