Strage di Beirut: il bombardamento dell’ambasciata iraniana porta la guerra fredda islamica in terra libanese

RT.  Il doppio attacco suicida contro l’ambasciata iraniana in un distretto sciita di Beirut sud è direttamente collegato al conflitto siriano e agli sponsor esterni delle milizie fondamentaliste che stanno perdendo terreno davanti alle forze di Assad.

Il brutale attacco della mattinata del 19 novembre è stato portato a termine da un motociclista, che si è fatto esplodere presso il complesso diplomatico iraniano nel tentativo di sfondare il muro, e di permettere a un secondo uomo, alla guida di un’automobile, di avvicinarsi ulteriormente all’edificio dell’ambasciata prima di far esplodere il proprio congegno. Gli attentatori non sono riusciti a danneggiare l’ambasciata, ma le esplosioni hanno causato due dozzine di vittime tra i passanti e i primi convenuti, e un centinaio di feriti.

Tale tattica è la stessa utilizzata da al-Qa’ida contro le comunità sciite in Iraq, nel corso della campagna del terrore che sta infuriando tra sunniti e sciiti.

Per la prima volta dei diplomatici iraniani sono stati colpiti su suolo libanese, e l’attacco rappresenta indiscutibilmente un peggioramento nei rapporti tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita, che è il principale finanziatore e fornitore di armamenti alle milizie salafite, impegnate, senza riuscirci, a far cadere il governo in Siria.

L’uso delle tattiche del terrore sperimentate in Iraq, su suolo libanese, potrebbero essere interpretate come uno sconfinamento della terribile situazione di lotta e di illegalità venutasi a creare in Siria, ma, più esattamente, si tratta di una misura presa dai combattenti salafiti per rispondere alle vittorie strategiche delle forze di Assad che stanno velocemente riconquistando il potere.

Il Fronte di Qalamoun 

Secondo fonti libanesi, gli attentatori avrebbero agito conseguentemente all’offensiva del governo siriano contro la roccaforte strategica dei ribelli a Qalamoun, avvenuta, a quanto pare, con l’assistenza di Hezbollah e di consiglieri iraniani, e che ha portato alla presa della città-chiave di Qara.

Qalamoun si trova in una regione montuosa a nord-ovest di Damasco, vicino al confine con il Libano, dove la maggioranza sunnita della zona di Arsal appoggia i combattenti anti-Assad. La conquista da parte dell’esercito siriano della città di Qara, una delle ultime basi di rifornimenti verso il Libano delle milizie, dà a Damasco il pieno controllo della strada che collega la capitale alla costa a nord-ovest, tagliando allo stesso tempo il corridoio di fondamentale importanza per le milizie anti-Assad, che permetteva il collegamento con l’area libanese della valle della Beka’a. Intanto, ad Aleppo, dove il controllo dei ribelli è stato più profondo, le forze governative, ai primi di novembre, hanno conquistato Safira, città-chiave e crocevia dei percorsi di rifornimento per i ribelli.

Se l’attuale campagna governativa nel nord continuerà, presto l’esercito siriano raggiungerà il confine turco, tra prevedibili, aspri combattimenti, dato che gli integralisti cercheranno di mantenere il controllo sulle aree conquistate: un’altra possibilità è che essi vengano spinti nella Turchia meridionale, dove potrebbero riorganizzarsi e preparare attentati simili a quello di Beirut. Gli strateghi politici di Istanbul e di altre capitali della regione probabilmente rimpiangeranno il fatto di aver appoggiato le brigate ribelli, se non se ne sono già pentiti (Recep Tayyip Erdoğan è stato insolitamente abbandonato, negli ultimi tempi, contrariamente alla considerazione che si era guadagnato all’inizio e a metà del conflitto siriano, quando sembrava che i ribelli avessero delle possibilità di spuntarla). Dar’a, la regione meridionale adiacente al confine giordano, zona in cui il conflitto iniziò, è considerata il maggior punto di accesso di interferenze straniere, vale a dire, innanzitutto servizi sauditi e statunitensi.

Gli Stati Uniti, con il Regno Unito e la Francia, hanno manifestamente addestrato le milizie anti-Assad, in basi situate in territorio giordano, vicino a Dar’a, ufficialmente per fornire un contrappeso alle milizie collegate ad al-Qa’ida: il vero motivo è sempre stato, in realtà, il rovesciamento del governo siriano – l’addestramento e l’equipaggiamento diretto dei ribelli serve alle potenze straniere unicamente ad assicurarsi la futura influenza in una Siria post-Assad, scenario sempre meno verosimile col passare del tempo.

Le forze governative controllano le zone a est di Dar’a e le regioni adiacenti alle alture del Golan occupate da Israele, a ovest. Considerate le continue, recenti, offensive vincenti delle forze governative, è plausibile affermare che Assad si trovi in una posizione di forza che dovrebbe garantirgli la regione meridionale – un’altro passo verso la vittoria finale, essendo la soluzione militare l’unica opzione rimasta dopo il rifiuto delle milizie di partecipare alla conferenza di Ginevra2.

Chi è stato?

Il ministro degli Esteri iraniano considera Israele il responsabile del bombardamento di Beirut, nonostante le rivendicazioni delle brigate ‘Abdullah ‘Azzam collegate ad al-Qa’ida, formate da unità jihadiste sunnite con reti in Libano e nella penisola araba, che hanno preannunciato ulteriori attacchi in Libano finché le forze iraniane non lasceranno la Siria.

Gli oppositori di Assad puntano sulla tattica che mira a sottolineare l’influenza dell’Iran nel conflitto siriano; non ci sono iraniani tra i soldati in Siria, vi si trovano soltanto addestratori e consulenti militari. È invece molto più marcata l’influenza e l’interferenza dell’Arabia Saudita e di altre forze di Paesi del Golfo, a danno dei civili – anche il leader delle brigate ‘Abdullah ‘Azzam, Majid Bin-Muhammad al-Majid, è di nazionalità saudita. Il gruppo si è auto-incaricato di proteggere i musulmani sunniti del Libano dalla “dominazione sciita” del Paese dei cedri.

Membri del gruppo invocano il rovesciamento del governo saudita, sebbene i loro scopi e le loro tattiche servano unicamente gli interessi della Casa di Saud.

Il contratto sociale tra l’élite reale saudita e i loro rami interni di al-Qa’ida (che considerano i reali sfarzosi, e inadatti a governare) consiste fondamentalmente nella promessa che la Casa di Saud appoggerà il loro Islam puritano all’estero, a condizione che loro non sfidino la leadership a Riyad.

A meno che l’Iran non possieda prove inconfutabili, non rese pubbliche, che colleghino Israele alle bombe di Beirut, la complicità di Tel Aviv non può essere pienamente confermata, ma è chiaro che coloro che si oppongono a una soluzione politica del conflitto siriano – e a una soluzione diplomatica alla questione del nucleare iraniano – sono complici a diversi livelli in questi attacchi terroristici.

Il bombardamento di Beirut la dice tutta sul cattivo stato di salute e sulla disperazione delle reti salafite che in maniera sistematica dichiarano guerra alle comunità sciite da Beirut a Baghdad.

Una ‘Ashura da ricordare

Le autorità libanesi hanno motivatamente ritenuto che al-Qa’ida stesse preparando attacchi terroristici contro i recenti cortei di celebrazione dell”Ashura – evento religioso riconosciuto dai musulmani sciiti – in Libano, ma i jihadisti non sono stati in grado di colpire per l’impeccabile sicurezza fornita da migliaia di sostenitori di Hezbollah.

Gli Sciiti commemorano la morte del nipote del profeta Muhammad, Imam Hussein bin ‘Ali, decapitato nel 680 per essersi opposto all’oppressivo califfato Omayyade. Ricordando l’eroica difesa dell’Imam Hussein, gli Sciiti libanesi hanno abbracciato le cerimonie dell”Ashura come un’espressione di ribellione contro i tentativi di oppressione da parte dei movimenti salafiti sunniti.

Data la struttura geopolitica della regione in questa guerra fredda islamica in corso, le celebrazioni dell”Ashura di quest’anno hanno avuto un carattere profondamente ideologico, ossia, si è dimostrata la volontà collettiva di resistere a coloro che cercano di imporre la loro egemonia e che cercano di dominare il mondo islamico guastando i valori della fede maledicendo senza motivo il prossimo considerato eretico – si spera che la Casa di Saud e i loro amici mangiatori di fegato colgano il messaggio.

Traduzione di Stefano Di Felice