Storie da Piombo Fuso: la famiglia Abu Areeda

Storie da Piombo Fuso: la famiglia Abu Areeda

 

Gaza – Pchr31 dicembre 2008: la famiglia Abu Areeda.

“Prima della morte di mia madre eravamo molto felici il 1° di gennaio, festeggiavamo e facevamo visita alla gente. Adesso nell’ultima ora di ogni anno regna il silenzio e il 1° gennaio non festeggiamo l’anno nuovo. Visitiamo la tomba di nostra madre. Ricordiamo”.

Intorno alle 23:30 del 31 dicembre 2008, un aereo da guerra israeliano lanciò un missile su Najma Parc, una sottile striscia verde sulla strada principale dell’area residenziale del quartiere di al-Shaboura a Rafah, uccidendo due civili e ferendone decine di altri.

Iman Abu Areeda (34 anni) fu una delle vittime, uccisa da un frammento di scheggia penetratole nel cervello. Altri sette membri della famiglia allargata Abu Areeda che si trovavano in casa al momento dell’attacco furono lievemente feriti dalla scheggia. La famiglia Abu Areeda venne spostata, per alcune settimane dopo il bombardamento, in un altro luogo, poiché i muri esterni sulla parte anteriore della casa erano stati distrutti. I muri interni e il mobilio erano anch’essi danneggiati.

Era circa mezz’ora prima della mezzanotte del 31 dicembre quando l’elettricità venne sospesa nella zona. Iman andò a coprire il suo figlio minore, Mohammed, che dormiva nella sua stanza. Mentre si piegava su di lui, il missile cadde a poche decine di metri dalla casa della famiglia. La scheggia che arrivò attraverso il muro esterno la uccise. Iman si lasciò dietro il marito, Mahmoud Abu Areeda (che ora ha 39 anni), e i loro figli: Majd (20), Randa (19), Basel (18), Hibba (14), Islam (12), Watan (9) e Mohammed (6).

“Mia madre è morta quando avevo 15 anni. L’età in cui avevo maggiormente bisogno di lei. Ero sotto shock, e non riuscivo a credere che fosse morta. Ancora non ci credo. Non avevo più voglia di andare a scuola ma mi sono fatto forza e ho continuato ad andarci perché so che lei avrebbe voluto così”, dice il secondogenito di Iman, Basel.

I suoi fratelli e sorelle, Majd, Randa, Islam e Hibba sono stati gravemente colpiti psicologicamente dalla morte della madre. Dal giorno dell’attacco, preferiscono rimanere tra di loro, isolati dal resto della famiglia. Randa, Islam e Hibba ricevettero supporto psicologico da una Ong locale per affrontare il lutto e l’esperienza traumatica dell’attacco. Dopo qualche tempo, la famiglia notò che avevano iniziato a riprendersi e ad interagire ancora con le persone intorno a loro.

Il figlio maggiore di Iman, Majd, dice che gli ultimi tre anni sono stati molto difficili per la sua famiglia. “Eravamo tutti sconvolti dopo la morte di mia madre. Ero vivo ma non mi sentivo tale. Mi ci è voluto molto tempo per comprendere che era morta. Avevo una rapporto molto stretto con mia madre, perché ero il figlio maggiore”.

Majd era all’ultimo anno di scuola superiore quando sua madre fu uccisa. “Non mi preparai per gli esami perché stavo soffrendo troppo psicologicamente. Pensavo ‘anche se passo il tawjihi [esame finale], mia madre non è qui ad essere felice per me’. Non ho passato il tawjihi. Spero si poterlo rifare e di passarlo. Mia madre voleva che fossi una persona istruita, che mi sposassi e mi prendessi cura dei miei fratelli. Spero che potrò esaudire il suo desiderio”.

Anche suo fratello Basel ebbe difficoltà nel superare gli esami della scuola superiore. “Prima della morte di mia madre prendevo voti alti, ma dopo la sua morte i voti calarono. Il mio tawjihi fu un disastro ma grazie all’aiuto di mio zio, il fratello di mia madre, riuscii a farcela e ora sono all’università. Studio giornalismo”, dice Basel, stringendo uno dei suoi quaderni.

Il significato dell’anno nuovo è cambiato per sempre per la famiglia Abu Areeda. “Prima della morte di mia madre eravamo molto felici il 1° di  gennaio, festeggiavamo e facevamo visita alla gente. Adesso nell’ultima ora di ogni anno regna il silenzio e il primo gennaio non festeggiamo l’anno nuovo. Visitiamo la tomba di nostra madre. Ricordiamo”, dice Basel.

Majd aggiunge che “la nostra tristezza non si limita al 1° gennaio, nostra madre ci manca in ogni occasione speciale, come le feste dell’Eid. In quei giorni preferisco rimanere a letto e dormire tutto il giorno”.

Da quando ha perso sua madre, pensare al futuro rende Majd ansioso. “Ho paura di perdere qualcun altro che è vicino a me. Ora mio padre è il più vicino e ho paura che gli accada qualcosa. Dopo la morte di mia madre mi sento come se avessi un cuore morto. Quando rido mi sembra di fare qualcosa di sbagliato. Non posso ridere visto che mia madre è morta”.

Basel cerca di guardare al futuro con speranza. Il ricordo di sua madre lo motiva. “Penso spesso al futuro. So che mia madre voleva il meglio per noi, quindi per il futuro spero di riuscire a terminare i miei studi, trovare un lavoro, sposarmi ed avere una famiglia ed essere rispettato nella comunità. Niente può compensare la mia perdita e la mia tristezza, poiché ho perso la cosa più preziosa che tengo nel cuore, ma so cosa mia madre voleva per noi ed è quello che cercherò di raggiungere”.

Il PCHR presentò una denuncia per crimini alle autorità israeliane da parte della famiglia Abu Areeda il 2 luglio 2009. Ad oggi, non è stata ricevuta alcuna risposta.

Traduzione per InfoPal a cura di Giulia Sola

 

 

 

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