Tredici anni di chiusura illegale e impunita della Striscia di Gaza

Imemc. Mezan Center for Human Rights. Mercoledì 15 luglio 2020, alcune organizzazioni della società civile palestinese, regionali e internazionali, tra cui Al-Haq, Al Mezan Center for Human Rights, Adalah, Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), Medical Aid for Palestinians (MAP), e il Centro palestinese per i diritti umani hanno organizzato un webinar dal titolo “Punizione collettiva a Gaza: 13 anni di chiusura nell’impunità”, parallelamente alla sessione ordinaria del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (ONU) e seguito della pubblicazione del rapporto del Relatore Speciale delle Nazioni Unite – il professor Michael Lynk – sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967 e sulla pena collettiva in base al punto 7 dell’agenda del Consiglio.

Il webinar segue il lancio della campagna Gaza 2020: Lift the Closure nel giugno 2020 da parte delle organizzazioni della società civile ed evidenzia l’urgente necessità di revocare la chiusura illegale imposta da Israele.

Il webinar, organizzato da Al-Haq, è stato moderato da Elizabeth Rghebi, ricercatrice per il Levante presso il CIHRS. Nelle sue osservazioni iniziali, la signora Rghebi ha ricordato che il mese di giugno 2020 ha segnato 13 anni di chiusura della Striscia di Gaza, che rappresenta una forma di punizione collettiva illegale per oltre due milioni di palestinesi, una situazione che secondo le Nazioni Unite sarebbe diventata invivibile entro il 2020.

Negli ultimi 13 anni, i palestinesi a Gaza hanno sopportato gravi restrizioni alla libertà di movimento, devastanti distruzioni di proprietà e infrastrutture, un settore sanitario sovraccarico e al collasso e una crisi umanitaria causata dall’uomo.

Ora, la pandemia di COVID-19 ha portato sfide nuove e senza precedenti per il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, che è una delle aree più popolate della Terra e dove oltre il 96% delle acque non è adatto al consumo umano.

Durante il webinar, il professor Shane Darcy, vicedirettore del Centro irlandese per i diritti umani nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Nazionale d’Irlanda di Galway, ha presentato la storia e il quadro giuridico del divieto di pena collettiva ai sensi del diritto umanitario internazionale, delle leggi internazionali sui diritti umani e del diritto penale internazionale.

Ha messo in risalto l’uso decennale da parte di Israele della punizione collettiva illegale, in violazione dell’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra, ribadendo la tesi del professor Lynk, secondo cui “la punizione collettiva è una ferita aperta che attraversa tutti i 53 anni dell’occupazione israeliana della Palestina.”

Nella presentazione, il professor Darcy si è concentrato sulla demolizione delle abitazioni come forma di punizione collettiva illegale contro i palestinesi. Ha sottolineato che le misure punitive non esplicite imposte dalle autorità israeliane di occupazione, inclusa la massiccia distruzione di proprietà, possono equivalere a crimini di guerra e crimini contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale.

Nuriya Oswald, il direttore legale ed internazionale di Al Mezan, ha spiegato come i 13 anni di chiusura illegale israeliana abbiano gravemente impedito ai palestinesi di Gaza l’esercizio dei loro diritti individuali e collettivi, incluso il diritto di autodeterminazione.

Ha sottolineato l’impatto della chiusura di Gaza e delle politiche israeliane di “de-sviluppo”, che hanno portato a livelli elevati di povertà, insicurezza alimentare, disoccupazione e dipendenza dagli aiuti, aggravando in tal modo la vulnerabilità dei palestinesi nei confronti del COVID-19.

La signora Oswald ha evidenziato il recente aumento dei casi di suicidio a Gaza, con 16 casi documentati dall’inizio dell’anno, a testimonianza della disperazione dei palestinesi e delle gravi conseguenze della chiusura sulla salute mentale.

Ha aggiunto che la pesca e l’agricoltura, un tempo fiorenti industrie di Gaza, sono ora due dei settori più vulnerabili a causa degli assalti militari israeliani contro i palestinesi e i loro mezzi di sussistenza, sottolineando l’uccisione di 217 palestinesi e il ferimento di altri 14.500 ad opera delle forze di occupazione israeliane durante le manifestazioni della Grande Marcia di Ritorno a Gaza.

In occasione delle manifestazioni è stata chiesta la revoca della chiusura illegale di Gaza e la tutela dei diritti dei palestinesi, incluso il diritto di ritorno.

Neil Sammonds, direttore delle campagne della MAP, ha palato dei ripetuti attacchi di Israele agli operatori sanitari e ai medici nella Striscia di Gaza occupata. Ha sottolineato l’uccisione e il ferimento degli operatori sanitari da parte delle forze di occupazione israeliane durante le manifestazioni della Grande Marcia di ritorno e ha ricordato che il sistema sanitario di Gaza è stato portato al collasso a causa dei 13 anni di chiusura operata da Israele.

Sammonds ha ricordato che a gran parte degli operatori sanitari è non è permesso lasciare Gaza per fruire di opportunità di formazione e sviluppo altrove, aggiungendo che nella Striscia di Gaza mancano risorse e attrezzature mediche e che i pazienti palestinesi sempre più spesso devono cercare cure al di fuori di Gaza. Attraverso il regime di permessi arbitrari di Israele, le autorità occupanti spesso negano o ritardano le domande di autorizzazione da parte dei pazienti e dei loro congiunti, minando in tal modo il diritto dei palestinesi di Gaza di accedere all’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno.

L’avvocato Soheir Asaad, coordinatore per la difesa internazionale di Adalah, ha sottolineato l’impunità di Israele in tutti gli aspetti del diritto civile e penale per quanto concerne i crimini commessi ai danni dei palestinesi, esaltando la vasta esperienza di Adalah nel fare giustizia per le vittime palestinesi presso i tribunali israeliani.

Ha sottolineato la complicità della legislatura israeliana e del sistema giudiziario, compresa la Corte suprema, e il loro ruolo nel proteggere gli aggressori israeliani dalle loro responsabilità e nel consentire politiche di punizione collettiva contro il popolo palestinese.

Soheir Asaad ha aggiunto che la chiusura di Gaza è il risultato dell’impunità di Israele, affermando che il sistema interno israeliano, in tutti i suoi aspetti, non è disposto ad agire realmente contro i suoi soldati, comandanti e funzionari per sospetti crimini commessi contro i palestinesi. Di conseguenza, ha chiesto che Israele sia perseguita presso il Tribunale penale internazionale.

Nella sua presentazione, Rania Muhareb, ricercatrice legale e ufficiale di difesa di Al-Haq, ha ricordato che il popolo palestinese ha subito una lunga storia di punizioni collettive iniziata nel 1948, che va inserita all’interno del più ampio regime israeliano di colonialismo, insediamento e apartheid ai danni del popolo palestinese.

Ha ricordato che la politica di chiusura di Gaza, che non ha precedenti per durata e gravità, ha completamente separato, isolato e frammentato i palestinesi a Gaza dal resto del popolo palestinese e dal resto del mondo.

Ciò rimanda alla frammentazione strategica operata da Israele ai danni del popolo palestinese, al quale nega l’esercizio dei diritti inalienabili di autodeterminazione e di ritorno.

Nel dicembre 2019, il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) ha scoperto che la chiusura e il blocco di Gaza rappresentano politiche di segregazione razziale e apartheid. Ha concluso che è tempo che gli Stati adottino misure efficaci per affrontare le cause profonde dell’oppressione del popolo palestinese, per riconoscere l’apartheid israeliana e revocare la chiusura di Gaza, come un primo passo verso il superamento del regime di apartheid israeliano. Ciò deve iniziare con la giustizia e l’accountability internazionali e porre fine all’impunità di Israele.

Nel suo rapporto, il professor Lynk ha esaminato la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ponendo l’accento su diverse forme di punizione collettiva, inclusa la chiusura illegale della Striscia di Gaza.

Il professor Lynk ha sottolineato che “come per la tortura, non sono ammesse eccezioni al divieto legale di ricorrere alla punizione collettiva. E, come la tortura, l’uso della punizione collettiva infrange la legge e la moralità, la dignità e la giustizia e macchia tutti coloro che la praticano”. Nel suo rapporto, il Relatore Speciale ha invitato Israele, la potenza occupante, a porre fine a tutte le misure che costituiscono una punizione collettiva, tra cui la chiusura di Gaza, e ha esortato tutti gli Stati ad adottare sanzioni e contromisure per porre fine all’occupazione israeliana.

Le Nazioni Unite hanno ripetutamente avvertito che Gaza sarebbe diventata inabitabile entro il 2020 se Israele non avesse revocato la chiusura illegale. Nel febbraio 2019, la Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sulle proteste del 2018 nei Territori palestinesi occupati ha raccomandato Israele, la potenza occupante, di “revocare il blocco di Gaza con effetto immediato”. L’impunità di Israele persiste da oltre un anno. È tempo di revocare la chiusura.

Traduzione per InfoPal di Giulia Deiana

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