Striscia di Gaza, ‘The Palestine Papers’: ‘Un duro colpo per i palestinesi’

Gaza – Speciale InfoPal. Venire a conoscenza delle concessioni elargite dai negoziatori palestinesi, in base a quanto emerso da “The Palestine Papers“, è stato un duro colpo per la popolazione palestinese nella diaspora, per i profughi. Durante i colloqui di “pace”, il gruppo di negoziatori palestinesi sarebbe stato disposto a rinunciare allo storico diritto al ritorno.

Inoltre, si sarebbero assecondati gli irremovibili diktat israeliani secondo i quali nessuna compensazione o risarcimento sarebbe stato incluso in un ipotetico accordo come indennizzo per la devastazione provocata ai palestinesi in fuga, ai profughi.

Questi documenti hanno svelato che, negli incontri tra le parti, si è discusso del ritorno di mille profughi all'anno, per un periodo di 5 anni, verso Israele, ovvero nei Territori palestinesi occupati nel '48, quando i palestinesi entrarono in diaspora. Ad oggi sono 5 milioni.

I palestinesi della Striscia di Gaza non ci stanno e, sin dalle rivelazioni di al-Jazeera, ogni giorno sono scesi in strada per chiedere che i responsabili palestinesi vengano perseguiti per quanto avrebbero accordato all'occupante. La popolazione vuole ribadire la sacralità del diritto al ritorno e dell'inviolabilità di al-Quds (Gerusalemme).

Restituire la verità. Il nostro corrispondente ha incontrato Fayez Abu al-Ma'ala, palestinese di 76 anni, residente nel campo profughi di al-Bureji (Striscia di Gaza centrale).

Abu Ma'ala si sfoga: “Nonostante tutti fossero a conoscenza delle modalità con cui i negoziatori dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) avessero agito nei colloqui con Israele, lo shock è stato forte per tutti. Resta però che i documenti pubblicati da Al-Jazeera ci hanno fornito un'ennesima conferma dei tanti dubbi con i quali conviviamo”.

“Lo status di “rifugiati” è una dura realtà che non riguarda una minoranza, bensì è immagine della sofferenza che denota la nostra storia”.

“Io ricordo la “Nakba”, la catastrofe del '48; avevo 13 anni e ricordo bene la mia città, la fattoria dove aiutavo mio padre a lavorare. Mio padre morì proprio mentre eravamo in fuga dal terrore delle bande ebraiche. Eravamo diretti ad Ashdod, a nord della Striscia di Gaza”.

L'uomo non riesce a trattenere le lacrime per la delusione e il tradimento alle proprie aspettative storiche che apprende ancora oggi.

“Nessuno ha l'autorità a rinunciare al diritto al ritorno, solo noi profughi siamo i legittimi rappresentanti di questo diritto”, afferma Abu Ma'ala.

Nessuna rinuncia al diritto al ritorno. Khadijah al-Musabbah, è una signora palestinese di 63 anni. Anche lei è una rifugiata.

La donna conosce bene la legittimità della sua istanza a fare ritorno quando afferma: “Non rinuncerei mai al nostro villaggio – tra l'altro oggi terra desolata – dal quale nel 1948 fummo costretti a scappare per via del terrorismo ebraico, né per tutto l'oro né per tutto il denaro del mondo. Non cederei un solo fazzoletto di quella terra, della mia terra, della Palestina”.

E' una donna forte e consapevole quella che incontra il nostro corrispondente: “Quest'idea della 'compensazione', poi, come altre offerte presentateci (una casa moderna e tanti beni materiali) non sono state altro che tentazioni nel corso di questi 60 anni di diaspora”.

'Verrà il giorno in cui ritorneremo'. Il fenomeno dello status di rifugiati tra i palestinesi è uno dei più significativi aspetti di tutta questa storia. Esso non riguarda direttamente ed esclusivamente i protagonisti delle espulsioni del '48 (e poi del '67), ma è parte integrante della consapevolezza storica ed è straordinariamente radicato nelle nuove generazioni. Tutti i ragazzi e i più piccoli hanno sempre appreso ogni dettaglio della propria storia e, nel passaggio della narrazione della verità – quella storica – , il ruolo della famiglia è fondamentale.

Il nostro corrispondente fa anche un breve sopralluogo nel campo profughi di ash-Shati, ad ovest del territorio palestinese assediato, dove s'imbatte in un gruppetto di bambini impegnati in un partita di pallone.

Ad uno di essi chiede: “Desidereresti tornare nella città da cui andarono via i tuoi familiari”, e lui, senza esitare, risponde: “Certo! Io sono di 'Akka (Acri) e una volta liberata dagli israeliani ci torneremo. Mio nonno mi fa vedere la chiave di casa molte volte”.

Negoziatori privi di mandato. Nel corso del reportage, tra le viuzze strette del campo eretto negli anni '50, s'incontra Mu'in Madires, presidente del comitato popolare per i profughi della Striscia di Gaza.
Anche per Madires nessuna sorpresa per quanto appreso dai documenti rivelati dal al-Jazeera.

Ma in qualità di rappresentante del comitato popolare ci fa sapere di avere l'intenzione di seguire il caso e di promuovere un'iniziativa nella quale si prendano provvedimenti – a nome dei rifugiati – nei confronti di quei rappresentanti politici palestinesi i cui nomi sono apparsi in “The Palestine Papers”.

“Non sono delegati a fare rinunce”.

“Se così stanno le cose, la prossima mossa ci detterà il disconoscimento di questo gruppetto di negoziatori per riportare la questione al livello di legittimità e validità di cui gode. Insomma, ripristineremo i diritti popolari qui violati”.

Tribunale pubblico. Come avevano fatto altri dalla Striscia di Gaza, anche Madires ha invitato le fazioni palestinesi, le Organizzazioni non governative (Ong), individui e istituzioni ad allestire un “processo pubblico” per i responsabili.

Sono oltre 5 milioni i profughi palestinesi che vivono nei Paesi arabi o che sono sparsi nel mondo. Dal Libano alla Giordania e al Sudamerica, ma anche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Verso tutti questi Paesi, come altrove, i palestinesi si rifugiarono dal terrore della cacciata pianificata ed eseguita materialmente delle bande ebraiche, le stesse che nel '48 diventeranno le “forze di difesa israeliane”, assistite dalle truppe britanniche che all'epoca amministravano la Palestina storica.

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