Storie da Gaza: “Il blocco è come una lenta agonia”

Gaza – Pchr. Ramadan Daoud Hussein ‘Abdel Bari, 51 anni, vive a Gaza con sua moglie, i loro 8 figli e la madre malata. Nel 1985 egli aprì una fabbrica di abbigliamento a Khan Younis. Dall’inizio della seconda intifada le crescenti limitazioni di movimento imposte da Israele hanno danneggiato gli affari di Ramadan, fino a negare, a lui e alla sua famiglia, la possibilità di una vita dignitosa, riducendoli in povertà.

“Importavo stoffe dall’estero. Nella fabbrica producevamo vestiti che esportavamo in Israele. Nel 2000, dall’inizio della seconda Intifada, divenne molto difficile continuare l’attività. L’esercito israeliano installò posti di blocco ovunque, nella Striscia di Gaza, separando il nord dal sud: il check-point di Abu Holi, in particolare, transitabile solo a piedi, impediva alle merci di raggiungere la fabbrica. Simultaneamente iniziarono ad essere imposte restrizioni sull’importazione di stoffe. Divenne presto molto difficile mantenere la fabbrica attiva”.

Le limitazioni di movimento segnarono l’inizio di un rapido declino per la fabbrica di Ramadan, che dava lavoro a 30 dipendenti. “Dovetti iniziare a vendere i macchinari per poter pagare i salari dei lavoratori. Nel 2005 facemmo la nostra ultima esportazione, del valore di 80mila shekel israeliani (circa 15mila euro, ndr). Ma il cliente israeliano non mi pagò mai. In seguito ebbi paura a continuare con gli affari, non mi sarei potuto permettere di perdere altro denaro”.

Per far quadrare il bilancio Ramadan si è dovuto ingegnare: “Dal 2005 al 2008 ho tenuto dei macchinari in casa, per la produzione locale. Ma poi si cominciarono a importare i vestiti dalla Cina a un prezzo molto più basso di qualsiasi cosa che potrei fabbricare io. Dovetti vendere la mia produzione a un prezzo estremamente basso. Allora comprai una macchina per produrre i gelati, ma gli affari limitati al periodo estivo non sono abbastanza per mantenere una famiglia”.

La famiglia di Ramadan vive ora grazie a un reddito incostante. “Prima che iniziassero i problemi, quando la fabbrica era ancora in funzione, potevamo contare su un reddito fisso. Ma a causa delle perdite ho dovuto vendere tutto. Ora viviamo alla giornata, sotto continue pressioni economiche e psicologiche. Il blocco è come una lenta agonia”.

L’anziana madre di Ramadan è inferma: “Mia madre è paralizzata, soffre di artrite ossea”, racconta Ramadan. “Avrebbe bisogno di essere operata, ma è troppo costoso e non abbiamo un’assicurazione sulla salute. Le diamo degli antidolorifici”.

Per Ramadan e sua moglie Na’ila l’istruzione dei loro figli è una priorità: “Tutti i nostri figli, 5 femmine e 3 maschi, vanno ancora a scuola. Ci teniamo a che abbiano un’istruzione, ma dobbiamo affrontare molti problemi. Abbiamo evitato di iscrivere il nostri figli più piccoli alla scuola dell’infanzia per non dover pagare la retta mensile. Così hanno iniziato tutti dalle scuole elementari”.

“Nostra figlia Madleen studia pedagogia all’università, vuole diventare insegnante. Se ho soldi si iscrive per un semestre e frequenta i corsi: se i soldi non ci sono deve lasciare l’università per un po’, come in questo periodo, e ritardare gli studi”. Madleen ha iniziato l’università a 18 anni; finora ha potuto portare a termine il programma del primo anno. Ora ha 21 anni.

“Non ho abbastanza soldi per pagare l’elettricità”, spiega Ramadan. “Se voglio ricominciare a produrre abbigliamento dovrò innanzitutto pagare la bolletta, ma non me lo posso permettere”. La mancanza di elettricità, dunque, influisce negativamente sia sul benessere domestico che sulle possibilità di miglioramento delle prospettive future.

La moglie di Ramadan, Na’ila Mo’ain, è preoccupata per la salute dei figli: “Come tutti i bambini, capita a volte che si ammalino. Per avere accesso alle cure mediche e ai medicinali abbiamo bisogno di soldi, ma non riusciamo a farcela. Non vedo l’ora che i bimbi crescano così potrò preoccuparmene un po’ meno”.

La storia della famiglia ‘Abdel Bari è una storia comune tra le famiglie di Gaza. L’occupazione israeliana e il blocco della Striscia di Gaza hanno impoverito molte famiglie, costringendole a vivere in miseria, nell’incertezza, dipendendo per gran parte dagli aiuti umanitari. L’articolo 1 della Dichiarazione universale sui Diritti umani stabilisce che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in termini di dignità e diritti”, e l’articolo 22 riguarda il diritto alla realizzazione dei propri diritti economici, sociali e culturali “indispensabili per la dignità e lo sviluppo della propria personalità”.

Il blocco della Striscia di Gaza, in corso per imposizione israeliana, rappresenta una forma di punizione collettiva della popolazione civile sotto occupazione, il che contravviene all’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. In quanto potenza occupante Israele ha il dovere legale di rispettare il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr), l’articolo 6, sul diritto al lavoro come diritto fondamentale e l’articolo11 sul diritto a adeguati standard di vita, cibo, abbigliamento e abitazione, e al continuo miglioramento delle condizioni di vita.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice