Storie da Gaza: “Era la mia prima e unica figlia”

Gaza – Pchr. 

Huda e Khaled Tafesh, 21 e 25 anni, si sono sposati nel 2010. Un anno dopo è nata la loro bambina, Haneen. La giovane famiglia, che abita una modesta abitazione con il tetto in lamiera nel quartiere di Zeitoun, a Gaza, si è ritrovata sotto l’attacco militare sferrato da Israele lo scorso novembre e durato 8 giorni. 

In vista delle giornate della donna e della mamma, la giovane madre Huda ci racconta cosa le è successo durante quei giorni di paura e di bombardamenti.

“Quel mattino eravamo tutti a casa. Gli attacchi israeliani erano iniziati il giorno prima, e nel cielo sopra a noi circolavano molti droni. Il nostro quartiere però era tranquillo, non vi era traccia di attività militari. Iniziammo la giornata come sempre: Haneen si era svegliata presto, aveva mangiato un po’ ed era tornata a dormire. Khaled era uscito per comprarle delle uova. Ogni volta che egli usciva, Haneen gli chiedeva di portarla con sé, ma quel giorno Khaled le disse che non poteva portarla fuori, pensando che a casa sarebbe stata più al sicuro”.

Huda prosegue: “Poco dopo che Khaled era rientrato dal negozio ci fu un’improvvisa, forte esplosione. Un F16 aveva sparato un missile in un terreno vuoto, accanto a casa nostra. L’esplosione fu fortissima”.

Senza far caso alle ferite riportate, Huda pensò a una cosa soltanto: “Corsi a vedere se Haneen stava bene, ma l’esplosione aveva fatto chiudere violentemente la porta della camera da letto, e non riuscii ad aprirla. Venne mio marito, che finalmente riuscì ad aprire la porta. Haneen era sotto le macerie, si vedevano solo i suoi piedi. Molti detriti le erano caduti sulla testa, provocandole diverse ferite”.

Khaled e Huda si resero conto immediatamente che le ferite erano gravi. “Poiché l’ambulanza ci avrebbe messo un po’ ad arrivare, Khaled portò egli stesso la bimba all’ospedale”, continua Huda. “Una volta arrivata un’ambulanza per accompagnare me all’ospedale, un altro drone sparò un secondo missile, che cadde proprio davanti all’ingresso di casa, senza esplodere. Quando arrivò la polizia per rimuovere il missile, mi dissero che esso era difettoso, e che potrebbe essere stato sparato solo per spaventarci”.

Huda ricorda i momenti frenetici all’ospedale: “Trovarono che avevo la scapola destra fratturata. Il medico mi fasciò e mi anestetizzò; nel pomeriggio fui dimessa. Sia il medico che mio marito mi vollero proteggere dallo shock che avrei potuto subire dalle notizie su mia figlia, ma nel mio cuore sapevo già che era morta, me lo sentivo”.

Quella sera, in seguito a una telefonata del medico, Khaled disse a Huda che sarebbe andato all’ospedale a donare sangue per Haneen. “Gli dissi di non andare”, racconta Huda. “Gli dissi che non pensavo che lei avesse più avuto bisogno di sangue. Poi Khaled lo ammise: Haneen era morta”.

Huda fu nuovamente ricoverata, quella sera stessa, dopo che i dolori alla schiena e alla spalla divennero insopportabili. Rimase all’ospedale una settimana. “Il secondo giorno andai brevemente a casa, a salutare per l’ultima volta Haneen prima del funerale”.

Per quanto le sue ferite stiano pian piano guarendo, i ricordi di quel giorno e la perdita di sua figlia non la abbandonano. Huda conserva ricordi intensi di sua figlia: “Era una bambina molto intelligente, a cui tutti volevano bene. Ciò che ricordo di più è il suono delle sue risate. Cominciava a sorridere e a ridere appena sveglia. Era tranquilla, non piangeva mai”. Pensando alla festa della mamma che sta per arrivare, Huda sospira: “Ero appena diventata mamma e ho perso mia figlia”.

Dando uno sguardo al futuro, Huda sorride: “Sono incinta da due mesi e mezzo. Non vedo l’ora che la gravidanza passi, per avere un altro figlio”.

Oltre alla perdita della loro bambina, la famiglia Tafesh ha dovuto vedersela con i danni che l’attacco ha causato all’abitazione. Le pareti e il pavimento presentano dei buchi, secondo la madre di Khaled grandi abbastanza per far passare i topi. Il tetto in lamiera è danneggiato, e quando piove entra l’acqua. “Avevamo ricevuto questa abitazione da un’organizzazione benefica, meno di un mese prima dell’attacco. Prima di allora era solo una baracca con un’unica camera da letto. Ora abbiamo diverse stanze con pareti in muratura”, dice la madre di Khaled.

Priva di un reddito fisso, la famiglia vive in povertà. Il padre di Haneen, Khaled, ha ottenuto dal governo un carretto a mano. “Cerco di vendere dolci per guadagnare un po’ di denaro. Ho tappezzato la superficie laterale del carretto con le fotografie di Haneen”.

Colpire e ferire gravemente o causare la morte di civili – persone protette – è un crimine di guerra, come codificato dall’articolo 147 della Quarta convenzione di Ginevra del 1949 e dagli articoli 8 (2) (a) (i) e (iii), e dall’articolo 8 (2) (b) (i) dello Statuto di Roma del Tribunale criminale internazionale.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice