Stefano Chiarini: una vita in difesa dei popoli oppressi.

Stefano Chiarini: una vita in difesa dei popoli oppressi

 

Le parole rituali non bastano.

Un altro compagno e la sua coerenza ci hanno lasciato.

Una vita da giornalista comunista in prima linea nelle zone più dimenticate del mondo in difesa dei popoli oppressi. 

La controinformazione usata al meglio come metodologia di lotta. 

I suoi articoli precisi e documentati e le analisi dirompenti  sono le migliori parole da fissare nella nostra memoria. 

Per ricordarlo ho voluto riprendere  due suoi articoli:

uno recentissimo del 2007 contro la guerra imperialista in Iraq e l’altro del 2006 contro la guerra imperialista in Libano. 

Ruggero

mc PCL Toscana 

Stefano Chiarini alla notizia della liberazione di Giuliana Sgrena 

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Haifa Street, la "Falluja di Baghdad". Gli Usa cercano di rioccupare la città

Quinto giorno di combattimenti nel centro della capitale. E’ l’inizio di una nuova «Battaglia per Baghdad». Gli Ulema denunciano le bombe sui civili e la «pulizia etnica» contro i sunniti da parte delle milizie governative sostenute da Washington

di Stefano Chiarini

Il Manifesto, 11 gennaio 2007

Una brigata dell’esercito americano e due delle milizie filogovernative, in tutto circa 1300 uomini, dopo la durissima battaglia di martedì, durata oltre dodici ore, con la resistenza e gli abitanti di Haifa Street, ieri hanno completamente circondato il quartiere, già soprannominato la «Falluja di Baghdad», che sorge sulla riva destra del Tigri, a poche centinaia di metri dalla «Zona verde».

I militari Usa e i miliziani iracheni hanno bloccato ogni via di accesso o di fuga e con i loro mezzi corazzati si sono piazzati sui cinque ponti strategici (al Jumuriya, Sinak, al Ahrar, Shuhada, ma anche sul più lontano Sabatash Tamuz, davanti al palazzo abbasside) sul Tigri perpendicolari ad Haifa Street. Il controllo di questi ponti è essenziale per le truppe di occupazione perché assicura loro la possibilità di muoversi su e giù tra il nord e il sud e tra l’est (a maggioranza sciita) e l’ovest (più sunnita) della capitale dove si trovano anche l’aeroporto e la «Zona verde».

I membri della resistenza sembrano, da parte loro, essersi volatilizzati nella parte meridionale del quartiere, verso la «Zona verde», ma occuperebbero ancora gran parte delle loro posizioni nella sezione più settentrionale e nelle viuzze della città vecchia.

Colpi di arma da fuoco si sono uditi, anche se a tratti, per tutta la giornata di ieri. Le truppe Usa hanno piazzato cecchini sugli edifici più alti pronti ad aprire il fuoco contro chiunque venga visto camminare per la strada mentre le truppe irachene procedono ai rastrellamenti casa per casa. Carri armati e pesanti blindati percorrono lentamente Haifa Street coalla ricerca di un nemico sfuggente. La popolazione o è fuggita o vive negli scantinati da almeno cinque giorni in condizioni difficilissime.

L’attacco, dal momento che le truppe e la polizia irachena, sono composte quasi esclusivamente da miliziani filo-iraniani o peshmerga kurdi, ha subito assunto i toni – soprattutto nei quartieri sunniti (che a Baghdad sono la maggioranza) – di un nuovo tentativo settario di «ripulire etnicamente» la capitale dalla popolazione sunnita portato avanti dagli occupanti con l’appoggio del governo al Maliki.

Ed è quello che ieri mattina denunciava il più diffuso quotidiano iracheno, «Az Zaman» secondo il quale «gli abitanti del centro di Baghdad hanno respinto un attacco delle milizie governative appoggiate dai bombardamenti americani».

Dello stesso tono il comunicato dell’Associazione degli Ulema musulmani (sunnita), che ha lanciato un duro atto di accusa contro il governo e le sue milizie accusandole di aver giustiziato sul posto una decina di giovani del quartiere e contro i bombardamenti Usa sui rioni di Mushahad e Sheikh Ali – sempre nella zona – che avrebbero provocato molte vittime civili.

Considerando che la resistenza ha ammesso una decina di morti, la maggioranza delle vittime sarebbe quindi composta da semplici abitanti del quartiere e non certo da guerriglieri.

Nelle moschee sunnite della capitale, già da venerdì scorso, si lanciano appelli alla popolazione perché si prepari alla nuova «battaglia per Baghdad» e ad un «imminente, generale, assalto da parte delle milizie» alla parte occidentale della città e ai quartieri sunniti, come A’adhamiya, che si trovano al di là del fiume dove c’è una certa prevalenza sciita.

Volantini che invitano i combattenti a trasferirsi a Baghdad per «fermare gli Usa e i safavidi (i persiani)» sono apparsi nelle ultime ore in quasi tutti i villaggi attorno a Baghdad .

L’imminente scontro sembra sul punto di passare i confini dell’Iraq con la massima autorità sciita, l’Ayatollah (iraniano) al Sistani, che avrebbe benedetto l’imminente offensiva americana – e il governo saudita che, appresa la notizia della «scomparsa» dopo essere stati arrestati dalla polizia irachena di quattro importanti sheikh (Khalid al Dosseri, Saeed Azzawi, Ahmed al Eisawi e Ayad al Juburi) e di una trentina di pellegrini al ritorno dal viaggio alla Mecca, avrebbe fermato, a Medina, il direttore delle relazioni esterne del movimento di Muqtada al Sadr, sheikh Hassan al-Zargani, per la cui liberazione sarebbero intervenute le autorità americane.

E proprio il comportamento del leader sciita radicale Muqtada al Sadr, assai influente nel governo al Maliki, nei confronti dell’offensiva Usa costituisce uno degli interrogativi più rilevanti di questa seconda battaglia per l’occupazione della capitale.

E ancora. Come faranno gli Usa a portare avanti il loro tentativo di isolare la resistenza sunnita, mostrando di voler colpire gli squadroni della morte delle milizie filo-iraniane del governo al Maliki, se queste sono state arruolate da loro stessi nelle forze di sicurezza irachene?

 

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29 Ottobre 2006 

 

Bombe all’uranio sul Libano del sud


Accuse a Israele L’«Independent»: trovate tracce di uranio arricchito nei crateri degli ordigni a Khiam
Stefano Chiarini


Nuovi, micidiali, ordigni non convenzionali a base di uranio arricchito sarebbero stati usati da Israele nel corso dei 34 giorni di bombardamenti sul Libano del luglio-agosto scorso. Lo ha sostenuto ieri in prima pagina l’autorevole quotidiano britannico «The Indipendent» secondo il quale in alcune zolle di terra provenienti dai crateri provocati dalle bombe israeliane nei pressi delle due cittadine del Libano del sud di Khiam e At Tiri – località dove più forte è stata la resistenza degli Hezbollah e più duri i combattimenti con l’esercito di Tel Aviv – sarebbero state trovate consistenti tracce di uranio arricchito. Lo sostiene il dottor Chris Busby, segretario scientifico britannico del «Comitato Europeo sui rischi di radiazioni nucleari» e lo avrebbero confermato le analisi preliminari eseguite sui campioni dai laboratori Harwell nell’Oxfordshire – utilizzati anche dal Ministero della difesa di sua maestà del cui «Comitato di sorveglianza per l’uranio impoverito» lo stesso Busby è autorevole membro. Il rapporto preliminare del dottor Busby prefigura due possibili spiegazioni per la presenza di uranio arricchito nei campioni: La prima è che si trattasse di una piccolissima bomba nucleare sperimentale o «di un altro ordigno, sempre sperimentale, ad esempio thermobarico, basato sulle alte temperature di un’evaporazione rapida per ossidazione di uranio». La seconda ipotesi è che si tratti di una bomba atta a penetrare e a distruggere i bunker nella quale invece dell’usuale «uranio impoverito» sia stato usato «uranio arricchito». Secondo «The Indipendent» la fotografia di uno dei bombardamenti in questione sulla cittadina di Khiam mostrerebbe un’alta e larghissima colonna di fumo nero assai compatibile con la combustione dell’uranio. Interpellato al proposito dal quotidiano britannico «The Indipendent», il portavoce del ministero degli esteri israeliano Mark Regev ha dichiarato che «Israele non utilizza alcuna arma che non sia autorizzata dalle leggi o dalle convenzioni internazionali». Una dichiarazione che per il giornale britannico «solleva più domande di quelle a cui risponde», dal momento che «molte delle leggi internazionali non riguardano le moderne armi all’uranio, visto che non erano state inventate quando le normative internazionali come la Convenzione di Ginevra sono state fissate».
Durante i 34 giorni dell’ultima guerra, il Libano aveva ripetutamente accusato Israele di utilizzare bombe al fosforo, ma lo Stato ebraico lo aveva sempre smentito. Come aveva smentito l’uso del fosforo durante l’invasione del 1982. Domenica scorsa, però il ministro israeliano per i rapporti con il Parlamento Jacob Edery, ha invece finito per ammetterne l’uso durante la guerra di luglio e agosto anche se «al di fuori dei centri abitati».
La presenza di uranio arricchito nell’aria, nella terra, nelle acque del Libano del sud potrebbe avere conseguenze assai gravi per la popolazione locale, ma anche per le truppe multinazionali che si trovano da qualche settimana nella regione. «L’impatto sulla salute degli abitanti in seguito all’uso massiccio di bombe a penetrazione e alla presenza di grandi quantità di particelle di ossido di uranio nell’atmosfera che possono essere respirate – sostiene il rapporto Busby – saranno probabilmente assai rilevanti… raccomandiamo perciò ulteriori ricerche…con la prospettiva di un’operazione di bonifica». A tale riguardo il contrammiraglio Claudio Confessore, comandante del contingente italiano in Libano ha precisato che le due località in cui sarebbero state rinvenute le tracce di uranio arricchito, «sono al di fuori dalla zona in cui opera il contingente italiano» essendo state affidate Khiam al contingente indiano e At Tiri a quello francese. Quindi possiamo stare tranquilli. Il mistero delle nuove armi all’Uranio tirate su At Tiri si va ad aggiungere ad altri inquietanti episodi che hanno avuto luogo in questo piccolo centro alle spalle di Bint Jbeil. Il primo è il rapimento e l’uccisione di due militari irlandesi dell’Unifil nell’aprile del 1980 ad opera degli squadre della morte dell’esercito del sudlibano addestrati dai servizi israeliani. Forse per «punire» l’Irlanda che aveva appena riconosciuto l’Olp. Il secondo è la morte di quattro elicotteristi italiani e di un irlandese precipitati per cause mai chiarite, sempre nei pressi di At Tiri, nell’agosto del 1997.

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