Terra di Dio, terra d’Apartheid.

http://www.liceoberchet.it/ricerche/geo4d_03/Medio_Oriente/mappa_israele-palestina.gifTerra di Dio, Terra d’apartheid!
A 60 anni dalla costituzione di Israele cosa è cambiato in Palestina?

di Gaspare Serra

28 aprile 2008
Gaza: cannonate su una casa. Sette morti, quattro sono bambini. Orrore nel campo profughi di Beit Hanun. Torna, ancora una volta, prepotentemente d’attualità la "questione palestinese"… 

Sessant’anni sono trascorsi dalla costituzione dello Stato d’Israele, anni segnati da continui conflitti, dalle prime deportazioni del popolo palestinese, dai campi profughi in Libano, Siria e Giordania con quasi due milioni di persone povere, turbolente ed invise anche agli arabi locali. Vita d’inferno quella dei rifugiati, dei deportati, dei "diseredati" palestinesi. E’ forse cambiato qualcosa?!
Usiamo il termine "diaspora" perché di questo si è trattato: dell’esilio forzato di milioni di persone! Durante la guerra israelo-palestinese del 1948 la popolazione di diversi paesi (circa ottocentomila persone) fu costretta ad abbandonare le proprie case per sfuggire alle rappresaglie e alle stragi perpetrate da forze irregolari dell’esercito israeliano.
Ad oggi, si contano quattro milioni di profughi che non hanno ancora avuto riconosciuto il diritto al ritorno alla loro terra. Ogni palestinese ha il legittimo e individuale diritto al ritorno alla propria casa, alla restituzione della propria terra e all’indennizzo dei danni materiali e morali: così prevede una risoluzione dell’Onu (la 194 al paragrafo 11) del ’48. Perché la Comunità internazionale continua a consentire che si perpetui questa incredibile ingiustizia? Come può un rifugiato palestinese accettare il fatto che il suo diritto a tornare nella sua terra non è stato ancora rispettato mentre quello degli albanesi del Kosovo o degli afgani o degli abitanti di Timor Est lo è da tempo?
Si è dovuto aspettare il ’67 perché l’Onu emettesse la famosa risoluzione 242 ove si chiede il ritiro di Israele dai territori occupati. Solo nel 1993, con gli accordi di Oslo, Israele ha accettato l’applicazione della risoluzione 242 entro 5 anni. Siamo nel 2008: perché, a tutt’oggi, solo il 62% dei territori è stato restituito (?) alla Autorità Palestinese? E perché nessuno dice che lo Stato palestinese, così come voluto dalla 242, non potrà mai esistere?! Già, mai, in quanto quello che dovrebbe essere il futuro Stato palestinese consisterebbe in due territori di cui:
          uno praticamente desertico (Gaza)
         
l’altro in buona parte (la Cisgiordania)
         
e di qualche villaggio o cittadina sparsi qua e là per lo Stato di Israele.
Lo immaginate uno stato dove per andare da un posto all’altro ci vuole il passaporto? Uno stato privo di un tessuto industriale, agricolo e commerciale? Uno stato che non produce energia (Israele ha collegato tutta l’energia elettrica dei territori occupati alla propria rete elettrica, negando ogni possibilità di autonomia in questo settore ai Palestinesi)? Uno stato ove l’erogazione dell’acqua è nel più completo arbitrio israeliano (i 5/6 delle risorse idriche è in mano ai coloni)? Questo sarebbe uno stato libero, indipendente? Ogni cittadino israeliano spende per spese militari circa "dieci volte" quanto spende un italiano. Vogliamo veramente credere che il mantenimento di alcuni insediamenti di coloni ebraici nei territori contesi valga veramente una cifra simile?
Il nodo è tutto sullo status di Gerusalemme. Ma la città santa è già divisa in tre diverse città:
         
la città antica, popolata principalmente da religiosi di tutte le confessioni;
         
Gerusalemme est, popolata quasi esclusivamente da arabi;
Gerusalemme ovest, popolata esclusivamente da ebrei. La soluzione più razionale sarebbe affidare la gestione della città vecchia all’ONU, il controllo della parte est agli arabi e la sovranità su quella ovest agli ebrei. E’ veramente tanto difficile una soluzione del genere per chi volesse veramente trovare una soluzione? “Cui prodest”? Forse sta proprio qui la soluzione dell’arcano.
Lo status quo fa sicuramente comodo agli americani, perché una forte potenza militare di frontiera filoccidentale è indispensabile nel tormentato Medio Oriente, e fa certamente comodo anche ai politici ebrei, perché in tal modo possono pompare fiumi di denaro dal "ricchissimo" ebraismo internazionale che li sostiene. Oslo, Wye Plantation, Sharm el Sheikh, fino all’ultimo Camp David, sono luoghi in cui le trattative ufficiali non hanno portato a niente poiché appare chiaro il progetto espansionistico di Israele.
Il popolo palestinese è stanco di un processo di pace che ha solo peggiorato la propria situazione, creando mille frontiere interne da attraversare ogni giorno per lavorare o visitare parenti o amici, non dando soluzione al problema dei prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane e dei rifugiati.
Niente è paragonabile al sentimento di ingiustizia che si prova ascoltando la storia di un uomo di 35 anni che un bel giorno scopre la sua casa rasa al suolo da un bulldozer israeliano con tutto ciò che c’era dentro, senza preavviso! Se chiedete il perché, vi risponderanno che la casa era stata costruita senza regolare permesso. Ma come stupirsi? Le autorità israeliane rifiutano "sistematicamente" agli arabi il permesso di costruire sulle loro terre. Gli ebrei possono costruire, i palestinesi mai. Puro e semplice apartheid! Un bulldozer
israeliano "ara" un fertile campo. Quattro palestinesi, sconvolti e arrabbiati, sostano più in là. Quella è la loro terra, distrutta con la scusa di allargare una strada, già molto larga, costruita per i coloni. "Vi rendete conto che è ingiusto privare della loro terra dei contadini indifesi?" "Non è la loro terra. Essa appartiene allo Stato di Israele", risponde un soldato israeliano.
Ancora oggi, a Gerusalemme Est, a donne e uomini vengono confiscate carte di identità per ridurre la loro presenza, con un’operazione che il Centro per i diritti umani israeliani ha chiamato "deportazione silenziosa". Sessant’anni fa, in Germania, questi stessi argomenti erano usati contro gli Ebrei! I Palestinesi della Cisgiordania e di Gaza non possono entrare in Gerusalemme, chiusa ermeticamente dai soldati israeliani: apartheid, ancora una volta! I Palestinesi sono un popolo che chiede semplicemente una vera indipendenza e la piena sovranità, il diritto di controllare il proprio spazio aereo, le fonti d’approvvigionamento idrico e i confini; di sviluppare la propria economia, d’avere regolari rapporti commerciali con i paesi vicini e di viaggiare liberamente. Si chiede l’impossibile? Soltanto tutto ciò di cui gode il mondo libero!
"Due popoli non possono riconciliarsi quando uno dei due pretende di dominare l’altro, quando uno dei due rifiuta di trattare l’altro come pari nel processo di pace, quando uno dei due utilizza la logica del potere invece che il potere della logica. Israele deve ancora capire che non si avrà pace negando giustizia" (Arafat) . Al popolo palestinese è stata negata la libertà per troppo tempo: unico popolo al mondo a vivere sotto occupazione straniera! Come è possibile che il mondo libro tolleri questa negazione del diritto di autodeterminazione di un popolo?
"Io condanno il terrorismo. Purtroppo le condanne non fermano il terrorismo. Per fermarlo dobbiamo capire che il terrorismo è semplicemente un sintomo, non è la malattia" (Arafat). Il terrorismo palestinese è frutto quasi sempre della disperazione, trovandosi di fronte un terrorismo di Stato che pratica sistematicamente massicce rappresaglie come ritorsione al gesto di una singola persona. La questione della sicurezza d’Israele non può nascondere l’illegalità dell’occupazione militare o dei bombardamenti sui civili. Il terrorismo del Mossad (il servizio segreto israeliano) ha poi colpito con particolare accanimento gli esponenti palestinesi più impegnati nel dialogo con i pacifisti dello Stato di Israele. Sulla grande stampa italiana e mondiale questo non sarebbe terrorismo: esiste solo quello palestinese!
Wafa Idris, ragazza fattasi esplodere in pieno centro di Gerusalemme, era originaria del campo profughi di el-Amari, a nord di Gerusalemme: una brava ragazza, laureata, che lavorava come volontaria
nella Mezzaluna Rossa (equivalente della Croce Rossa). Qualcuno si è chiesto perché una simile persona sia stata spinta a questo gesto? Lei rimarrà nella storia come la prima donna kamikaze dell’Intifada: un ulteriore segno di come si sia fatto generale, collettivo, irrefrenabile, l’impulso alla risposta terroristica dei palestinesi, poichè l’Islàm non prevede le donne in battaglia.  Il tragico scenario che si sta vivendo in Israele in questi giorni è la prova del fallimento della politica della pura "rappresaglia", dell’occhio per occhio, condotta dal governo israeliano. La migliore risposta ai kamikaze palestinesi sarebbe una decente proposta politica, lo spiraglio attraverso il quale riavviare il dialogo, un negoziato…
Oramai il problema della terra è scivolato in secondo piano: al suo posto è subentrato lo scontro tra umiliazione e onore
:
da una parte l’umiliazione inferta in tutti i modi possibili ai palestinesi, per dimostrarne la debolezza;
dall’altra la risposta dei palestinesi, decisi a mostrare il loro orgoglio, la loro volontà e capacità di reazione.
Il blocco totale dei territori ha prodotto una disoccupazione che supera il 70% a Gaza e si avvicina al 50% in Cisgiordania. I problemi aperti sono ancora molti e senza una risposta positiva a questi problemi la pace sarà sempre in pericolo. Ogni spiraglio, ogni possibilità di costruire la pace nell’affermazione dei diritti umani, sociali e politici di ciascun individuo o popolo devono essere valorizzati.
E’ indispensabile che Israele si renda conto che uno Stato sovrano per i palestinesi non è una generosa concessione ma un diritto. Il giorno in cui questo avverrà, forse la pace, togliendo spazio alla cronaca nera, sarà finalmente all’ordine del giorno.   
         
         
         

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