Un remake di Hamas?

457150415PIC. Di Azzam Tamimi. Negli ultimi 10 anni, il Movimento di Resistenza Islamica (Hamas) è stato il bersaglio delle tre principali guerre scatenate da Israele per distruggerne le capacità militari. Il partner israeliano per il processo di pace, l’Autorità Palestinese con sede in Ramallah, ha cercato di andare oltre: avrebbe voluto che il movimento fosse sradicato completamente dalla Striscia di Gaza in modo da riguadagnare il controllo di questa enclave, passato per intero ad Hamas nel giugno del 2007.

Quella che Israele ha definito come Operazione Piombo Fuso si scatenò contro Gaza dal 7 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. La seconda offensiva fu chiamata Operazione Colonne di Difesa. Fu iniziata il 14 novembre con l’uccisione di Ahmed Al-Jaabari da parte di Israele, uno dei leader più importanti di Hamas a Gaza. Questa guerra durò soltanto otto giorni. Infine Israele lanciò l‘Operazione Margine Protettivo, l’8 luglio 2014, che continuò per sette settimane.

A parte le guerre devastanti e l’assedio debilitante imposto da Israele su Gaza da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia, il movimento ha sofferto notevolmente anche a causa dell’impatto che le rivoluzioni delle Primavere Arabe, con le loro vicende turbolente, hanno avuto su di esso.

Come conseguenza del rifiuto di appoggiare il regime di Assad e di chiudere un occhio sulla brutale repressione esercitata contro la rivolta popolare, il movimento è stato costretto a lasciare la Siria e, ben presto, ha perso anche l’appoggio iraniano.

Quello che sembrava essere per un breve periodo un nuovo e potente alleato, l’Egitto, è stato ben presto abbattuto dagli Emirati Arabi Uniti e dalla controrivoluzione finanziata dall’Arabia Saudita che ha visto l’intervento dei militari allo scopo di far cadere il primo governo civile democraticamente eletto in Egitto.

Brevi “canali secondari”

La prima metà del decennio passato ha registrato un interesse crescente verso questo movimento da parte di diversi soggetti internazionali ansiosi di vedere la fine del conflitto israelo-palestinese. Desiderio non materializzatosi semplicemente perché ad Israele non interessava.

Ma quando la rivoluzione egiziana ha messo fine al governo del principale alleato israeliano nel mondo arabo, l’ex-presidente Hosni Mubarak, Israele non ha visto l’ora di dialogare con Hamas. L’amministrazione di Netanyahu ha chiesto la mediazione dell’Europa per aprire canali secondari (back channels) sia con Hamas sia con il nuovo leader egiziano dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi.

Lo scopo era quello di raggiungere un accordo che mettesse fine all’assedio di Gaza in cambio di garanzie che la nuova amministrazione del Cairo continuasse ad onorare gli accordi di Camp David con Israele. Gli israeliani erano estremamente preoccupati per quanto riguardava le condizioni di sicurezza lungo i suoi confini nella Penisola del Sinai.

Però, nessuno di questi tentativi vide la luce. Israele ben presto perse interesse, sollevata nel vedere i militari egiziani rimuovere il governo eletto, reprimere i Fratelli Musulmani e dichiarare la Striscia di Gaza governata da Hamas come un’entità ostile, restringendo quindi l’assedio su di essa e distruggendo la maggior parte, se non tutti, i tunnel sotterranei che sono stati, per anni, i polmoni attraverso i quali la popolazione di Gaza ha potuto respirare.

‘Il documento politico’

In questo periodo, Hamas è occupato nell’elezione della nuova leadership. Khaled Meshaal, che ha diretto l’ufficio del movimento politico dal 1995, si sta ritirando e verrà ben presto sostituito.

Prima della sua partenza, Meshaal ha lavorato per mesi alla redazione di una nuova carta, o a quello che il movimento preferisce chiamare “il documento politico” per non offendere l’autore della prima carta, che ancora vive a Gaza.

Mi ha fatto piacere vedere, da una bozza trapelata, che la nuova carta risponde e soddisfa molte delle cose di cui facevo richiesta nel mio libro ‘Hamas: Capitoli non scritti’ (pubblicato negli USA col titolo ‘Hamas: A history from within). Secondo il mio parere, la carta di Hamas del 1988 – che io critico duramente nel mio libro, chiedendo che venga strappata e che ne sia scritta una nuova – era un documento redatto malamente che non esprimeva quello che il movimento rappresenta o quello in cui credono la sua leadership e la sua base popolare.

Sono molto contento che la nuova carta si distanzi in gran parte da quel che io considero errato in quella vecchia. Il nuovo documento affermerà inequivocabilmente che il conflitto in Palestina non è un conflitto di carattere religioso:

“Hamas afferma che il suo conflitto è contro il progetto sionista, e non contro gli ebrei per la loro religione. Hamas non intraprende una lotta contro gli ebrei in quanto ebrei, ma intraprende una lotta contro i Sionisti che occupano la Palestina. D’altronde, sono i Sionisti che si riferiscono costantemente al giudaismo e agli ebrei per identificare il loro progetto coloniale e la loro entità illegale”.

“La causa palestinese, nella sostanza, è una causa per una terra occupata e per una popolazione di sfollati. Il diritto dei rifugiati palestinesi e degli sfollati al ritorno alle loro case, dalle quali sono stati scacciati e alle quali è stato loro vietato di tornare – siano le terre occupate nel 1948 o quelle del 1967 (cioè l’intera Palestina), è un diritto naturale, sia individuale che collettivo. Questo diritto viene confermato da tutte le leggi divine così come dai principi basilari del diritto umanitario e dalle leggi internazionali. È un diritto inalienabile e non può essere cancellato da nessun partito, sia palestinese, che arabo o internazionale”.

Rispetto alla vecchia carta, il presente documento ridefinisce il movimento in termini di liberazione nazionale, affermando che:

“Il Movimento Islamico di Resistenza ‘Hamas’ è un movimento nazionale islamico palestinese di liberazione e resistenza. Il suo obiettivo è di liberare la Palestina e di contrastare il progetto sionista. Il suo riferimento è l’Islam, che ne determina i principi, gli obiettivi e gli strumenti”.

Prosegue poi asserendo che non vi sono stati cambiamenti di posizione per quel che concerne il suo obiettivo:

“Hamas ritiene che nessuna parte della Palestina debba essere oggetto di compromessi o concessioni, indipendentemente dai motivi, dalle circostanze e dalle pressioni e non ha importanza per quanto tempo durerà l’occupazione. Hamas rifiuta qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare”.

Il rifiuto di Oslo

Ma in quel che può essere percepito come elemento di pragmatismo, che non era invece apparso nella vecchia carta, il movimento dichiara nel nuovo documento che accetta uno stato palestinese de facto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza:

“Tuttavia, senza mettere in discussione il proprio rifiuto dell’entità sionista e senza rinunciare a nessun diritto palestinese, Hamas prende in considerazione la creazione di uno stato palestinese completamente sovrano ed indipendente, con Gerusalemme come capitale e lungo i confini del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle loro case dalle quali furono scacciati, per ottenere il pieno consenso nazionale”.

“Resistere contro l’occupazione utilizzando tutti i mezzi e metodi è un diritto legittimo garantito dalla legge divina e anche dalle leggi e norme internazionali”.

Questo argomento probabilmente susciterà qualche controversia e scatenerà le accuse secondo le quali il movimento sia contraddittorio. La verità è che questa posizione è per la maggior parte il risultato di pressioni considerevoli esercitate sul movimento dagli attori regionali ed internazionali che vogliono che esso riprenda i colloqui per la riconciliazione col movimento di Fatah e che moderi la propria posizione nei confronti di Israele.

In ogni caso, quel che il nuovo documento esprime è una posizione che non è sufficiente per accettare la soluzione dei due stati, che si suppone sia il risultato finale degli accordi di Oslo tra Israele e l’OLP.

Questo è ciò che sarà scritto nella nuova carta a proposito degli accordi di Oslo:

“Hamas afferma che gli accordi di Oslo e le relative appendici contravvengono alle regole governative del diritto internazionale in quanto creano impegni che violano i diritti inalienabili del popolo palestinese. Pertanto, il movimento rifiuta questi accordi con tutto quel che ne deriva così come gli obblighi che danneggiano il nostro popolo, soprattutto per quanto riguarda il coordinamento della sicurezza (collaborazione)”.

Immediatamente dopo le elezioni vinte nel gennaio 2006, a Hamas sono state offerte quelle diventate famose come le tre condizioni del quartetto, che erano, in realtà, termini dettati da Ehud Olmert, l’allora primo ministro israeliano, ed adottate dagli Stati Uniti, dalla Federazione Russa, dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite.

E’ chiaro dal nuovo documento che il movimento mantiene il proprio rifiuto netto di tutte e tre le richieste. Dichiara inequivocabilmente che non riconoscerà mai il diritto di Israele ad esistere, rigetta gli accordi di pace sottoscritti dall’OLP e a proposito della resistenza armata afferma quanto segue:

“Resistere contro l’occupazione con tutti i mezzi e metodi è un diritto legittimo garantito dalla legge divina e dalle norme e leggi internazionali. Al centro di queste rimane la resistenza armata, che è considerata come la scelta strategica per poter proteggere i principi ed i diritti del popolo palestinese”.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi