Storie da Gaza: “Le restrizioni imposte da Israele puniscono il popolo di Gaza”

Gaza – Pchr. La politica israeliana che blocca lo sviluppo economico della Striscia di Gaza attraverso il controllo dei valichi commerciali è recentemente entrata in crisi. Gaza non affronta solo il blocco del carburante e dei materiali da costruzione; negli ultimi mesi anche la disponibilità di gas da cucina ha subito una limitazione, andando ad aggiungersi alle difficoltà già affrontate riguardo elettricità, gas e carburante. Il problema si è reso evidente con l’accumulo, presso le stazioni di servizio, di gran quantità di bombole di gas vuote che aspettano di essere riempite.

clip_image003Israele esercita un controllo economico totale tra i propri confini e la Striscia di Gaza, attraverso il quale ha un impatto fortissimo sulla vita nella Striscia, area densamente popolata che si basa sul commercio con l’estero per sostenersi e per mantenere attiva la propria economia.

In passato 3 valichi commerciali erano operativi: il valico di Karni, per il traffico di camion in uscita e in entrata, il valico di Sufah, attraverso il quale passavano gli aiuti umanitari e i materiali da costruzione, e il valico di Nahal Oz, attraverso il quale si importavano carburante e gas da cucina.

Karni e Sufah furono eliminati da Israele prima dell’inizio del 2010. Nahal Oz, nella zona nord orientale della Striscia di Gaza, venne chiuso definitivamente nello stesso periodo adducendo “motivi di sicurezza”, danneggiando gravemente il trasporto di gas da cucina e di altri carburanti verso Gaza.

Mahmoud Ahmad Shawa, presidente dell’Associazione dei proprietari di gas e petrolio della Striscia di Gaza sottolinea i problemi che la chiusura di questo valico ha comportato: “Prima del blocco del confine di Nahal Oz a Gaza non si erano mai verificati problemi nell’approvvigionamento di gas da cucina. L’importazione di tale gas non veniva considerato dal programma israeliano di blocco economico di Gaza. Le restrizioni iniziarono con la chiusura del valico di Nahal Oz nel 2010, chiusura che faceva parte dell’eliminazione di 5 valichi verso Israele”.

“Il valico di Nahal Oz era dedicato unicamente all’importazione di gas e di combustibile, ed era pertanto dotato di infrastrutture adeguate a questo tipo di commercio. Con la chiusura del valico nel 2010, tutti i movimenti di gas e carburante vennero spostati al valico di Karm Abu Salem, che è oggi il punto di passaggio di tutti i materiali commerciali diretti a Gaza: materiali da costruzione, carburante, aiuti umanitari e gas da cucina. Ma le infrastrutture di questo valico non sono sufficienti per il passaggio di gas da cucina sufficiente per gli abitanti di Gaza. C’è un’unica tubatura per il trasporto del gas da cucina da Israele a Gaza, il che limita l’importazione”.

Altro fattore negativo è poi l’orario di apertura di Karm Abu Salem. Mahmoud Shawa ci illustra la situazione: “L’unica conduttura del valico è aperta dalle 7.30 alle 15.00, 5 giorni alla settimana. Orario che non tiene in considerazione il gran numero di festività ebraiche, durante le quali il valico è chiuso. Inoltre, il confine è soggetto a chiusure dipendenti dal ghiribizzo dei funzionari israeliani, che vengono giustificate con la formula ‘motivi di sicurezza’. In altre occasioni, invece, la chiusura della conduttura è un’evidente punizione di Israele contro la popolazione di Gaza”. Noi del Pchr osserviamo che queste azioni dei funzionari israeliani costituiscono una punizione collettiva della popolazione di Gaza. A causa di queste restrizioni, Mahmoud Shawa ci informa che attualmente solo il 65% del fabbisogno giornaliero di gas da cucina passa attraverso il valico, nello specifico, 130 tonnellate anziché le 200 che sarebbero necessarie.

Il movimento di merci e persone avviene poi tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, attraverso tunnel sotterranei. Con le restrizioni iniziali, del gennaio 2010, imposte all’importazione di gas da cucina con la chiusura del valico di Nahal Oz, e in attesa di superare i vincoli economici illegali, il commercio ha iniziato a diffondersi con il sistema dei tunnel. Sistema inaffidabile e non sicuro. “I tunnel non sono adatti al trasporto di gas da cucina dall’Egitto. Alcuni commercianti provarono a trasportare il gas, nei tunnel, utilizzando le bombole, ma questo sistema garantisce il trasporto di sole 3 o 4 tonnellate di gas al giorno, una minima parte delle 200 che servirebbero. Inoltre, il trasporto di gas dall’Egitto era estremamente pericoloso. Molte persone morirono nei tunnel a causa di perdite di gas, durante il trasporto delle bombole. Così, questo metodo di trasporto di gas è stato abbandonato”.

Il monopolio israeliano sulla fornitura di gas da cucina nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania significa anche poter deciderne il prezzo. L’Autorità palestinese mantiene il prezzo del gas più basso, ma, nonostante ciò, “la popolazione di Gaza paga 52 shekel a bombola, e la popolazione della Cisgiordania ne paga 56, prezzi molto alti per il cittadino palestinese medio. Aggiungi al prezzo alto la scarsa reperibilità, e la crisi attuale è spiegata”.

Per le famiglie della Striscia di Gaza il gas da cucina è una necessità fondamentale. In media, una famiglia ne usa una bombola ogni 20-24 giorni, ma ora per poter avere la bombola ricaricata i tempi di attesa sono di 2 o 3 mesi. Ciò vuol dire che, approssimativamente, 2 mesi su 3 si rimane senza gas per cucinare. La crisi del gas influisce su molti settori della società e dell’industria di Gaza. Oltre alle abitazioni private e agli affari, anche le fabbriche, l’agricoltura, l’allevamento di pollame, i panifici e i pescatori ne sono indirettamente colpiti. Anche il commercio turistico a Gaza – hotel e ristoranti – è collegato alla disponibilità di gas da cucina.

Si sono avuti degli incontri tra i membri dell’Associazione dei proprietari di gas e petrolio della Striscia di Gaza e le autorità israeliane, nel corso dei quali l’Associazione ha condannato il blocco del gas e dei carburanti ed ha cercato di ottenere un allentamento delle restrizioni. È stata proposta la soluzione di incrementare di 2 ore l’orario di apertura quotidiano della conduttura, che permetterebbe una disponibilità di gas considerevolmente maggiore, ma Israele ha rifiutato anche questa semplice soluzione, senza spiegare il perché.

Anche l’ex primo ministro del governo della Cisgiordania, Salam Fayyad, ha provato a incontrare i delegati dell’Associazione per discutere la drastica restrizione, ottenendo l’informazione che, se non si costruirà una nuova conduttura al più presto, la regione soffrirà presto di una crisi acuta. In seguito all’incontro, il dottor Fayyad ha promesso che una nuova conduttura verrà costruita, interamente a spese dell’Autorità palestinese. Pur avendo acconsentito alla proposta, a giugno 2013 Israele non ha ancora sviluppato un progetto né iniziato la costruzione, ancora, senza spiegare il perché.

Ci sono poi dibattiti regolari tra le associazioni e i consolati degli Stati Uniti, europei e israeliani, al fine di trovare una soluzione alla crisi, ma non ne è uscita alcuna proposta. Mahmoud Shawa spiega che “tecnicamente Israele potrebbe risolvere la questione in 24 ore, semplicemente permettendo un maggior tempo di funzionamento quotidiano della conduttura.. Ma il problema è unicamente un problema politico, e, in quanto tale, credo che continuerà a lungo”. Le attuali restrizioni sono state volute da Israele unicamente per fare pressioni e per paralizzare la popolazione affinché si arrenda ed accetti le soluzioni politiche israeliane. “La crisi influenza la vita della gente, e la crisi presto peggiorerà. Se si aggiungono la crisi del diesel e quella dei combustibili, la situazione è chiaramente pericolosa. Essi negano qualsiasi diritto alla popolazione di Gaza: non puniscono, con queste restrizioni, solo Hamas, bensì tutta la popolazione di Gaza”.

Il blocco imposto da Israele sulla Striscia di Gaza costituisce una forma di punizione collettiva, che viola l’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. Infliggendo grandi sofferenze alla popolazione civile di Gaza, costituisce anche crimine di guerra, per le quali la leadership politica e quella militare israeliane sono individualmente responsabili.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice