Storie da Gaza: “Questo procedimento giudiziario era la mia unica speranza”

Gaza – Pchr. Intorno alle 7.30 del 5 gennaio 2009, durante l’”Operazione piombo fuso”, le Forze israeliane  bombardarono da un carro armato l’abitazione di Hany ‘Abdel Dayem. Al momento dell’attacco la famiglia Dayem stava celebrando il lutto per la morte di un familiare, il medico ‘Arafa, ucciso il giorno prima nel corso di un altro attacco israeliano, mentre si trovava in servizio e stava medicando dei feriti. Diversi civili rimasero feriti nel corso del primo attacco. Per poter tenere la tradizionale cerimonia di lutto, la famiglia eresse una tenda fuori dall’abitazione danneggiata, ma, meno di un’ora più tardi, le Forze israeliane attaccarono la tenda da due carri armati, e 5 membri della famiglia Dayem rimasero uccisi e altri 17 riportarono ferite.

‘Arafat Hassan ‘Abdel Dayem, 24 anni, fu gravemente ferito da diversi proiettili durante il secondo attacco. Un proiettile (una freccetta lunga circa 4 cm) lo colpì al collo, apportando lesioni al sistema nervoso. Da allora egli è paralizzato: non è più in grado di camminare e utilizza con grande difficoltà, se non assistito, le braccia e le mani. Il 19 agosto 2012 il Centro palestinese per i diritti umani (Pchr) ha presentato a nome di ‘Arafat una causa civile di risarcimento al tribunale israeliano, ma, il 14 febbraio scorso, il caso è stato respinto dal giudice, sulla base del fatto che alcune disposizioni giuridiche israeliane, in particolar modo una modifica del 2012 della legge sull’illecito civile, sollevano lo Stato di Israele da ogni responsabilità legata a danni causati dalle Forze israeliane nel corso di un’”azione di combattimento”. 

“Quando mi dissero che la causa era stata respinta, mi cadde il mondo addosso”, racconta ‘Arafat. “Fu uno shock enorme perché confidavo nel successo del mio caso. Dopotutto io sono un civile, e stavo commemorando la morte di mio cugino”. Quando gli fu spiegata la decisione della Corte, ‘Arafat scoppiò in lacrime, e disse: “Non abbandonerò la causa, non la possono rifiutare così. Non voglio denaro, voglio essere curato. Questa è un’ingiustizia. Chiamate qui il giudice, o portatemi da lui. Voglio chiedergli quale diritto hanno di lasciarmi in tale situazione”. 

‘Arafat fa fatica a calmarsi, e aggiunge: “La notte prima fui ferito, e andai all’ospedale a donare il sangue per mio cugino, il quale però non sopravvisse. Quando, quella sera, tornai a casa, mi feci una doccia e piansi. Ora, quando ricordo quella sera, ho l’impressione che stessi dicendo addio al mio corpo. Se mi faranno camminare di nuovo, anche se con l’ausilio di un bastone per il resto della mia vita, abbandonerò la causa. Non voglio il loro denaro: voglio poter nuovamente camminare”. Nonostante ciò, la famiglia di ‘Arafat, dal punto di vista economico, sta lottando. “Io e la mia famiglia siamo molto poveri. Non possiamo permetterci i costi dell’operazione. Il giudice lo sa, ma mi ha comunque negato l’aiuto di cui ho bisogno. Che razza di legge è questa? Mi hanno messo in questa situazione, dovrebbero aiutarmi a camminare di nuovo. Perché mi stanno facendo questo”?

Le cure ricevute finora non permettono a ‘Arafat di migliorare. Egli spiega: “In seguito all’attacco, per essere sottoposto a intervento chirurgico fui portato in Turchia, perché avevo delle bruciature sulle gambe. Le spese per le cure furono sostenute dal governo turco e dall’Autorità palestinese. I farmaci li ebbi grazie alla fondazione As-Salam e alla fondazione Wafa, ma poterli avere è stato complicato. Dapprima dovevo andare a prenderli io stesso, in quanto prima di darmeli volevano controllare le mie condizioni di salute. Ora può andare a prenderli mio padre, ma purtroppo tali medicine non sono sufficienti a farmi camminare di nuovo. Il medico in Turchia disse che le cure che potrei avere Germania potrebbero farmi migliorare, ma sarebbe molto costoso e non me lo posso permettere. Non conosco nessuno che potrebbe pagarmi le cure. Questa causa era la mia unica speranza, e ora è svanita. Mi sento ingannato”.

Negli ultimi quattro anni ‘Arafat ha utilizzato una sedia a rotelle per spostarsi dentro casa, ma anche questi scarsi movimenti sono limitati: “La sedia a rotelle funziona a batteria, che costa circa 500 Nis al mese (circa 100 euro, ndt): non ho tutti quei soldi e quindi non posso muovermi più di tanto. Inoltre ora è in cattive condizioni, da due anni è difettosa e ce ne vorrebbe una nuova. Presenta delle spaccature, spesso, durante il suo utilizzo, cado a terra. Quando vedo qualcuno per la strada, camminare sulle sue gambe, lo evito: non riesco ad affrontarlo, perché io non cammino più. Rivoglio la mia vita, non è questo il modo in cui avrei voluto vivere”.

Dopo l’offensiva israeliana del 2008-’09 sulla Striscia di Gaza (l’”Operazione piombo fuso”), il Pchr ha presentato 1046 denunce civili (o richieste di indennizzo) al responsabile dei risarcimenti presso il ministero della Difesa israeliano, per conto di 1046 vittime. Tali richieste chiedevano il risarcimento per le vittime di presunte violazioni del diritto internazionale commesse dalle Forze israeliane. Avendo, le autorità israeliane, ignorato queste richieste di indennizzo, il Pchr ha poi  presentato, tra il giugno 2010 e il gennaio 2011, 100 casi civili presso i tribunali israeliani, facendo richiesta di risarcimento per 620 vittime. Ma il parlamento israeliano (Knesset) e i tribunali, attraverso modifiche legislative e decisioni recenti, hanno imposto diversi ostacoli giuridici e procedurali al raggiungimento della giustizia per le vittime.

Rigettando il caso di ‘Arafat, il tribunale ha invocato l’emendamento n.8 del 2012 alla legge israeliana sull’Illecito civile (Responsabilità dello Stato), che esonera lo Stato di Israele da ogni responsabilità derivante da danni causati a un residente di territorio nemico durante un’”azione di combattimento” o un’”operazione militare”. Questo emendamento, che si applica con effetto retroattivo dal 2000 ad oggi, e, specificatamente al contesto della Striscia di Gaza, dal 12 settembre 2005 in poi, ha ampliato l’ambito dell’”azione di combattimento” includendo tutte le operazioni intraprese da Israele in risposta a terrorismo, ostilità e insurrezioni: l’“azione di combattimento”, date le circostanze generali, comprende lo scopo dell’azione, la posizione geografica e la minaccia affrontata dalle Forze israeliane coinvolte. L’emendamento ignora la questione cruciale della legalità di tali attacchi, e ignora i danni causati alle vittime di tali attacchi, che possono presentare violazioni delle norme che governano il comportamento delle forze armate durante le operazioni militari, regolate dal diritto umanitario internazionale. L’emendamento n.8 viola direttamente le norme di diritto internazionale consuetudinario, che stabiliscono che uno Stato è responsabile per tutti gli atti commessi da persone che operano all’interno delle sue Forze armate. Inoltre, in quanto Alta parte contraente della Quarta convenzione di Ginevra, del 1949, relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, Israele non può essere assolto dalla responsabilità di gravi inadempienze e di violazioni commesse nel corso di operazioni militari contro civili. I tribunali israeliani richiedono, inoltre, il pagamento di una garanzia di 30.000 Nis (8000$) a ciascun ricorrente, e, se il caso non raggiunge la fase processuale, la somma viene trattenuta come “spese di difesa”.

É significativo che tali decisioni penalizzino economicamente le vittime nel loro legittimo diritto di rivolgersi alla Giustizia, presentando cause civili ai tribunali. Il sistema giudiziario viene utilizzato per fornire un’illusione di giustizia, negando sistematicamente ai civili palestinesi il loro diritto a una riparazione reale.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice